Il Diritto

Il diritto di voto ai minorenni.  Prima le donne poi i bambini.

La  crisi economica in corso e le improvvide politiche adottate fino ad oggi in Italia  per rimediarvi hanno fatto drammaticamente emergere la disoccupazione giovanile, ormai arrivata  ad un terzo della popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni.  La flessibilità del lavoro è divenuto l’incubo per i giovani,  tendenzialmente privati del loro futuro.  Abbiamo forse una generazione per la prima volta senza futuro?  Il paradosso sta nel fatto che ad essere senza futuro sarebbe proprio la generazione che oggi, tra noi, lo rappresenta.

Un tema cruciale oggi in Italia è la riforma del welfare state, ma come  nelle altre democrazie contemporanee, sebbene fondate sul suffragio universale, anche in Italia i minorenni non hanno rappresentanza politica.  Siamo forse di fronte ad una carenza di democrazia?

Se il voto rappresenta il diritto di partecipazione a un dividendo sociale, di cui la spesa pubblica esprime la dimensione monetaria, allora la partecipazione dei minorenni in assenza del voto è lasciata alla sola buona volontà delle strategie dei partiti politici. D’altra parte ben conosciamo  i limiti dell’orizzonte politico  appiattito sulla fine della legislatura e accade così che i bisogni e le aspettative dei giovani vengano sacrificati nei programmi, dal momento che il danno così procurato non appare nell’immmediato.

L’estensione del diritto di voto ai minorenni è un tema riconducibile al filosofo Antonio Rosmini (1848) ed è stato già affrontato in altre democrazie come in Francia, già con una proposta legislativa risalente al 1910, in  Germania in anni più recenti ed in Austria, dove dal 2007 si vota a 16 anni di età.

L’argomento riguarda più di 9 milioni di  cittadini di età compresa tra o e 17 anni, ovvero il 19% dell’intera popolazione di cittadini residenti in Italia e in particolare, considerando l’ Austria come esempio di prima fase di applicazione, interessa sempre in Italia circa 1,1 milioni di giovani di età tra i 16 e 17 anni (il voto per i cittadini da 0 a 15 anni  è delegabile ai genitori).

E’ interessante notare come  la partecipazione alla vita attiva del paese di questa  quota parte di cittadini possa costituire la base per un riequilibrio delle politiche di welfare state nel nostro paese, dove  la quota di popolazione anziana (65 anni e oltre) rappresenta oggi il 26% circa dell’intera popolazione, ed è destinata a crescere.

L’idea centrale è che la competizione politica  per il consenso elettorale obblighi i partiti politici a tenere conto dei bisogni dei giovani nei loro programmi elettorali e quindi nell’azione di governo. Il principo di “un uomo un voto” della tradizione democratica, sia esso maschio o femmina, adulto o minore verrebbe  in tal modo realizzato.

In Italia la rappresentanza del voto dei minori non è compatibile con l’attuale normativa costituzionale e pertanto,  in una prospettiva di difesa e consolidamento dei suoi principi e valori, una modifica della nostra Costituzione (cfr. art. 3) che attribuisse il diritto di voto dal momento della nascita, con ciò abolendo l’ultima discriminazione in base all’età, risulterebbe coerente con lo spirito costituente e  potrebbe conciliare la crisi emergente del breve periodo con l’interesse lontano del paese.

(Per l’approfondimento del tema si rimanda alla lettura de “Prima le donne e i bambini. Chi rappresenta i minorenni” di Luigi Campiglio – Prof. Ordinario di politica economica presso L’Università Cattolica di Milano –  Il Mulino, 2005)

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