La politica

Il regime politico  presente nel nostro paese  ci appare come una farsa rispetto alla tragedia del ventennio fascista. La storia sembra a volte ripetersi, ma attenzione: cambia la scala dei fenomeni.

Durante il  regime fascista, che è bene ricordare si è affermato grazie alla desistenza di una monarchia inetta  e si è consolidato  quindi con la volontà popolare, il popolo veniva compattato e dominato dal potere nella prospettiva di diventare attraverso la dittatura di uno Stato guida una potenza egemone in espansione da cui sarebbero derivate  sicurezza e prosperità. Una tale concezione  accomunava le ideologie   novecentesche che si  reggevano sul controllo delle masse  mediante regimi totalitari, regimi che si giustificavano come necessari proprio in relazione alla grandezza dei fini.

Oggi il popolo  si sente minacciato dalle  nuove dimensioni del territorio:   la globalizzazione dei mercati, i  cambiamenti del clima,  i flussi immigratori. Esso  si  ritira, frammentandosi, in una dimensione più domestica, nel tentativo apolitico di affrontare la realtà in una  prospettiva tecnica atemporale,  mediante una gestione  amministrativa del potere, dominata dalla economia e dell’efficienza, dal “fare”: una democrazia commissariata.

Se  quel ventennio è stato  tragico nei modi e negli esiti, l’attuale periodo può risultare in realtà ancora più tragico  per il radicarsi progressivo  negli  uomini contemporanei dell’angoscia per  la precarietà o assenza del futuro, il luogo a cui tendere e dove ritrovarsi.  I comportamenti e gli atteggiamenti dei regimi passati ci possono apparire oggi, soprattutto alle giovani generazioni, come caricature del potere.

Rimane  alla fine il “popolo” come variabile indipendente  della politica contemporanea. Una concezione del potere demagogica ed economicistica che seguendo il principio di “dare al popolo ciò che il popolo vuole” rivela  l’incapacità della politica  contemporanea di riappropriarsi della  missione  originaria d’indirizzo e di gestione equa degli interessi dei cittadini, per il raggiungimento del bene  comune. La politica come “visione dell’interesse lontano” (R.von Jhering)

E il  lessico usato ci aiuta a comprendere l’impoverimento del pensiero avvenuto in questi ultimi anni,  allorchè il  paese è stato concepito e trattato come un’azienda, come un sistema,  mai come uno Stato.

Se ciò è vero allora bisogna accettare l’idea che il populismo  della destra contemporanea non è così diverso del populismo della sinistra.  Se il primo ha bisogno di un popolo passivo, consumatore e  infantile,  come sostegno e giustificazione del proprio mandato, il secondo pervaso di cattolicesimo indulge sulle sue miserie con la  pretesa di  condurlo al potere. Entrambe le  concezioni sembrano  voler farci dimenticare che il popolo e l’opinione pubblica quando sono contro il potere gli nuoce e quando gli sono favorevoli  non contano niente.

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