Cultura, democrazia e informazione. Passato e presente.

Se si riconosce alla cultura un valore aggiunto rispetto alla evoluzione biologica dell’uomo, dobbiamo anche prendere atto della sua apertura e della sua  natura essenzialmente democratica.

Il sapere, i valori, gli ideali, le credenze, le idee non sono beni di cui appropriarsi sui quali  si possa  esercitare un diritto di proprietà, ma sono dei codici che l’individuo deve assimilare  attraverso la formazione per  essere nel mondo.  Le idee sono dunque una  componente del nostro essere appartenente all’umanità.  L’uomo  è responsabile perchè  è libero e non esiste un copyright della cultura,  perchè essa è  patrimonio dell’Umanità.

Ho sempre provato un’intima e profonda soddisfazione, una felicità,  nel riscontrare in  autori magari vissuti secoli fa gli stessi miei pensieri, un’affinità nella visione del mondo, la medesima risonanza delle emozioni come quella che si sperimenta con l’ascolto della musica. E’ stato così che  mi sono sentito di appartenere all’umanità e alla storia. Non abbiamo bisogno di cercare intelligenze aliene: non siamo soli sul nostro pianeta.

Ma oggi c’è internet,  che affascina  intellettuali e  politici al punto di farla considerare come una nuova agorà, dove il popolo della rete può esprimere la più alta forma di democrazia partecipata. In effetti il vero valore dell’informazione, al di là del suo contenuto di  senso, sta nella sua libertà di circolazione, non necessariamente nella quantità o nella velocità di diffusione. Vedo nelle   tecnologie   ICT uno strumento di straordinaria capacità evolutiva per l’uomo, una vera protesi della intelligenza.

Tuttavia, l’intenso e veloce sviluppo di queste tecnologie  pone all’individuo il serio problema  di una capacità di adattamento  non ancora  pienamente acquisito. Posti di fronte ad un computer ci rendiamo conto che per utilizzarlo al meglio  necessita che il nostro  cervello si adatti al suo software al sua hardware.   Il computer per poter  esprimere  il suo massimo potenziale   ci richiede di ragionare come lui, che è digitale sia nell’hardware che nel software, mentre noi siamo digitali nel  nostro ambiente interno del sistema nervoso, l’elaborazione, ma siamo analogici nel  rapporto verso l’ambiente esterno, la percezione.

L’emergenza della cultura digitale ha creato una svolta radicale nella storia dell’umanità, le cui conseguenze ancora ci sfuggono in parte, ma quando fossero integrate  alle scoperte della biologia potrebbero portare la specie umana ad un nuovo livello evolutivo, forse non solo culturale. Fantascienza? Forse, ma,  ricordando per esempio che  quattro quinti della materia che compone l’Universo è oscura, di natura ancora sconosciuta  e che è  trascorso appena  un secolo dalla scoperta di una forma di energia di straordinaria potenza non percepibile dai nostri sensi, io ritengo che  convenga ragionare con la massima apertura e in  ogni  caso non ho dubbi che si commettono meno errori liberando l’immaginazione di quanto se ne commettono limitando  il progresso delle  scienze.

Ci si chiede se è auspicabile  l’uso diffuso e generalizzato di internet ai fini della  diffusione e della crescita della democrazia.  In verità, il  problema  posto da internet  non è tanto il suo uso libero o controllato, quanto l’effetto amplificatore ed al contempo ridondante che esso genera nella comunicazione, per il quale posso in un tempo minimo acquisire e diffondere  una massa d’informazioni che non sono in grado poi di elaborare tempestivamente. Dov’è qui il processo di riflessione, il “lavoro psichico” come lo intende la psicanalisi? Davvero  si tratta di diffusione di idee e di pensieri o piuttosto di scambio compulsivo di  opinioni?  Si elabora e si decide una risposta o si aderisce o rifiuta un’opinione stimolo preconfezionata?

Una cosa infatti è l’impiego del sistema numerico binario  per il funzionamento della macchina, altra cosa è ridurre il soggetto ad uno stato  afasico di  risposte a livello si/no, ad una coscienza ridotta  allo stato di un interruttore  che può accendersi o spegnersi.  Abbiamo in passato criticato l’uso dei test a  risposta chiusa tramite crocette come sistema non valido nella valutazione  dell’apprendimento;  perché dovremmo credere ora che un regime di perenne stato referendario ci renda più democratici e partecipativi? Folgorati sulla via  della tecnologia corriamo il rischio  di  assimilare acriticamente la logica  del marketing, che vuole il  cittadino della società della percezione, magari informato, ma pur sempre passivo e addomesticato.

Navighiamo in una realtà  virtuale in cui la relazione  viene affidata  sempre più alla percezione visiva e immediata di neomessaggi (sms, mms, e-mail, blog, youtube…), dal momento che  l’efficienza dei siti si basa sul controllo della densità spaziale dell’informazione, ovvero l’obiettivo di riempire quanto più possibile di messaggi lo spazio dello schermo.  Se è il mezzo a determinare la comunicazione, allora il linguaggio visivo della comunicazione via web è quello più veloce, in tempo reale, costituito di parole-immagine che non devono essere lette, ma viste, percepite. Così si  passa dalla lettura della parola, sintesi di una elaborazione di significato,  all’immediatezza del gesto digitale, apparentemente più concreto ed efficace che può confondersi con l’azione.

in questi ultimi  anni vi sono poi state occasioni di comunicazione politica via internet che hanno dato risultati sorprendenti. Penso alle adunanze dei pacifisti, del “popolo viola”, come alle adesioni ad appelli divulgati a  salvaguardia  della Costituzione o per contrastare leggi ritenute ingiuste (per non parlare della rilevanza che tali comunicazioni hanno avuto nello sviluppo dei recenti movimenti popolari di  rivolta in Nord Africa).

Tutti questi eventi sono fenomeni positivi  fin quando vi prevale la forte motivazione derivante dal contenuto dei messaggi, ma  quando queste azioni diventassero sistematiche ed abituali, il rischio che si correrebbe  è che la partecipazione stessa perda di significato e che il gesto della digitazione su una tastiera diventi  un rituale  di una nuova liturgia massmediale.  Un po’ come avviene con quel gioco per cui ogni parola ripetuta più volte perde il significato per diventare un suono strano.

Alla perdita di senso si aggiunge inoltre la tendenziale perdita di responsabilità in relazione alla facilità di una pratica che si riduce ad un comportamento, ad un gesto, e in relazione alla  sicurezza procurata dall’anonimato. Si  osservi infatti come nella comunicazione sul web.2  prevalga l’uso di pseudonimi  con i quali si cela la propria identità.  La maschera del carnevale, oggi avatar, ci libera nell’espressione.