Il pulpito e la predica

Senti da che pulpito viene la predica… questo adagio popolare è nella testa di tutti e costituisce uno dei principali criteri di analisi, in molti casi l’unico,  col quale molti  esponenti della attuale politica che si avvicendano nei dibattici dei talkshow televisivi si difendono dalle accuse loro rivolte (ma osservate anche quei giornalisti e opinionisti che si definiscono ‘terzisti’…).    In base a tale modalità  tutti si sentono scusati delle proprie malefatte dal pulpito se il pulpito è ritenuto colpevole, e in particolare più colpevole.

Leggendo i “Promessi Sposi”  si sarebbe dovuto far tesoro delle così dette scuse di don Abbondio:  “Si io, ma loro …”

Voglio qui solo ricordare  una semplice verità: “il pulpito non cancella la colpa”, né la nostra, né quella di altri.  Il pulpito può costituire al più attenuante, ma mai essere assolutorio: la colpa continua a sussistere indipendentemente dal pulpito e dalle circostanze. Pulpito e circostanze della colpa costituiscono solo connotazioni e non denotano in alcun modo la cosa, la sostanza,   attributi questi che non possono sostituirsi al nome.

“Il pulpito non cancella la colpa” non è un’opinione, è una verità, le sue prerogative sono l’ovvio e l’incontrovertibilità. Ne consegue che “non ci si può scusare dei propri peccati con i peccati altrui”, un’altra verità che fa da corollario alla prima. Ed ancora: “Che le proprie colpe vanno assolte con se stessi prima di trovare giustificazione negli altri”…

Quello che è tuttavia importante qui rilevare è l’appartenenza di queste verità: che verità sono?

In prima istanza dirò che sono verità logiche, ma di una logica che fugge l’epistema (di esse non troverete traccia in nessun trattato di logica) per appartenere allo spirito. E questo è il punto. Dello spirito manca una grammatica.

Lo spirito non si sa neppure che cosa sia, dello spirito manca una definizione, dello spirito neppure si parla. Quello della merce (Materialismo) e quello Santo sono gli unici conosciuti.
Ho affermato che queste verità sono ovvie e apodittiche, incontrovertibili, ma sono ovvie solo a chi possiede spirito. Nell’educazione una grammatica dello spirito si rende indispensabile. Ebbene una grammatica dello spirito non esiste ancora.

Una grammatica dello spirito non solo non viene insegnata ma della stessa non si conosce neppure l’esistenza e questo perché ancora non esiste, ancora non esiste come conosciuto “spirito”.
Riprendo quello che ora si comprende essere solo un esempio: “il pulpito non cancella la colpa”, questo asserito può divenire un assioma, una regola, che deve entrare nella testa di tutti e dovrebbe essere segnalato come errore, errore logico, l’uso improprio del pulpito come esimente.

“Cerca prima dentro di te”, dovrebbe rientrare negli imperativi morali. La mancanza di questa semplice regola grammaticale permette all’ignoranza di rivolgersi in modo ignorante agli ignoranti e ottenerne il consenso.

“Si io o lui, ma loro …” è un errore grammaticale logico che essendo nella testa di tutti permette a cattivi poteri di abbindolare il popolo. La mancata educazione del popolo è per certo una colpa dei governanti, a volte strumentale ma di fatto anche un fatto dovuto all’ignoranza delle stesse persone che ci governano: ci sono e ci fanno. Una falsa coscienza fa loro da alibi.

Quello che è sconfortante è che tutt’oggi non venga avvertita la necessità di trovare per il linguaggio una grammatica dello spirito e di insegnarla nelle scuole. Mondialmente. Uno studio organico che compendi verità grammaticali dello spirito mirato ad innalzare la cultura popolare e non solo popolare si rende sempre più necessario come freno ad un turbocapitalimo che trascina i valori in basso, a soddisfare gli istinti, rivendicando in questa soddisfazione la libertà.

Cliché, adagi popolari, opinioni ignoranti ammorbano lo spirito e finiscono con l’ammalare l’anima. La degradazione del linguaggio è degradazione dello spirito, del singolo come di una nazione.

Una grammatica dello spirito, un compendio quanto più possibile organico delle regole e degli errori in cui più comunemente la logica può incappare deve essere scritta ed essere materia di insegnamento scolastico. È incredibile che ancor oggi nel primo mondo non si sia avvertita la necessità di questo insegnamento culturale.

L’interlocutore che cita il pulito a discolpa dovrebbe essere immediatamente bloccato sottolineando come errore grammaticale la logica usata.  Possibile solo se e  nella misura in cui la grammatica è da tutti conosciuta.

Allo stato attuale delle cose questo percorso è solo individuale, non ha regole scritte, e non permette all’eccellenza di emergere, anzi chi ha lavorato su se stesso non tanto per emergere quanto per migliorarsi viene accusato di essere un intellettuale e come tale, secondo un altro adagio trasversalmente condiviso, inviso al popolo e a chi sta al potere.    Non ho parole …   (lavoro in corso) …

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