I limiti dello sviluppo culturale.

Al termine di una analisi sulle misure anti crisi  adottate dall’attuale governo italiano, esposta da un economista professore universitario in  occasione di un corso di formazione di cultura politica, ho  domandato come si potesse spiegare il caso della Svezia, Paese che ad un elevato ed efficiente welfare state  associa una robusta crescita economica in termini di PIL. La risposta è stata immediata: “Eh, ma quelli sono protestanti … hanno un altro rapporto con il denaro!”.

In una recente intervista televisiva un noto ed autorevole esponente parlamentare del Pdl  si affannava a difendere il vincolo del matrimonio, da lui  considerato naturale, contro l’accettazione delle coppie di fatto, da lui tollerate ma considerate non meritevoli di tutela legale, e per supportare la propria convinzione, che senza  dubbi etici non esita come legislatore a voler far valere per tutti, portava l’esempio della Gran Bretagna, Paese dove secondo lui  “alla diffusione delle coppie di fatto, con conseguente crisi della famiglia, sarebbe correlata la diffusione  del disagio giovanile”.

Ho citato queste due esternazioni per indicare i due limiti culturali, superiore ed inferiore, che delineano lo spazio  evolutivo al cui interno si  distribuiscono le differenti mentalità  con le quali si  interpreta la realtà.

Il primo, quello dell’economista, rappresenta il limite superiore ed è interessante perché rispetto al comune sentire  ci appare ‘anomalo’, in quanto pur partendo da premesse tecniche-economiche, approda con un balzo ad un livello culturale più ampio, ponendosi quindi al di fuori  del sistema per poterlo spiegare.

Il secondo, quello del politico, costituisce invece il limite inferiore ed è interessante perché ci conferma la ‘normalità’ del pensiero ideologico, che comprende e interpreta la realtà solo se e nella misura in cui riesce a farla rientrare nel proprio convincimento, nel suo caso  il  cattolicesimo.

 

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