L’deologia meritocratica.

 L’ultimo mito della società turbo capitalista relativamente a ciò che deve essere inteso come valore è “il merito”.  Questo nuovo totem è il nuovo tabù. Divenuto ormai bipartisan e se si preferisce trasversale. L’affermarsi di criteri meritocratici è ormai principio accettato dalle parti.  Adesso basta con i somari!  Riflessione profonda e decisiva.Per mia intelligenza, differentemente, i somari esistono ancora e sono proprio tra le persone che dicono basta e inneggiano alla meritocrazia. Usando un linguaggio platonico evidenzio che una cosa è l’intelligenza, una cosa è lo spirito. Per spirito intendo la maturazione dell’anima attraverso la morale, la rinuncia all’interesse personale per amore del bene comune; amore per l’onestà unitamente all’amore per la verità: onestà intellettuale.

Spirito e morale sono necessariamente collegati; diversamente, in nulla con la morale relaziona l’intelligenza, il cui uso può essere fatto in ogni direzione a qualsiasi scopo, ad di là del bene e del male. Per realismo dice qualcuno. A nulla serve avere gente preparata nelle università se il prodotto finale è un centodieci e lode in assenza di spirito. Può essere anzi controproducente, o anche molto controproducente: una persona preparata o molto preparata, può essere immatura o anche molto immatura, e avida o anche molto avida. Pronta a vendersi l’anima e anche a servire il demonio. Non per nuoce al prossimo ma solo per interesse personale, senza malanimo né offesa per alcuno.

Come si usa dire: “niente di personale”.  Una coscienza autoripulente.  Lava, asciuga, stende e stira.  Sempre come nuova.

L’idea di laureati centodieci lode asserviti che competono sgomitando o si arrampicano come le scimmie che si arrampicano lasciando la plebe nel fango da cui desiderano e disperano di emergere, intelligentissimi arrivisti che socialmente acquisiscono meriti solo per interesse personale personalmente mi sgomenta e dovrebbe allarmare tutti.  Gli studenti non devono solo pensare a studiare ma anche a formarsi una coscienza sociale, entrambe le condizioni sono indispensabili.  Un “voto” anche in quel senso si renderebbe indispensabile, ma in quel senso non esiste nessuna disciplina e nessuna preparazione. Neppure per la formazione morale e politica di dirigenti in qualità di servitori dello Stato. L’educazione morale è cessata con Platone e le scuole platoniche.

Non è chi è più preparato che più merita, preparazione e merito sono concetti distinti. Merita di più più si rende socialmente utile secondo il concetto del servire sia con la preparazione che con la conoscenza del sociale nel senso del “servire”.

Un buon medico dice Platone non è chi conosce la cura, ci mancherebbe altro, ma chi si prende cura del paziente. Il paziente è la coinè, la cosa pubblica. Meritevoli sono solo i servitori della cosa pubblica, della res publica, i servitori dello Stato. Qualsiasi sia la posizione sociale occupata è interesse di tutti occuparsi di tutti. Chi si sottrae a questo dovere deve essere inteso come nemico della cosa pubblica e indipendentemente dalle capacità personali non gli deve essere riconosciuto alcun merito. Diversamente da quanto affermato da Sgarbi citando il Croce “l’unico uomo onesto è un uomo capace”, Platone evidenzia molto più profondamente che “L’unico uomo onesto è l’uomo che si prende cura del prossimo secondo le proprie capacità”. E ci mancherebbe altro per Platone che  non si avessero capacità. Si tratta di  una condizione necessaria, ma non sufficiente.

Un buon governante trova la cura adatta, ma il suo fine è la felicità del popolo nella sua totalità cosa di cui mai e poi mai si deve scordare. Aziende e produzione sono utili solo se e nella misura in cui la loro attività si svolge e contribuisce alla collettività nel superiore interesse della collettività, solo se l’azienda e la produzione servono il Paese, solo se e nella misura in cui l’azienda e la produzione contribuiscono al bene comune, se agiscono all’interno di questa unica morale, nell’assunzione di questa responsabilità. Il “privato” deve esistere solo per concessione dello Stato ed è concesso dallo Stato solo se lo Stato riconosce nel privato un modo migliore di contribuire all’interesse pubblico. solo se lo Stato nel proprio interesse “appalta” al privato. Diversamente il privato non ha ragione di esistere. Il pubblico interesse, il bene comune, sono concetti che devono superare ogni possibile ideologia. Qualsiasi ideologia che veda nel privato una contrapposizione al pubblico è senz’altro per definizione da condannare come nemica della Res Pubblica.

Chi più merita dunque abbia di più ma il merito deve essere riconosciuto, socialmente riconosciuto dai chi governa, solo nell’ambito di chi si assume anche attraverso attività private responsabilità sociali, a chi agisce con onestà intellettuale qualsiasi sia la sua collocazione, a chi ritiene con coscienza politica che il suo primo dovere è il dovere verso il prossimo e la cura del sociale, un prius entro il quale e solo per merito del quale gli è concesso il profitto. Nessun merito può essere socialmente riconosciuto a chi ritiene che il proprio impegno si esaurisca nella propria realizzazione, nella fedeltà all’azienda o all’amministrazione di appartenenza, privato o pubblico che sia senza tener conto del debito contratto alla nascita verso il sociale.

Forse per la nostra nascita non dobbiamo essere grati a Dio, ma sicuramente dobbiamo esserlo alla nazione. “Fare il proprio dovere non è obbedire (in guerra come in fabbrica) ma essere responsabili” Ditrich Bonhoeffer. Questa responsabilità deve essere prioritariamente intesa come rivolta agli altri, al pubblico, al sociale, anche in un azienda privata.

Diversamente, chi si cura del privato dei propri interessi in opposizione o anche solo in disparte al bene pubblico offende la moralità civile dell’intero paese e non merita di essere né lodato né riconosciuto, né tantomeno premiato con remunerazioni miliardarie.  Non merita di essere lodato chi si disinteressa di politica, chi si disinteressa del sociale, chi si disinteressa in definitiva della  polis. Noi abbiamo avuto per Presidente del Consiglio un rappresentante del Popolo che ha affermato “Chi non fa il proprio interesse è un coglione”, a testimonianza anche della volgarità della persona che dal  “popolo” viene, che al  popolo appartiene e che dal  popolo viene votata.

Meriti scolastici, intellettuali e altro impiegati in intendimenti diversi dal servire la collettività, dal servire il bene pubblico, intendimenti che nuocciono al bene pubblico vanno senz’altro e in ogni modo ostacolati. Chi “genialmente” inventa prodotti come i “derivati strutturati” dopo una laurea e un master negli Stati Uniti non va premiato per merito, ma meritatamente “decapitato”.

L’idea di una meritocrazia che premia manager istruiti e asserviti a tutti i livelli alla sola Produzione al solo Mercato in un Nuovo Ordine Mondiale “mi fa tremar le vene e i polsi”. Un interesse diretto diversamente dal bene comune dovrebbe comunque essere inteso dai laici di buona volontà come simonia. Soprattutto da quelli se dicenti di sinistra, ai quali si ricorda che alla fin fine meritare significa letteralmente essere degni di avere qualcosa.

 

 

 

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