Die Kultur macht frei?

La prima impressione che si ricava dall’articolo su la Repubblica “Lo Stato culturale. Troppi soldi pubblici uccidono la creatività?” è che in Germania ci si stia preparando  alla spending review. Ma non è proprio così. Si tratta di Der Kulturinfarkt,  pamphlet scritto da quattro docenti tedeschi e appena  tradotto in italiano dalla Marsilio Editori, che ha provocato in Germania uno vero shock, non solo nel mondo dell’arte tedesco.  Secondo gli autori “(…) la smisurata offerta e il monopolio statale stanno portando le istituzioni culturali verso il crack non solo economico. Hanno infatti generato conformismo, depresso la creatività, “addomesticato le avanguardie (…)”, arrivando alla conclusione che sarebbe opportuno “Privatizzare o addirittura «eliminare» istituzioni che hanno scarsa tendenza all’autofinanziamento: chiudere la metà dei musei (6000) dei  teatri (140) e delle biblioteche (8000)”.

Sempre secondo l’analisi il pubblico tedesco della cultura negli ultimi 16 anni, a fronte del quasi raddoppio delle risorse e delle offerta (“prodotti più artisti che arte”) è diminuito del 9%… ma sappiamo come  le percentuali falsano a volte la percezione del fenomeno  perchè in valore assoluto la realtà è che permangono 21 milioni di pubblico, ovvero oltre il 25% della intera popolazione tedesca.

Il punto di vista economicistico previlegia oggi, giustificandosi con la crisi, i costi e non considera i prodotti. L’atteggiamento è ben noto: di fronte al mondo reificato del PIL la domanda è sempre la stessa “quanto costa?”. Tuttavia, a proposito del rapporto tra quantità e qualità occorre avere presente le differenze di scala  tra le varie mentalità che affrontano problemi comuni.

E così scopriamo che i quattro autori iconoclasti del mondo dell’arte tedesco arrivono alla seguente conclusione: “Ma, forse, la questione è più delicata di quanto ritengono molti economisti.  Come affermano gli autori di Kulturinfarkt, lo Stato dovrebbe iniziare a dirottare importanti risorse anche sulla formazione: sulle università «artistiche».  Perché, in fondo, è proprio questa la scommessa: investire sulla scuola.  Ecco la battaglia da combattere. Nell’epoca dell’«intelligenza di massa», la sfida è: alfabetizzare in un’ottica contemporanea, trasmettendo solidi valori morali e intellettuali”.

L’alternativa non è tra la condizione della cultura di massa, che non è “roba da stato platonico” (sic!), e la  concezione romantica per cui “si fa poesia o arte quando si sta male”.  Il  fatto è  che la Cultura serve a far crescere in civiltà un popolo e non ad aumentare il Pil.   Solo la cultura ci salverà.