I voti si contano e pesano.

Bersani vincerà il II° turno alle Primarie, ma probabilmente con un margine minore di quello raggiunto al I° turno , mentre la scalata di Renzi al PD si arresterà. Fino al prossimo Congresso del partito nel 2013. In molti benedicono gli effetti  ricostituenti delle Primarie sulle proiezioni di voto politico diffuse in questi giorni: il PD al 34% !   Roba da PCI alle politiche del  ’76  (34,4% dei voti), quando Amendola si spinse a disegnare i contorni di un futuro “partito unico della sinistra”.  In realtà, l’ OPA lanciata da Renzi nell’area di centro-sinistra ha comunque avuto un grande successo e già oggi  il “rottamatorre” lancia chiari messaggi dalla posizione di forza raggiunta:  “un mio partito potrebbe arrivare al 25%”  e  “io non voglio nulla ma noi abbiamo il 36%: che facciamo con chi sta con me, li cancelliamo? E’ chiaro che no.”

Non occorre una  raffinata opera di intelligence per prevedere l’evoluzione nel prossimo futuro dell’area della sinistra italiana: basta applicare il principio metodologico del rasoio di Occam e riflettere sulle ipotesi più semplici :

i) il candidato leader  prescelto con le Primarie,  qualunque esso sia,  faticherà non poco a compattare  una coalizione di centro-sinistra su un programma condiviso  e vincere le elezioni politiche;

ii)  dopo la elezione del Presidente della Repubblica (l’elezione di Mario Monti scompaginerebbe il costitunedo Centro) e i risultati dei primi “cento giorni” di scelte politiche in una crisi sociale ed economica aggravata, si arriverà in ottobre all’ o.k. corral del Congresso del PD, allorchè  una scissione della costola liberal  porterà alla costituzione del nuovo partito di Renzi: un nuovo polo di attrazione per i voti arrabbiati del M5S (spiaggiati in massa nel Parlamento e nei vari Consigli), per quelli delusi del PDL (alla ricerca di un padrone) e per quelli orfani del Centro (alla ricerca di un padre);

iii) al nucleo storico rimasto (zoccolo duro?) rimarrà la prospettiva di rifondare  il  PD su nuove basi più  apertamente e dichiaratamente socialiste,  riassorbendo  i compagni dell’ex SEL ed eleggendo Vendola nuovo segretario .

Con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della  volontà  al II° turno voterò Bersani, ma che tristezza … già fin d’ora appaiono realistiche le premesse per nuove elezioni politiche nel 2014.

 

 

 




La finale di UE Leaders League

Al di là delle regole da applicare per la partecipazione al secondo turno, domenica 2 dicembre torneranno a votare tutti  i 3.110.211 partecipanti che si sono recati al primo turno?  La medesima  partecipazione non è affatto scontata.  Bisogna porre grande attenzione alle dichiarazioni del tipo  ‘voterò uno dei due candidati solo se risponderà alla domanda…’ che nella rete e sui giornali già si diffondono e suscitano confronti e dibattiti.  Tra i delusi e gli scontenti che si annidano nei  566.317  voti dati a Vendola e alla Puppato, forse anche tra i 43.840 dati a Tabacci, vi sono quelli che ‘va bene la democrazia, ma se non vince il mio candidato io non ci stò’.   E’ la tifoseria della curva sud della sinistra italiana.  Vendola, preso atto della sconfitta, si è subito dichiarato per il consolidamento dei voti della propria parte al candidato Bersani, al netto dei profumi di sinistra, con ciò  attirandosi critiche sulla intempestività del suo endorsement.  Io penso che Vendola, con onestà intellettuale e sagacia politica, abbia voluto colmare il vuoto creatosi nelle coscienze dei suoi sostenitori,  consapevole del rischio ‘obiezione di coscienza’ che  può condurli all’assenteismo. La partecipazione al secondo turno sarà dunque  un indicatore del cambiamento culturale e politico in atto.

Poi c’è la scelta di quale candidato premier. E qui la questione si fa difficile perchè si è eccessivamente semplificata polarizzandosi tra le due figure che più e meglio hanno saputo  comunicare al loro popolo.  In questi giorni invece tutto il popolo del centro-sinistra guarda Bersani e Renzi,  avendo però nella mente ancora le figure dei candidati esclusi dalla competizione, mentre questi parleranno per arrivare  oltre il confine del loro elettorato originale e farsi  accettare. Qui è il dilemma della politica: a più persone vuoi che arrivino i tuoi messaggi e più generici essi saranno.

Ironia della storia: il ballottaggio è una pratica decisionale che risale alla Firenze medievale, quando esisteva la Torre della Castagna, nella quale si riunivano i Priori delle Arti per decidere e votare riguardo alle tematiche più importanti. E il termine “ballotta” significa in toscano castagna.  Renzi gioca in casa: mi auguro non gli porti fortuna.




Die Kultur macht frei?

La prima impressione che si ricava dall’articolo su la Repubblica “Lo Stato culturale. Troppi soldi pubblici uccidono la creatività?” è che in Germania ci si stia preparando  alla spending review. Ma non è proprio così. Si tratta di Der Kulturinfarkt,  pamphlet scritto da quattro docenti tedeschi e appena  tradotto in italiano dalla Marsilio Editori, che ha provocato in Germania uno vero shock, non solo nel mondo dell’arte tedesco.  Secondo gli autori “(…) la smisurata offerta e il monopolio statale stanno portando le istituzioni culturali verso il crack non solo economico. Hanno infatti generato conformismo, depresso la creatività, “addomesticato le avanguardie (…)”, arrivando alla conclusione che sarebbe opportuno “Privatizzare o addirittura «eliminare» istituzioni che hanno scarsa tendenza all’autofinanziamento: chiudere la metà dei musei (6000) dei  teatri (140) e delle biblioteche (8000)”.

Sempre secondo l’analisi il pubblico tedesco della cultura negli ultimi 16 anni, a fronte del quasi raddoppio delle risorse e delle offerta (“prodotti più artisti che arte”) è diminuito del 9%… ma sappiamo come  le percentuali falsano a volte la percezione del fenomeno  perchè in valore assoluto la realtà è che permangono 21 milioni di pubblico, ovvero oltre il 25% della intera popolazione tedesca.

Il punto di vista economicistico previlegia oggi, giustificandosi con la crisi, i costi e non considera i prodotti. L’atteggiamento è ben noto: di fronte al mondo reificato del PIL la domanda è sempre la stessa “quanto costa?”. Tuttavia, a proposito del rapporto tra quantità e qualità occorre avere presente le differenze di scala  tra le varie mentalità che affrontano problemi comuni.

E così scopriamo che i quattro autori iconoclasti del mondo dell’arte tedesco arrivono alla seguente conclusione: “Ma, forse, la questione è più delicata di quanto ritengono molti economisti.  Come affermano gli autori di Kulturinfarkt, lo Stato dovrebbe iniziare a dirottare importanti risorse anche sulla formazione: sulle università «artistiche».  Perché, in fondo, è proprio questa la scommessa: investire sulla scuola.  Ecco la battaglia da combattere. Nell’epoca dell’«intelligenza di massa», la sfida è: alfabetizzare in un’ottica contemporanea, trasmettendo solidi valori morali e intellettuali”.

L’alternativa non è tra la condizione della cultura di massa, che non è “roba da stato platonico” (sic!), e la  concezione romantica per cui “si fa poesia o arte quando si sta male”.  Il  fatto è  che la Cultura serve a far crescere in civiltà un popolo e non ad aumentare il Pil.   Solo la cultura ci salverà.

 

 




Una proposta non populista ma popolare

Una formula magica per il debito pubblico: le tasse di successione. Si possono applicare nell’immediato. Nessuno può fuggire. Si possono quantificare. Ridistribuiscono la ricchezza. Portano un fiume di soldi all’Erario. Perché nessun partito ne parla?

La soluzione della crisi merita anche altre attenzioni ed interventi, ma le tasse di successione dovrebbero essere al primo posto in qualsiasi programma di chi si propone a governare. Non è un punto come un altro, ma il primo punto, principe e ineludibile, da prendere in serissima considerazione. Non si tratta solo di cassa, ma di politiche di redistribuzione della ricchezza tra le generazioni basate sul merito e non sull’appartenenza.

Facciamo cambiare lo stile di vita a chi è vissuto al di sopra delle nostre possibilità.

Un’imposta sui patrimoni successori a partire, per esempio, da un milione di euro   proporzionale per aliquote crescenti di patrimonio farebbe incassare all’Erario cifre  sufficienti a sanare gli interessi sul debito pubblico e lasciare in attivo il bilancio dello Stato. In Italia come accade altrove.

Oltretutto hanno la possibilità di un’immediata applicazione senza necessità di dover censire prima i patrimoni:

– hanno il pregio di poter essere applicate anche in un singolo Stato senza tema di fughe di capitali se interviene la possibilità di controllo dei conti esteri.

– hanno un valore perequativo della distribuzione della ricchezza, se con i soldi acquisiti lo Stato torna ad essere lo Stato Imprenditoriale. I padri della Repubblica (De Gasperi, Vanoni e Mattei ) al di là dell’appartenenza ideologia (di matrice cattolica o comunista) per il bene della Nazione, di contro al liberismo, scelsero la “terza via”, quella di mettere lo Stato in competizione sui mercati con le grandi finanziarie. Una via che  portò l’Italia all’uscita della crisi del dopoguerra.  (interessante in proposito il video di Benito Li Vigni, stretto collaboratore di Enrico Mattei, sul blog di Beppe Grillo.)

– hanno il pregio di poter far cambiare stile di vita a chi si è approfittato in passato e ancora si approfitta nel presente per accumulare ricchezze che neppure Mida ha mai sognato, quegli stessi che ora ci vengono a dire che NOI, noi e non loro, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità.

Yes, we can.  Di certo non possiamo pensare che un Parlamento come il nostro possa mai legiferare in questo senso, ma siamo ancora in tempo. Le elezioni si terranno nel 2013 e possiamo impegnarci a votare solo quei partiti che hanno in programma pesanti, pesantissime tasse di successione.

Tasse volte a sanare il debito pubblico e a finanziare gli investimenti di uno Stato Imprenditoriale che torni a riappropriarsi di Enti quali l’ENI e l’IRI e a Nazionalizzare industrie che sottopongono i lavoratori a ricatto e nazionalizzarle allo stesso prezzo con cui le hanno acquistate dallo Stato (vedi Alfa Romeo).

Possiamo pensare a uno Stato Imprenditoriale con sovranità nazionale che compete sul mercato coi privati in patria e nel mondo in modo da contrastare i grandi capitali finanziari. Per queste idealità fu ucciso Mattei e forse anche Kennedy.

Che questo importantissimo e fondamentale punto, le tasse di successione, non compaia nel programma di nessuna forza politica, neppure di sinistra, è fortemente sospetto. Ho un sogno: che dopo parole che hanno sconvolto il mondo e anche l’economia “gli uomini nascono liberi”, vengano altre parole “gli uomini nascono uguali”.  Solo la cultura ci salverà.

 

 




La terza via tra quarto stato e quinto potere.

Il format del confronto televisivo dei cinque candidati alle primarie del centrosinistra può essere considerato un promo del  new labour  italiano. Quale sarà il risultato delle elezioni, Matteo Renzi  può già ritenersi lo stratega vittorioso che è riuscito, dopo Tony Blair in Gran Bretagna e Bettino Craxi in Italia, a reinserire nell’agenda politica italiana la prospettiva di una “terza via”o di un “nuovo corso”, rivolgendosi tanto ai progressisti del PD, quanto ai moderati del centro e centrodestra.

Con la sua immagine di leader giovane e brillante, un pò socialista e un pò liberale, certamente cattolico, brandendo la rottamazione come strumento del rinnovamento politico italiano ha forzato  il processo di rinnovamento nel Partito Democratico  e  sdoganato i moderati  rimasti intrappolati nell’isolamento  centrista o in ostaggio alla follia berlusconiana.  La stessa disposizione del setting televisivo, con la sua figura al centro del gruppo dei candidati, ci indica la posizione da lui conquistata dalla quale ci ammonisce che: sono io l’unica soluzione politica alternativa che può unire il Paese e sconfiggere la deriva  di Grillo, dopo quella di Berlusconi. Déjà vu.

Matteo Renzi e Beppe Grillo sono così diventati i due nuovi poli di attrazione nello spettacolo politico nostrano (presto vedremo con quali numeri,  nel frattempo le proiezioni Primarie collocano  Renzi a circa il 40%, ad un punto da Bersani e  in Sicilia M5S  è risultato il primo partito con  il 15% ).  Un crescente numero di elettori  si recherà alle primarie  polarizzato dal confronto Renzi vs. Bersani, ma avendo in testa  per le future politiche il confronto Renzi vs. Grillo.  Verosimilmente i risultati delle Primarie saranno a favore di Bersani, ma la questione è: al primo o al secondo turno? Già, perchè la prospettiva del ballottaggio, con buona pace dei sostenitori dei valori assoluti della trasparenza e della democraticità, sarà percepita come una sconfitta all’interno del PD di Pierluigi Bersani e la vittoria simbolica oltre il PD di Renzi.

Quanto ai due outsiders Laura Puppato e Bruno Tabacci spiace constatare la scarsa attenzione loro rivolta, che peraltro conferma la supremazia della politica spettacolo. Nel corso del dibattito alcuni hanno vantato l’applicazione delle “quote rosa”nei prorpi governi (Renzi ha chiosato che nella sua giunta c’è una Assessore donna in più dei colleghi uomini, al contrario della Giunta Regione Puglia che rimane al 50%, sic!) senza che alcuno rilevasse che lì, proprio lì, tra i candidati alle Primarie vi fosse una sola donna su cinque candidati.

Laura Puppato, ovvero la concretezza femminile in alternativa al pragmatismo (o cinismo?) maschile. Ma anche lei non scherza con l’deologia, a proposito dell’uso del cellulare durante il dibattito il giorno dopo rivela al mondo che “Il buon Renzi riceveva costantemente i messaggi sul telefonino e li leggeva ” concludendo  con un tono più materno che da potenziale leader che “Questo ragazzo sembrava teleguidato”.  L’ideologia del genere contro l’ideologia dell’età.

Quanto a Bruno Tabacci , stimabile esponente del moderatismo cattolico munito però di etica protestante, non gli è restato che correggere qualche intemperanza nell’interpretazione giovanile per esempio circa l’abbattimento dei costi della politica (10 ministri per governare l’Italia?) e di onestamente chiedere voti non tanto per sè, quanto per il centrosinistra  così ben rappresentato dal mix dei cinque candidati (Bruno Tabacci Ministro?).

Rimane Nichi Vendola, con le sue narrazioni.   Gli anatemi di Dalema prima di cadere su Renzi si rivolsero a Vendola (a quanto  sembra  portano piuttosto fortuna).  Alla realpolitik risulta sempre invisa ogni tipo di narrazione sul futuro, su un nuovo mondo, per un attaccamento ossessivo al principio di realtà  vissuto in opposizione al principio del piacere. Ma qui è il punto di queste Primarie: il confronto tra due tipi di narrazioni.

Quella di Renzi che si presenta realista, pragmatica e concreta: ricambio generazionale e governo efficiente: “Questo non è un programma: la solita raccolta di buone intenzioni e di proposte astratte che popolano le campagne elettorali e spariscono il giorno dopo. Qui non troverete né proclami, né promesse, perché la formula magica per risolvere i problemi dell’Italia non esiste. Ciò che esiste è un Paese stracolmo di capacità e di energie. Un Paese che, nella sua storia, è sempre uscito più bello e più forte dalle crisi che ha attraversato. E lo ha fatto grazie all’unica risorsa naturale della quale dispone in abbondanza: il talento degli italiani”.

Quella di Vendola è così da lui sintetizzabile : “Se vogliamo che il futuro non sia lasciato al caso o diventi un qualcosa di cui avere paura è necessario tornare a credere nel valore delle idee. Le idee sono la causa di tutto ciò che ci circonda e la cultura è la loro unione”. E nelle proposte di Vendola la voce Cultura appare al primo posto, seguita dalla Formazione.  Quali basi più concrete di queste, per esempio, possono fondare un programma davvero realistico e non populista?

Ebbene voterò per Vendola, ma a lui vorrei rivolgere questa critica che è anche il mio rammarico per un’occasione perduta: tu e non Renzi, avendo una giusta  concezione della cultura,  avresti dovuto assumere il ruolo di “rifondare” il Partito Democratico e tutta la sinistra traghettandole fuori dalle storiche secche ideologiche alle quali  sono ancora in parte ancorate,  dal  momento che, senza nulla togliere al valore degli ideali socialisti sempre validi perchè umanitari, non si tratta più di realizzare una missione della storia. E’ questo un retaggio  che frena e limita  la tua stessa prospettiva di  risollevare il nostro Paese dalla palude partitica dell’asse destra-sinistra, con le idee e la cultura che è la loro unione: “L’amore che muove il Sole e le altre stelle”.  Lo spirito non è nella Storia, ma nell’Evoluzione.

L’etica che supporta la mia intelligenza mi induce ancora una volta a partecipare alle Primarie perchè, sebbene nessuno dei cinque candidati rappresenti sufficientemente la mia visione del mondo, c’è un Paese da governare.  Si, ma il modo con cui saranno governati deciderà del loro futuro. Milioni di  persone perbene hanno “diritto alla felicità” perchè la meritano in quanto cittadini in una democrazia (mi permetto una libera citazione di un fondamentale principio tratto dalla Costituzione Americana, che manca alla nostra). Così come in un primo momento abbiamo  accolto favorevolmente il Governo Monti come una finestra che si apriva sulla stanza dall’aria resa irrespirabile dal ventennio berlusconiano, con ciò riequilibrando l’inquinamento indoor con quello atmosferico, oggi penso  si debba comunque sostenere queste Primarie e il risultato che ne seguirà con la  consapevolezza che solo la cultura ci potrà salvare.




Sul viale del tramonto tutte le vacche sembrano rosse.

E’ dunque probabile che  Silvio Berlusconi esca definitivamente dalla scena politica, non senza però dare gli ultimi colpi di coda da caimano ferito. Ma è auspicabile che esca a colpi delle tanto attese sentenze di tribunale? Quando il Cavaliere scese in campo fui tra coloro che temevano la sua entrata nella politica attiva. In seguito, una volta preso atto che l’opposizione non sarebbe riuscita a sconfiggerlo nel merito, ho anch’io accarezzato la possibilità che l’uomo  potesse essere sconfitto nella forma, perché alla fin fine la forma è l’unica dimensione possibile per un uomo di marketing. Dunque nel 1994 un imprenditore edile e televisivo scese in campo per gestire l’azienda Italia.  Con la rottamazione forzata dalla magistratura di una classe politica corrotta si affacciò sul Paese una nuova classe dirigente costituita sì ancora da reduci e rifugiati politici ( gli ex di qualche partito), ma soprattutto da nuovi personaggi,  professionisti e imprenditori. I nuovi stakeholders  della società civile del tempo.

Per il solo fatto che quel  governo fu eletto dal popolo, per altro già infettato dal  vecchio morbo dell’antipolitica e preparato dalle nuove forme di comunicazione della televisione privata, può per questo essere definito un governo politico?

Oggi, in attesa delle elezioni, lo spettacolo della politica si è arrestato. Nuovi Carneade salvatori della patria gareggeranno alle Primarie (di sinistra?, di centro-sinistra?, del PD, del Pdl? del centro- destra?) per occupare il campo della politica e costituire nuovi poli aggregativi e nuovi carri di vincitori su cui salire.  E noi in questo fermo immagine abbiamo forse l’occasione per riflettere e cogliere una verità: non il governo Monti, ma il governo Berlusconi, in tutte le sue edizioni, è stato il vero “governo tecnico” della Seconda Repubblica.

Ricordiamo che le ragioni per le quali il governo di Mario Monti  è stato definito tecnico sono la prima perché i suoi componenti provengono nessuno dalla politica, ma tutti dal mondo universitario, della economia, della finanza, delle professioni e delle istituzioni; la seconda perché nominato direttamente dal Presidente della Repubblica in seguito alle dimissione del IV governo Berlusconi, dunque senza l’avallo del popolo.  Tuttavia, queste due ragioni rimangono solo formali se non si ricorda altresì che la sua missione andava ben aldilà dell’obiettivo tecnico di sanare i conti pubblici. La vera mission del Governo Monti era sostanzialmente politica: da una parte restituire all’Italia la compromessa credibilità presso i governi europei e americano, dall’altra riconquistare la fiducia dei mercati internazionali. Pena il default finanziario ed economico con l’uscita dall’Europa.

L’espediente del ricorso ai tecnici per governare in particolari condizioni di emergenza in verità non è nuovo se ripensando alla nostra storia antica si ricordi la figura del dittatore romano, costitutiva della Repubblica Romana. La motivazione al suo ricorso era politica, in quanto dettata da una crisi  degli equilibri politici, così come politica era la gestione dei poteri nella continuità del perseguimemnto degli interessi generali della Repubblica. Ma sappiamo bene che la storia non si ripete e, d’altra parte, che Silvio Berlusconi non è certo Giulio Cesare.

 

 

 

 

 

 




La democrazia non ammette l’ignoranza.

Una signora intervistata da Radio Popolare sui fatti di Formigoni, Zambetti e company ha dichiarato: “Sono tutti da bruciare … Pisapia per primo”.  Un’altra signora da me sentita per strada ha dichiarato: “Quello che so è che sotto Berlusconi stavo bene e con questo qui sto male,  è questa la verità”. Durante la campagna per Pisapia distribuendo volantini e conversando ho nominato Ruby, “Che rubi, rubi pure” mi ha risposto la signora sottintendendo il cavaliere “purché faccia le cose”.

Possono anche apparirci barzellette, testimonianze di una abissale ignoranza popolare,  tuttavia non possiamo trascurare che questa “ignoranza” vota.   Sottostimando pure la parte della popolazione  animata da questi pensieri ad un valore  minimo del 10%  dobbiamo riflettere sul fatto che il 10% degli elettori rappresenta circa 4 milioni di voti che possono da soli fare la differenza.  Ma al di sopra di questo analfabetismo politico esistono frange di popolazione, in una percentuale più elevata, cui compete un disinteresse politico e sociale e un analfabetismo di ritorno (antipolitica) che costituiscono la maggior parte dell’elettorato. In un panorama di questo tipo senz’altro condivisibile da qualsiasi persona intellettualmente onesta non si comprende come si possa  definire “democratico” il voto di tutti costoro.

Democrazia è prima di tutto conoscenza. Di fatto costoro eleggono politici di secondo o terz’ordine fatti a loro immagine e somiglianza, salvo poi lamentarsene e condannarli. Un bieco opportunismo politico chiamato “realismo” ha procurato voti a gente che ha saputo interpretare la volontà popolare, gente che si fregia del nome di “politico” per aver ottenuto il consenso e con esso la “vittoria”, la vittoria elettorale.  Prima di essere un buon ministro, bisogna essere ministro, recita un adagio.

Ed ecco il punto:  un politico deve fare il bene del popolo, non la sua volontà.

Fare la volontà popolare e come dare al popolo la responsabilità delle proprie azioni e sentirsi poi dal popolo traditi.  Il risultato di questa sciagurata interpretazione della democrazia è sotto gli occhi di tutti.  In passato come ora.  Il risultato dell’aver inseguito al ribasso i tiramenti del popolo per ottenerne il consenso ha portato a una caduta verticale di tutti i valori, primo fra tutti “l’amore” che per intenderci è sceso nell’intendimento collettivo come “bunga, bunga”, un valore che viene diversamente inteso da Dante come “L’Amor che regge il mondo e che tutto lo governa” nella Divina Commedia, un opuscolo con cui, è bene ricordarlo, un Ministro della Repubblica (Tremonti, un uomo concreto)  invitò  a farsi un panino.

Ad una conferenza di Zagrebelsky ho espresso in una nota che la Cultura serve a far crescere in civiltà un popolo e non ad aumentare il Pil.  Zagrebelsky, persona che pur amo e stimo, mi ha risposto che “questo era sottointeso”. Non sono d’accordo, questo non è neppure inteso o nella migliore delle ipotesi sotto-inteso.

Fantasticando ho pensato ad uno Stato in cui la possibilità di voto venisse concessa in linea di principio a tutti, ma, ritenendo il voto un importante momento sociale ed espressione di una volontà, che la possibilità del suo esercizio fosse condizionata perlomeno alla conoscenza di elementari nozioni sociologiche e politiche del vivere civile. In pratica un esame, un esame che non desse altra possibilità che non fosse quella di poter accedere al voto.

Essendo i buoi ormai scappati, un simile progetto, a meno di un atto autoritario del Parlamento, rimane irrealizzabile.  Non rimane quindi che rivolgersi alla Cultura, cercare di promuovere tutte quelle iniziative e quelle forze sociali, partiti compresi, che mettono la Cultura al primo posto tra le iniziative politiche. Ovvero nessuno.

Nessuno ha mai parlato né ancora parla di Cultura. Eppure il primo dovere di ogni governo dovrebbe essere quello di far crescere in civiltà la Nazione.  Questo non è ancora scritto neppure nella nostra pur eccellente Costituzione. Per un politico per cultura si intende “Arte” e “Spettacolo”. Ben vengano. Ma ancora non si intende Filosofia, ovvero quell’educazione dello spirito che fa di un anonimo individuo un cittadino. La crescita culturale è fondamentale per il benessere come per la felicità dei popoli, un fattore per ora in Mente Dei.  Solo la cultura ci salverà.