Nel giorno della memoria una strage dimenticata. Italiani brava gente?

italiani_brava_gente_per_sitoIl messaggio di Berlusconi mi è parso questa volta sincero:  “Il fatto delle leggi razziali è stata la peggior colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi aveva fatto bene”.  Certo coglieva nell’angolo le possibilità elettorali, ma sostanzialmente ritengo che quanto espresso si confaccia alla sua vera anima. Sull’opportunità del momento e della situazione diciamo che è stato colto di sorpresa, bisogna saper guardare anche al comportamento non verbale.  Ma solo gli scritti rimangono.  Da Wikipedia il resoconto dell’attentato al Maresciallo Graziani, viceré d’Etiopia durante una cerimonia il 20 febbraio 1937: 7 morti, 50 feriti.  Nella rappresaglia che ne è seguita (approvata da Mussolini) sterminati migliaia di indigeni.  Così racconta quei momenti il giornalista Ciro Poggiali, ferito leggermente ad una gamba:  «Tutti i civili che si trovano ad Addis Abeba, in mancanza di una organizzazione militare o poliziesca, hanno assunto il compito della vendetta condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovavano ancora in strada. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente”.  Ed ancora, il giornalista dopo avere accompagnato all’ospedale il Viceré torna in città e scrive di aver visto “…un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta.  Neppure le mura domestiche servono a proteggere gli etiopi dalla furia delle squadre che agiscono sotto il diretto controllo della Casa del fascio.  Camicie nere e ascari libici, dopo essere penetrati nei quartieri indigeni, danno fuoco a decine, se non centinaia di tucul, finendo con le bombe a mano coloro che cercavano una via di scampo”.

Migliaia di morti, non si sono mai potuti contare ma si è certi che si tratti di migliaia (significa fino a 10000).  Migliaia compresi vecchi, donne e bambini bruciati nei tucul.  Una strage da far impallidire le rappresaglie naziste.   Dunque, chi sono stati i fascisti italiani?  Usurpatori sanguinari, ignoranti, arroganti e impreparati.  Non aspettarsi un attentato da parte di un popolo oppresso e quanto meno idiota e le misure di rappresaglia avrebbero dovuto apprenderle dai famigerati tedeschi anziché abbandonarsi alla loro natura selvaggia, pura frenesia da pescicane.  La verità è che il fascista è ancora un uomo di Neanderthal. Le sue pulsioni vengono da un passato primordiale, in una postura dello spirito che non ha mai superato la ferocia dell’infanzia dell’umanità,  rivivendo  in un individuo che risulta perciò immaturo per la democrazia.

Mussolini che pure non ha mai ucciso nessuno è direttamente responsabile di genocidio. Un criminale di guerra. Hitler o Stalin hanno mai direttamente ucciso qualcuno? Questa che per Berlusconi è una scusante è invece una imperdonabile aggravante: il non sapere.

Quella del fascismo con il nazismo sarebbe per Berlusconi una “… connivenza non completamente consapevole”.  Questa postura mentale è ravvisabile in un vizio capitale: l’ignavia.  E anche qui, non si tratta di un’esimente ma di un aggravante.  La “volontà di non informarsi” è figlia da un lato della pigrizia, ma dall’altra anche della “volontà di non sapere per non essere coinvolto”.  L’undicesimo comandamento della “canaglia” è farsi-i-cazzi-propri e da grande comunicatore Berlusconi sorride al suo popolo con sguardo di intesa.  In questo caso testimonia un altro vizio capitale l’accidia.

Per inciso ricordo che ignavia e accidia sono ritenuti dalla Chiesa ‘vizi’ e non ‘peccati’, un campo della morale di cui ciascuno deve rendere conto a se stesso e a Dio, con poco o nessun riguardo per il prossimo. In Chiesa nessuna predica. Nessun prete ha mai dichiarato che non interessarsi di politica sia peccato. Eppure Gesù Cristo ha detto che “tutto ciò che accade agli altri accade anche a noi”. Il problema nasce perchè l’ignoranza che impera nel nostro paese scusa con l’insipienza la colpa. Per gli antichi  Greci invece il “non sapere” costituiva colpa maggiore del “sapere” e di certo lo è se l’insipienza è espressa da una volontà.

In Italia questa mentalità è fortemente radicata in buona parte della popolazione e contamina in misura diversa anche la rimanente.  Italiani brava gente?  Senza un grande intervento della cultura presso il popolo non cambierà mai nulla. Se uno non sa e poteva sapere è doppiamente colpevole.  Solo la cultura ci salverà.




Tramonto dell’occidente o suo sorpasso ?

Il sorpasso_Dino_Risi

Quel fenomeno chiamato globalizzazione,  definito come crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale nei diversi ambiti economici e culturali tra i popoli e i luoghi del mondo, dopo l’accellerazione impressale dalla fine della ‘guerra fredda’ ci indica oggi la prospettiva di nuovi equilibri mondiali fondati su più baricentri, quasi coincidenti con i vecchi continenti. Mentre da noi, per esorcizzare la paura del declino, ci si arrovella sui rapporti dell’Italia con l’Euro e il federalismo fiscale, nel mondo si analizzano e discutono le tendenze verso i nuovi “vertiginosi” ordini mondiali.

Il National intelligence Council nel suo ultimo rapporto quinquennale dal titolo “Global trends 2030: alternative worlds” ha perfezionato i risultati della precedente edizione del 2008 confermando il sorpasso cinese degli Stati Uniti in termini di PIL entro il 2030 (si vedano i due articoli Il sorpasso cinese/1 e Il sorpasso cinese/2.).

Una novità dell’aggiornamento consiste nel fatto che il sorpasso avverrà nell’ambito di quello che viene descritto come il “secolo asiatico” (India, Corea, Vietnam, Filippine e Cina).  Lo scenario elaborato dal National Intelligence Council convalida la visione geostrategica di Obama, indicato come “il primo presidente del Pacifico” per vissuto personale e ” soprattutto per la sua lucida visione di un baricentro della storia destinato a spostarsi in quell’area del mondo. Alla quale il presidente ha dedicato i suoi viaggi più importanti: non solo in Cina ma in India, Indonesia, Corea, Giappone, Birmania”.

L’autosufficienza energetica, l’evoluzione tecnologica, la riqualificazione della scuola pubblica e della formazione e la re-industrializzazione sul territorio americano  sono così divenute le principali direttrici di sviluppo della nuova politica degli Stati Uniti, politica detta del soft power, che non rinuncia alla leadership mondiale , questa volta però fondata non più sulla potenza economica e militare, ma sulla capacità di “formare coalizioni basate su interessi comuni”.

E non bastano  le “tigri asiatiche” (volendo considerare il Giappone per la sua storia dalla fine della II Guerra Mondiale come un paese economicamente occidentalizzato) e il soft power americano a spostare gli equilibri nel nuovo ordine mondiale perchè da almeno un decennio concorrono  anche i  “7 leoni dell’Africa” e  gli Stati  dell’America latina  con i loro accellerati sviluppi economici e sociali.

Cosa ne è stato del  motto  di René Dubos “pensa globalmente, agisci localmente” che tanto aveva ispirato progressisti e ambientalisti ?  Di fronte a simili scenari quale senso possono avere le lagnanze di coloro che da oltre un anno gridano indignati contro l’ingerenza dei paesi stranieri (sic!) nella politica nazionale rivendicando il recupero di una sovranità perduta?  Eppure il vero obiettivo dovrebbe apparire loro chiaro, pena la definitiva subalternità dell’Italia ai Paesi europei ed extraeuropei più forti economicamente.  Allo stato attuale della globalizzazione si tratta di concepire per l’Italia all’interno  della Comunità Europea, un ruolo di leadership che sia conforme alla sua posizione geografica nel Mediterraneo (si ascolti Benito Li Vigni, collaboratore di Enrico Mattei) attivare una politica internazionale di alto profilo che la emancipi dalla  sindrome di Crimea.  La rinascita del nostro paese  dipenderà dalla  politica estera che adotterà.

Posta originariamente da Cavour ai Grandi di Europa nel 1856,  la questione italiana ha assunto oggi, con la crisi economica e finanziaria, l’ingerenza Europea nella politica italiana (per altro richiesta dal management politico domestico), la crisi della politica-antipolitica e dei partiti,  i connotati  di un problema non  soltanto di crescita  quanto di consolidamento.  Non si tratta più come all’epoca di Cavour di farsi  riconoscere come un paese unito ed indipendente, ma di  farsi riconoscere come un paese politicamente affidabile ed economicamente sicuro.

E’ nella storia della nostra penisola sebbene territorio per 15 secoli di invasioni, insediamenti e poteri stranieri (altro che l’odierna ingerenza europea) che possiamo tuttavia ritrovare  la principale tra le nostre commodities su cui rifondare un nostro nuovo rinascimento: la cultura.  Oltre a Cavour e l’unità del paese,  oltre all’età delle Signorie e dei Comuni vi fu il Regno di Sicilia che per un secolo e mezzo fu lo Stato più progredito d’Europa accanto al regno inglese.   Federico II, lo  stupor mundi che anticipò il rinascimento italiano di circa due secoli, con il suo regno caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale volte ad unificare le terre e i popoli,  con l’esempio della sua corte luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica, ci suggerisce oggi un modello di strategia da adottare nel quadro politico economico in evoluzione nel mondo.

Si sostiene che per attrarre  investimenti stranieri (non la vendita di aziende e marchi nazionali) bisogna rendersi prima attraenti economicamente assicurando efficienza e legalità su tutto il territorio. E’ vero, c’è dunque un gran lavoro di ristrutturazione domestica da compiere (le cosiddette riforme), ma  la capacità di produrre risultati da tali riforme dipenderà proprio dalla relazione che il paese saprà sviluppare con il resto del mondo. E per  fare ciò occorre una leadership all’altezza della situazione.  La migliore eredità, forse l’unica, che il Governo Monti ha potuto lasciare proprio in quanto composto da tecnici è stata l’indicazione metodologica  per la formazione di un governo politico che avesse come unici criteri di selezione il merito e la competenza.  Poichè il prossimo governo sarà costituito per la terza volta in costanza di una legge elettorale aberrante , la  selezione dei politici sarà responsabilità esclusiva dei partiti e costituirà il banco di prova per verificare la reale possibilità di un avvio del rinnovamento italiano.

Ancora può aiutarci René Dubos con la  seguente riflessione: “Fin dalla preistoria, la terra non è mai stata un Giardino dell’Eden, bensì una Valle delle Decisioni in cui l’adattabilità è cruciale per la sopravvivenza. La terra non è un luogo di riposo. L’uomo è stato creato per combattere, non necessariamente per sé stesso, ma per un continuo processo di crescita emozionale, intellettuale ed etica. Crescere in mezzo ai pericoli è il destino della razza umana, perché questa è la legge dello spirito”. (René Dubos – Mirage of Health, New York, 1959)




Il grande deserto della cultura

Deserto rosso - Michelangelo AntonioniDa “Il grande deserto dei diritti” di Stefano Rodotà, la Repubblica, 3 gennaio 2013: “Si può avere una agenda politica che ricacci sullo sfondo, o ignori del tutto, i diritti fondamentali?  (…) Un’Italia che ha perduto il filo dei diritti e, qui come altrove, è caduta prigioniera di una profonda regressione culturale e politica (…) Le conferme di una valutazione così pessimistica possono essere cercate nel disastro della cosiddetta Seconda Repubblica e nelle ambiguità dell’Agenda per eccellenza, quella che porta il nome di Mario Monti (…)Ed ancora:  “La tutela dei diritti si è spostata fuori del campo della politica (…) Divenuta riferimento obbligato, l’Agenda Monti può offrire un punto di partenza della discussione. Nelle sue venticinque pagine, i diritti compaiono quasi sempre in maniera indiretta, nel bozzolo di una pervasiva dimensione economica (…) Era lecito attendersi che la giusta attenzione per la necessità di procedere verso una vera Unione politica fosse accompagnata dalla sottolineatura esplicita che non si vuole costruire soltanto una più efficiente Europa dei mercati ma, insieme una più forte Europa dei diritti (…) Solo nei diritti i cittadini possono cogliere il “valore aggiunto” dell’Europa  (…) Una agenda politica ambiziosa ha bisogno di orizzonti più larghi, di maggior respiro. Mostrano come un vero cambio di passo non possa venire da una politica ad una dimensione, quella dell’economia”.

Caro Stefano Rodotà,  lei è l’unica persona con cui mi identificherei per essere da me votata. Ammiro da sempre la sua onestà intellettuale e nessuno più di lei meriterebbe la Presidenza della Repubblica. Nessuna esagerazione. Contrariamente l’ho vista sempre in disparte, tenuto in considerazione di “grillo parlante” da gente di mediocre ingegno che stimandola poco “pratico” l’ha confinata in un ruolo professorale fuori dalla guida del paese. Beata insipienza.

Quel “valore aggiunto” cui lei si riferisce ha nome CULTURA, muove lo spirito dei popoli verso nuovi traguardi di civiltà. Un avanzamento reale che cambia l’aria del luogo in cui si vive e anche e non solo l’economia. La Cultura purtroppo è da sempre fuori dall’Agenda dei politici. Se progressi si sono fatti nella società civile in merito all’acquisizione di nuovi più civili diritti questo è avvenuto sempre per merito di movimenti e di minoranze cui in seguito e solo inseguito, ritenuti maturi i tempi, la legislazione si è adeguata.

Finché questo non sarà inteso dalla politica e gli uomini non saranno fatti per l’Economia ma l’economia per gli Uomini, non c’è speranza di cambiamento. L’importanza della CULTURA non è ancora stata compresa né dai politici né dal popolo. La contro-cultura, invece, ovvero l’assenza di cultura, minaccia oggi oltre che i diritti civili anche i diritti del lavoro, la vita e la sopravvivenza. Un becero intendimento della cultura da parte dei politici ha affossato ogni possibilità di crescita in un paese in cui si confonde cultura con spettacolo e si condanna la satira in quanto “informa”.

E infatti la CULTURA non è “intrattenimento” ma spirito e mentalità del popolo di una nazione che riconosce, o non riconosce, nell’altro i propri e gli altrui diritti. Questa becera insipienza nel disconoscimento della cultura nella sua natura filosofica è causa dei peggiori mali che hanno afflitto nel passato il nostro paese, molto più e al di là delle tasse e dell’economia.

Non a caso l’Agenda Monti è disattenta. Caro Rodotà la “tua” proverbiale modestia e prudenza invita a non fare congetture malevole sull’altrui operato, ma che Monti sappia o non sappia si rende ugualmente colpevole.  Solo la cultura ci salverà.