Captatio benevolentiae

Pericle

Nel caos della politica e dell’etica italiana il Papa Francesco, i Presidenti della Camera Laura Boldrini e del Senato Pietro Grasso, persone singolarmente stimabili, si sono presentati come un attrattore nei confronti di un popolo culturalmente vulnerabile e reso insicuro dalla crisi economica.  I discorsi d’insediamento con i quali si sono presentati appaiono accomunati da un’abile ed efficace retorica (l’arte del dire) che mischia elementi laici a quelli religiosi.  Già da questi discorsi abbiamo una prima conferma della principale verità emersa con gli esiti elettorali: la sostituzione del bipolarismo con il bipopulismo, di destra e di sinistra.  Il fatto è che gli italiani hanno bisogno del populismo per fare politica.

Da questa constatazione, che di per sé non costituirebbe un limite negativo per l’evoluzione della democrazia, discendono però importanti considerazioni sulla comunicazione politica, che ricordiamo riguarda il rapporto uno-molti.

Nei passati regimi politici totalitari la comunicazione politica era chiamata propaganda e veniva considerata di fondamentale importanza nella formazione del popolo. Nei regimi economico-finanziari contemporanei essa è stata sostituita dal marketing. Le parate militari, le adunanze oceaniche, i comizi e i cortei sono stati tendenzialmente sostituiti dai talk show televisivi e più recentemente dall’illusione partecipativa offerta dal web, mentre il duce o il führer o il dittatore del proletariato è stato sostituito dal leader.

Viviamo in una società della percezione dove la comunicazione è divenuta spettacolo, che non è più un banale insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone mediato da immagini dove tutto ciò che un tempo era vissuto direttamente si è trasformato in una rappresentazione. E le tecniche impiegate sono quelle della pubblicità: la ripetizione ossessiva di un messaggio isterico, che vende ciò di cui non parla e parla di ciò che non vende.

Papa Francesco benedice tutti, anche i non credenti, e invoca la misericordia,  il Presidente della Camera vuole rappresentare  i diritti degli ultimi, il Presidente del Senato invoca la concordia e la pace sociale.  Il sentire comune dei religiosi e dei laici, in assenza della ragione, si coagula così su messaggi ecumenici rassicuranti che placano l’angoscia causata dall’incertezza e dall’insicurezza del mondo, là fuori:  il bisogno di religere attorno al sacro si sostituisce a quello della politeia.

In omaggio alla retorica, alla demagogia, alla democrazia e al popolo ricordo il Discorso agli Ateniesi, 461 a.C. di Pericle, nella speranza di poterlo ascoltare, con gli opportuni adattamenti alla nostra epoca e condizione, pronunciato da un futuro Presidente del Consiglio o Presidente della Repubblica:

“Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.  Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.  La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.  Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.  Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.  Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.  E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.  Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.  Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.  Qui ad Atene noi facciamo così.”    

 

 

 




Appello al 50% dei neoeletti nel MoVimento 5 Stelle.

images-1Voi siete i primi rappresentati della società civile approdati in Parlamento votati da una maggioranza relativa di cittadini  che, al di là dei tradizionali schiaramenti partitici, hanno espresso una volontà assoluta per un reale ed urgente cambiamento del nostro Paese.

Non rinunciate dunque a governare, ma abbiate l’orgoglio e la responsabilità di rappresentare questa volontà democraticamente espressa. Voi non avete il vincolo di mandato e avete oggi l’occasione di mostrare il vero significato di questa norma della nostra Costituzione, sentendovi come coloni ribelli ispirati  dal seguente principio della Dichiarazione di Indipendenza Americana:

“(…) ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.  Certamente, prudenza vorrà che i governi di antica data non siano cambiati per ragioni futili e peregrine; e in conseguenza l’esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini sono disposti a sopportare gli effetti d’un malgoverno finché siano sopportabili, piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire (…)”

Per voi deve iniziare la fase costruttiva, la più difficile e impegnativa ma oggi anche la più necessaria. Dovete al più presto liberarvi dalle strategie e dalle tattiche della vecchia politica che scambiando i fini con i mezzi vuole usare i voti non per governare, ma per esistere come potere.

Costituitevi alla Camera e al Senato come Gruppo Indipendente e, agendo nella prospettiva di una legislatura, promuovete o appoggiate quelle leggi che ritenete giuste e necessarie per il cambiamento per il quale siete stati votati.




Vox populi, vox Dei ?

imagesC’è chi pensa che i fenomeni sociali siano descrivibili attraverso una definizione come quella di un dizionario. Per certo una definizione delle parole è indispensabile, ma solo per determinare il campo entro cui un fenomeno si determina.

Sul Blog di Grillo del 7/3/2013  Dario Fo così scrive: “Molti mi scrivono e mi telefonano, addirittura c’è chi mi ferma per strada, chiedendomi: “Ma non le pare che Grillo, a parte il suo talento, sia di fatto un populista?”. “Fermi tutti – rispondo – voi sapete che significato abbia l’espressione populista?”.  Il dizionario dice che populista è colui che intende migliorare la posizione del popolo permettendogli di sfuggire alle violenze della classe dominante, ai ricatti e allo sfruttamento. Quindi è un termine positivo completamente opposto all’altro termine: demagogo. Forse coloro che con tanta leggerezza usano la definizione di ‘populista’ per denigrare un oppositore, dovrebbero ritornare sul dizionario e consultare il termine alla voce demagogo e scoprirebbero che al contrario, quell’espressione, significa ‘colui che con ipocrisia ben calcolata, cerca di sfruttare l’ingenuità di una popolazione per trarne vantaggi indegni’.  Quindi, miei cari, avete sbagliato termine. Ora, è buona norma quando si attribuisce un comportamento a qualcuno, specie verso Grillo, conoscere il significato del termine che si usa. Attenzione, questa mia non è una banale pedanteria lessicale, ma qualcosa che impone una seria attenzione alla conoscenza del linguaggio.”

Poichè non confondo il significato con il significante e d’altra parte ripongo anch’io grande attenzione al significato delle parole riporto qui di seguito alcune definizioni del termine populismo riprese da tre dizionari della lingua italiana:

–  (Devoto Oli)  movimento politico-culturale russo che si sviluppò nel XIX sec…; per estensione qualsiasi movimento politico socialistoide, diretto da esaltazione demagogica delle qualità e capacità delle classi popolari.

– (Gabrielli Aldo)  i) letteratura: tendenza di alcuni movimenti letterari e artistici ad assumere e rappresentare il popolo come portatore, di per sé, di valori etici e sociali;  ii) politica: atteggiamento di chi cerca consensi tra le classi sociali meno evolute, usando a questo scopo luoghi comuni di facile presa; iii) storia: movimento politico e letterario russo della seconda metà dell’Ottocento, tendente ad avvicinare le classi colte alle masse popolari.

– (Sabatini Coletti)  i) atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari; ii) spregiativo: atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità.

Populismo e demagogia possono anche essere sinonimi in dipendenza del giudizio di valore che si da agli stessi. In un gruppo di lupi la gerarchia è indispensabile per la sopravvivenza del gruppo. Possiamo dire quindi che un sistema fortemente gerarchizzato e assolutamente autoritario è il sistema più democratico per agire per il bene comune.

In generale la demagogia è l’arte di rapportarsi al popolo da parte del potere (le citazioni che seguono sono tratte da Demagogia di Luciano Canfora, Sellerio editore Palermo).  Essa, la demagogia, non assume in Grecia fin dagli inizi valore negativo (Cavalieri, Aristofane), il termine indica semplicemente la guida politica della città.  “Ormai-dice il servo-non tocca più alle persone ben educate e per bene, è andata a finire (la demagogia) nelle mani di un ignorante schifoso”…”conquista tutti con manicaretti di parole; requisiti per la demagogia: una voce ripugnante, origini basse, volgarità; ha tutto quello che serve a far politica”.  “Non è tanto la demagogia un disvalore: gli è che oggi la si deve praticare con mezzi bassi”. Così opina Aristofane.

Già da qui si comprende che il valore di un termine dipende nel senso dal giudizio che del termine si dà legato all’epoca, ma anche dal giudizio che si dà a chi del termine si impossessa e che termine riveste.  Il trono occupato dal demagogo (termine usato all’inizio come lo stratega che pianificava l’operato di governo in favore del bene comune) viene in seguito occupato da personaggi che tentano con ogni mezzo di accaparrarsi il favore del popolo non per il popolo ma a propri fini.  L’idealità del bene comune (quale esso sia) viene perduta.

L’allargamento della partecipazione al potere operata da Pericle anche al popolo comporta l’intervento al potere dei capi popolo, gente rozza e ignorante sia delle cose di potere sia della vita.  La democrazia nel suo significato di dare sempre più potere al popolo e strettamente collegata alla cultura in seno al popolo. Se si toglie la gerarchia nasce l’anarchia e i lupi si sbranano l’uno con l’altro. Troppa libertà crea anarchia, l’aumento della conflittualità dentro e fuori dal gruppo che può causare la scomparsa del gruppo.

La storia procede con un graduale passaggio del testimone dalle classi più colte e agiate alle classi meno colte e meno agiate, prima l’aristocrazia poi borghesia, da ultimo al popolo. Un passaggio troppo veloce causa un’immissione di ignoranza che sale al potere e il potere per contenere la folla necessita della retorica, ovvero di un’ipocrisia che richiama nel popolo i suoi sentimenti più bassi attraverso gestualità primitive. Per le folle conta solo il tono e i gesti, non sono in grado di comprendere i contenuti e men che meno di analizzarli.

Chi dice “la gente non è stupida” dà un giudizio di valore assoluto. Non esiste gente stupida o gente intelligente, ma solo un livello di crescita della cultura popolare ben determinato in ogni epoca.  Per ogni cultura è possibile solo un certo regime, quale esso sia, come detto anche una dittatura o un tiranno possono essere sulla via della democrazia se nel loro agire procurano benefici al popolo. Il popolo infatti ha sempre adorato i dittatori. È una fede antica.

Si tratta quindi di una mentalità, quella del popolo, ma non solo quella del popolo, che si va evolvendo storicamente in senso democratico. Lentamente il potere arretra ma lo deve fare nei modi e nei tempi opportuni.

Distinguo così quattro categorie di pensiero: i reazionari, i conservatori, i riformisti, i rivoluzionari.  Reazionari sono coloro che vorrebbero ritornare al passato per mantenere i loro privilegi perduti; i conservatori sono coloro che ritengono che non si debba cambiare; i riformisti sono coloro che ritengono si debba cambiare progressivamente; i rivoluzionari coloro che ritengono che sia tutto da cambiare.

Gli atteggiamenti verso il popolo sono diversi a seconda dello stato in cui il popolo si trova. In genere e solo in genere e ad esempio. In un regime assolutista di sola nobiltà i reazionari disprezzano il popolo e lo schiavizzano; in un regime dittatoriale lo incensano ma solo come idealità, lo usano e vessano; in un regime democratico lo adulano, si dicono uno di loro e salgono sullo Yacht; i conservatori a loro volta si dividono in due categorie, quelli che vogliono mantenere i propri privilegi e coloro che ritengono che sia troppo presto per cambiare, per concedere potere al popolo.

Tra questi sicuramente Antonio Gramsci che nel ’20 scrive sull’Avanti (29 agosto) “che cosa intendiamo per demagogia? E indica il linguaggio degli “anarchici e sindacalisti”. Gli uomini del risorgimento furono dei grandissimi demagoghi, fecero del popolo-nazione uno strumento degradandolo”, “grandissimi demagoghi” risorgimentali che ricorsero all’uso disinvolto del plebiscito.  Sebbene aggiunge Gramsci siano stati i partiti di destra ad aver fatto appello alla “feccia popolare”, da cui ecco qui in sintesi il populismo di destra e di sinistra le due diverse retoriche che abbracciano strati diversi della popolazione, la “feccia” e gli utopisti. Gramsci era ovviamente anche un progressista perché aveva a cuore la democrazia ovvero il bene del popolo, ma riteneva che la libertà maturasse nel popolo con la cultura. Questo per comprendere che si deve intendere per cultura.

Ora. Chiaramente la democrazia non uno stato ma un moto, un ravvicinamento delle condizioni sociali e del diritto all’esistenza e oltre a questa, alla vita, un processo che deve avvenire gradualmente a meno, sia a destra che a sinistra, di spargimenti di sangue: rivoluzione e repressione. Questo processo implica necessariamente la crescita della cultura popolare con tutti i mezzi che lo Stato ha a disposizione.

Ora Grillo ha in mano la feccia di destra e gli utopisti di sinistra: una bomba ad orologeria.  In conclusione potremo definire democratico chi agisce disinteressatamente nell’interesse collettivo per il bene comune al di là dei termini e dei regimi usati, per diminuire le disuguaglianze sociali. Ciò può avvenire in una democrazia come in una dittatura. Rimane che in una democrazia la cultura del popolo è maggiore che in una dittatura, ma non basta cambiare regime per far aumentare la cultura e passaggi troppo rapidi, magari d’importazione, possono essere violenti.