La solitudine del numero chiuso.

images“Io sarò probabilmente l’ultima tra i figli di operai a potermi laureare”. Queste parole pronunciate da una giovane studentessa intervistata nel talk show di turno tra l’indifferenza generale, mi hanno provocato un groppo allo stomaco e suscitato un’indicibile rabbia. Sembra che nessuno comprenda in queste poche parole la disfatta sociale, perché  la più grande sciagura sociale è ostacolare l’accesso alla cultura.

Mentre ci si riempie la bocca di meritocrazia, nova dea in mente dei et in culo hominum, si finge di dimenticarsi che il merito in una società cannibale dipende quasi esclusivamente da dove e da chi sei nato, dalle condizioni sociali di casta, di classe, di ruolo, secondo appartenenza. In quel ristrettissimo “quasi” tutta l’ipocrisia, perché per i più il futuro resta e sarà sempre più barrato. Anche la sinistra (ma quale sinistra?) ha accettato la logica liberista di contingentare l’accesso alla cultura. Sacrificare, lasciare indietro, una necessità. “Tagliare”, non un infinito ma un imperativo, un imperativo che pare infinito. In modo strisciante è stato reintrodotto il numero chiuso. Numero chiuso e alte tasse. Selezione.

In un paese in cui il numero di laureati è tra i più bassi in Europa, 20% contro la media europea del 37% e la media Inglese del 50%, ci si permette il lusso di precarizzare il futuro del paese con un numero chiuso, alte tasse universitarie e tagli al diritto allo studio. Secondo merito? Qualcuno ha ancora dubbi che l’università sia tornata ad essere un lusso? “Io sarò probabilmente l’ultima …” è un grido di dolore ma anche una frase che grida vendetta. Di fatto il diritto allo studio è stato calpestato. La spinta al privato ovvero all’esclusione, all’emarginazione, alla disuguaglianza, alla sudditanza si opera a partire da qui.

Proposte per finanziare l’università, per eliminare il numero chiuso, per diminuire le tasse? Nessuna. Non si parla neppure più di difendere la scuola pubblica. Proposte per incrementare la cultura umanistica, oltre a quella scientifica, ovvero quella cultura che permette di fare di laureati cittadini in grado di contribuire al bene comune, unico merito riconoscibile a chi si laurea? Nessuna. I politici ignorano (non conoscono neppure) il problema, non sanno neppure che intendimento dare (cosa sia) alla Cultura.

Abbiamo davanti un futuro che è solo un ritorno al passato. Le condizioni dell’Italia nel 68’ non erano certo più floride del presente, eppure, lo voglio ricordare, le lotte studentesche sono riuscite ad imporre il pieno diritto di accesso all’università a tutti. Poi piano, piano il new deal liberista si è ripreso i privilegi riservati alla casta mentre finge riforme popolari, ironia: col consenso del popolo.

La cultura è un elemento strutturale uno dei pilastri insieme a economia e politica di un sociale laico; questi mal-nati parlano di “riforme strutturali” e neppure la intendono. I figli degli operai e ora anche quelli degli imprenditori non potranno più studiare, una massa crescente della popolazione non avrà più accesso all’università, non potrà più pagarsi un mutuo per avere una casa, non potrà più farsi una famiglia e poter vivere secondo quello che nella costituzione americana è uno dei fondamentali diritti: il diritto alla felicità.

“Questo è il paese del bengodi”, dice Pantalone, “Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, ”Colpa delle pensioni baby”…. una serie di indicibili pseudo-verità proferite da chi di fatto “ha vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, nel lusso e spesso, troppo spesso nel lusso con la frode. Ma basta ripetere e la gente se ne convince e a sua volta cita queste bestemmie pensandole proprie . Polli che votano la volpe a guardia del pollaio.

Così un paese economicamente e culturalmente immiserito trova anche il diritto allo studio barrato dalla crisi. Non più investendo in istruzione e in cultura conseguirà un futuro barrato nella crescita e sprofondato nella disuguaglianza, alla deriva verso il terzo mondo. Tutto questo mentre un illusionista al 40% si fa paladino della speranza. Ma di speranza non si tratta, bensì di paura. “Io sarò probabilmente l’ultima …” è l’annuncio di una tragedia, la fine di un’epoca e nessuno pare rendersene conto.   Solo la cultura potrà salvarci.

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