Kalashnikov e Toyota

055502942-0b7f5f60-73de-44f0-8081-0d36b68a60fdAdesso sappiamo che l’arruolamento nelle  milizie dell’ISIS è un lavoro regolato da un contratto: conversione all’Islam, adesione alla guerra santa con turni di combattimento fino a 16 ore in cambio di uno stipendio fisso, una scheda di valutazione con premio di produttività (numero uccisioni e/o ferite subite),

permessi matrimoniali, droghe gratis per sostenere il ritmo, compreso il viagra per sostenere gli stupri. Il tutto sotto il controllo di una efficiente organizzazione interna, con tanto di comitato di controllo e di timbri. Molto di più dei soliti mercenari o contractors, dunque, veri soldati che trovano nel costituendo califfato Dio Patria e Famiglia.

Se andiamo oltre lo sgomento per l’orrore provato alla visione delle ripetute immagini di gole sgozzate, di prigionieri ingabbiati e bruciati, di fucilazioni di massa, sgomento accompagnato dalla paura provocata dalle ripetute minacce di invasione e di attentati nelle nostre città, e riprendiamo quindi il controllo con la ragione, potremo intravedere la politica che dovremmo assumere nei confronti del terrorismo jihadista che proclama la costituzione di uno Stato Islamico in fieri.

Come è stato già fatto osservare altrove, le immagini delle efferate uccisioni sono state montate con un uso sapiente delle regole e delle tecniche della comunicazione del marketing e pubblicità, inventate per altro nella nostra cultura, mostrando al cittadino del’Occidente già assuefatto alle guerre mondiali, alle esecuzioni di massa e alle shoah singole esecuzioni di singoli uomini. Sia la vittima in ginocchio a volto scoperto nella sua tuta arancione che il carnefice col volto nascosto, il coltello puntato, nascosto dalla sua tuta nera, “guardano in macchina”, guardano noi che in solitudine di fronte allo schermo li guardiamo attoniti. Il messaggio subliminale voluto e trasmesso è evidente: quello a cui stai assistendo può accadere anche a te. La minaccia psicologica è più potente di quella militare. Ma se poi subentra la generalizzazione per cui l’efferatezza dello jihadista diventa l’intolleranza dell’islamismo il gioco è fatto: il piano si inclina, la pietra comincia a rotolare e nessuno la può più fermare. La paranoia è tra noi.

Primo flashback. Hitler negli anni che precedettero la guerra lasciò credere ad alcuni gerarchi nazisti  che la soluzione del problema ebraico potesse essere risolto liberando l’intera Europa conferendo agli ebrei “una terra da mettere sotto i piedi” (per esempio il progetto di deportarli in Madagascar coltivato da Eichmann), ma in realtà sappiamo che Hitler aveva già deciso lo sterminio di tutti gli ebrei già nel Mein Kampf e che lo aveva rilevato come progetto da attuare solo a pochissimi suoi stretti e fedeli seguaci. Ancora oggi proviamo orrore per l’Olocausto, ma lo proviamo per l’enormità della strage e per le assurdità delle motivazioni piuttosto che per il metodo con cui è stata condotta. L’inesorabile e costante processo di disumanizzazione degli ebrei (Untermenschen) perpetuato per tutto il periodo del nazismo, considerati prima come merce forza-lavoro poi solo come oggetti, ha permesso l’applicazione della razionalità produttivistica realizzata in maniera così efferata nei campi di sterminio (Conferenza di Wannsee). In altre parole ciò che dovrebbe di più inorridire nella shoah non è tanto il risultato, perché l’occidente ha conosciuto altri olocausti, quanto il modo con cui è stata realizzata: la rivelazione che la economia e la tecnica possano dominare gli umani a tal punto.

Non dimentichiamo che sugli ingressi dei campi di sterminio nazisti v’era scritto Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi). Ma non si dimentichi neppure gli stermini stalinisti che per un periodo ancora più lungo e con genocidi ancora più vasti hanno visto sugli ingressi dei gulag la scritta Trudom domoj (con il lavoro si torna a casa).

Ora, superiamo lo shock e riflettiamo con la ragione domandandoci se esiste una razionalità anche nei comportamenti delle milizie jihadiste per capire cosa realmente vuole il Da’ish . La costituzione di uno Stato Islamico costituisce il mezzo per combattere e distruggere la civiltà occidentale o il fine non è piuttosto la costituzione di un nuovo potere centrale, essendo la nuova e spietata forma di terrorismo solo il mezzo con il quale raggiungere tale fine? Ed ancora: questo terrorismo è finalizzato solo a spaventare gli occidentali inducendo in loro il senso di colpa per le responsabilità colonialiste ed imperialiste o piuttosto serve a dare sicurezza alle innumerevoli tribù private del capo-dittatore che fornisce loro una prospettiva di unificazione nel vuoto politico di quei territori? Appare chiaro che comprendere senza ideologie pregiudizievoli i fenomeni che stanno avvenendo anche in Libia, non solo riducendoli alla sola connotazione religiosa, ma inquadrandoli sul piano antropologico, storico, economico e sociale, significa trovare la chiave interpretativa di ciò che sta accadendo in quei territori per approntare quindi una solida strategia di confronto con la nuova realtà, che non si riduca alla sterile contrapposizione tra una diplomazia di convenienza e la possibilità di una guerra.

Secondo flashback. L’espansione dell’Islam tra il VII e VIII secolo ebbe inizio con l’unificazione delle tribù beduine arabe perseguita da Maometto e proseguì dopo la morte del Profeta con una guerra di espansione per la costituzione del Califfato che con una sorprendente rapidità sconfisse gli imperi Persiano e Bizantino: i territori occupati si estesero dalla penisola Iberica, lungo la costa africana del Mediterraneo fino ai territori del Medio Oriente ed Oriente. Fino alle crociate del XI e XIII secolo gli arabi convissero con i poteri allora esistenti in Europa mantenendo quegli stessi equilibri di potere che da secoli sussistevano fra i poteri europei medesimi. Non solo, ma anche durante il periodo delle Crociate la cultura araba raggiunse in Spagna e nel Regno di Sicilia di Federico II di Svevia livelli di cultura e civiltà senza eguali.

L’attuale rappresentazione mediatica degli accadimenti nel mondo islamico, connotata dai commenti di politologi e dalle dichiarazione dei politici, rivela un’angoscia accompagnata dall’assenza della comprensione razionale del fenomeno  con ciò offrendo al nuovo nemico, il progetto di uno stato islamico, la conferma della sua giusta strategia. Questa irrazionalità del mondo occidentale tende sempre più a cedere verso la necessità del ricorso alla “guerra”, anche se giustificata dalla legittima difesa, quasi una nuova edizione della “soluzione finale” della questione del terrorismo islamico. Tutto ciò senza considerare, al di là delle criticità sul puro piano militare, i devastanti effetti collaterali di ordine politico e sociale nei confronti delle tribù (non popoli) locali e più in generale delle divisioni interne presenti nel mondo islamico. Dischiuso il vaso di Pandora con l’eliminazione dei dittatori,  alcune componenti pure presenti nelle “primavere arabe” dovrebbero ancor più oggi essere recuperate con un accorta strategia di sostegno politico ed economico, anche con le armi quando necessario, alla causa della costituzione di una democrazia.

Dobbiamo accettare la prospettiva, anche se non ci piace, che nei prossimi anni dovremo fare i conti con un nuovo Stato che pretenderà di sedersi al tavolo dei grandi per stabilire un nuovo ordine mondiale. A quel punto coloro che oggi sono gli irriducibili terroristi nemici dell’occidente si proporranno come  la nuova classe dirigente con la quale trattare. Vale anche per l’ISIS la famosa e tanto celebrata affermazione di von Clausewitz secondo cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, mentre l’Occidente deve ricordare quanto lo stesso autore scrive altrove: ” In qualunque modo io possa immaginare la relazione tra me e il resto del mondo, la mia strada passerà sempre attraverso un campo di battaglia.” Ormai solo un dio ci può salvare?