La lista di Schindler è aperta

 

UnknownimagesAll’epoca di Omero la cerimonia dell’ecatombe, il ‘magnifico sacrificio’, copriva gran parte dell’area del mar Mediterraneo e si trattava di sacrifici di animali, buoi o agnelli. Oggi sono i  migranti stessi che a a migliaia si offrono in sacrificio pur di sfuggire alle persecuzioni, alla fame e alla morte nelle loro terre. Siamo di fronte ad un sacrificio sull’altare della civiltà. Si propongono accordi commerciali di libero scambio intercontinentali delle merci, ma non si propone l’apertura delle frontiere internazionali per la libera e legale circolazione degli uomini, siano essi lavoratori che turisti, profughi o migranti. Al di là della costernazione per gli annegamenti in mare, al di là delle risposte muscolari fatte di blocchi navali, aerei o terrestri e di distruzione delle barche degli scafisti, anche le argomentazioni sostenute da alcuni sensibili intellettuali e ONG  per dare una risposta positiva e razionale al fenomeno migratorio rimangono pur tuttavia nell’ordine del pensiero economico: l’Europa ha una demografia in declino e mentre le imprese cercano lavoratori che non trovano all’interno delle popolazioni nazionali, lo Stato teme che l’equilibrio previdenziale tra qualche decennio non sarà più finanziato. Il pensiero calcolante della tecnica domina sull’uomo: si sostiene un’azione perché conviene, non perché è giusta.

Il fatto è che la migrazione in corso che sgomenta l’opinione pubblica europea rappresenta soltanto la colata lavica di quell’eruzione da tempo esplosa costituita dall’evoluzione demografica planetaria. Oggi l’Europa UE-28 con i suoi 505 milioni di abitanti è avviata al declino demografico (la non sostituibilità demografica) con un tasso di fertilità medio al 1,6 figli per donna (in Italia è 1,4), mentre il continente africano conta già oltre 1,1 miliardi di abitanti e le proiezioni lo assestano a 1,6 nel 2030 e al doppio entro il 2050.

Ma il continente africano non è solo l’epicentro dell’esplosione demografica, esso è anche il teatro del confronto strategico sempre più diretto tra USA e Cina, in relazione agli interessi che questi paesi mostrano per le enormi risorse minerarie ed energetiche del continente. Se osserviamo l’area dell’Africa centrale tra i due Oceani Atlantico e Indiano  vi troveremo la presenza economica e militare delle due più grandi potenze oggi sul pianeta, gli Usa negli Stati del Senegal, Liberia, Ghana, Nigeria, Kenya e Sudafrica e la Cina in Sudan, Kenya, Nigeria e Mali. A partire dal 2000 con il Forum per la cooperazione Cina-Africa  (Focac) si formalizzano gli interessi del governo cinese sul continente in termini politici, economici e militari. Ed è proprio questo combinato disposto sul suolo africano tra il fattore demografico e il nuovo colonialismo Cina-USA a creare le condizioni per il nascere e lo svilupparsi delle guerre che stanno divampando, sotto la forma di scontri tra le popolazioni locali e terrorismo. Queste guerre a loro volta inducono quei nuovi flussi migratori crescenti che premono verso l’Europa come uno tsunami provocato dal maremoto. L’Europa imbrigliata nella rete delle sue divisioni nazionali si trova così imbrigliata tra il nuovo “colonialismo imperiale” USA-Cina e il conflitto emergente tra USA e Russia, lasciata sola a gestire i flussi migratori sul suo nuovo confine del mar Mediterraneo. “Mare nostrum”, “Frontex”: lo stesso linguaggio esprime l’isolamento che ogni Stato rivela chiuso nella illusoria difesa dei propri interessi, mentre l’Italia si ritrova ad essere “quel vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro“.

Se questo è il quadro, che fare con la migrazione? Innanzitutto non giocare più con le parole, coi distinguo tra “migrazione economica” e “profughi”. Tali distinzioni, nell’ansia di dare un nome ai fenomeni per comprenderli e che pure appaiono al presente come classificazioni utili per una prima risposta, rischiano di essere travolti a breve e medio termine dalle proporzioni demografiche in atto. Esse, se pure spostano il problema nel futuro per allestire alcuni interventi palliativi, non ci preparano culturalmente ad affrontare la vera natura del fenomeno sottostante. La cultura occidentale, l’Europa prima degli altri, deve imparare ad accettare il proprio declino demografico senza cedere ad ipocriti sensi di colpa storici e viverlo per gestirlo non come un tramonto, ma come una trasfusione della propria civiltà ad altri popoli. Non opporsi al crescente flusso migratorio, per altro impossibile da contrastare per le sue proporzioni e per la nostra indisponibilità al sacrificio, ma favorire in modo controllato la sua diluizione nello spazio delle nostre nazioni, perché con il crescere dei volumi sempre più acquisterà importanza la densità distributiva dei migranti nel mondo. Non si tratta di semplice “accoglienza” dettata da un facile buonismo verso i più deboli e gli oppressi, ma di un consapevole “scambio di civiltà”: noi non occuperemo le vostre terre, non importeremo con la forza la nostra cultura, ma accetteremo che vi innestiate nella nostra cultura per accrescere la civiltà di tutti.

Di fronte al nuovo esodo del terzo millennio la prova di civiltà di un popolo non sta nella scelta forzata dalla strumentale propaganda politica, scambiata per chiarezza e democrazia, tra i poli di una falsa radicalizzazione: volete ‘Cristo o Barabba’, ‘burro o cannoni’, ‘accoglienza o guerra’. Tanto più se i popoli vengono indotti alla scelta dall’appartenenza religiosa, ideologica o di sangue. La prova di civiltà si misura nella capacità di cogliere in ogni occasione “la diritta via” tra la necessità di combattere il male e la volontà di perseguire il bene. Soprattutto nell’emergenza, perché  “là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”.

Dovremo tutti imparare a comportarci come Oskar Schindler.

 

 

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