La lista di Schindler sentiero interrotto?

Sentieri interrottiQuello che so è che il futuro ci coglie ancora impreparati. Gli uomini non sono ancora uguali e neppure fratelli e non lo sono proprio perché si ritengono diversi. Ora per territorio, ora per religione, ora per etnia, ora per razza, ora per genere ciascuno difende il proprio sempre come migliore e chiamano questo la tradizione: bisogna rispettare le tradizioni. L’Uguaglianza nella diversità ha portato parole come la tolleranza e il rispetto, termine quest’ultimo ancora malinteso e mal digerito anche nelle civiltà più avanzate, ma sulla diritta via ci separano secoli fuori e dentro ogni civiltà. Lungo è il cammino. Bisogna rispettare i tempi di maturazione non le tradizioni. Non c’è equipollenza nei tragitti percorsi e per ogni dove un diverso esserci, una diversa emozione del mondo. Nulla è più stonato di questa intonatura: il volk. Per questo mito, per l’appartenenza, si sono combattute fin qui tutte le guerre.

È la paura di perdere la propria identità che impedisce all’uomo di gettarsi oltre se stesso. La paura stessa della morte, paura per la quale si è disposti anche a morire.
La redenzione dalla vendetta ha appena preso piede sulla terra, la giustizia è una fanciulla che dimora tra noi solo da duemilacinquecento anni, mentre un’aggressività vecchia di decine di migliaia di anni e mai sopita si agita ancora nella barbarie, tanto più quanto più sono grandi le condizioni di arretratezza culturale. La saggezza non prevale ancora sull’astuzia, né i sentimenti sugli istinti. “Disegnate una linea per terra e quelli che stanno a sinistra dopo poco litigheranno con quelli che stanno a destra” (Nietzsche).

Il cammino che porta dagli istinti ai sentimenti passa su diversi ponti, su ognuno dei quali l’uomo ha dovuto gettarsi oltre se stesso già diverse volte in passato, ponti che molte culture e molti uomini non hanno ancora attraversato. L’uomo delle caverne è ancora tra noi diversamente distribuito nelle diverse, perché diverse e dobbiamo prenderne atto, civiltà. Finché non si sarà in grado di prendere in mano le redini della storia, il polemos, padre e re di tutte le cose, siederà ancora saldamente sul trono: il pensiero più da considerare e che ancora non si pensa. Ancora un’accoglienza non è possibile. Quando la bomba demografica si unirà alla metafisica dei mercati, e già sta accadendo, focolai di guerra coinvolgeranno l’intero pianeta in una guerra globale di tutti contro tutti.
La nobiltà dell’anima di Schindler, l’uomo che si è gettato oltre se stesso, è un modello senz’altro da seguire, ma al tempo stesso un’utopia avvenire.

Dice Socrate “se fosse per Socrate gettatelo alle ortiche è la Verità che io difendo”. Quel passaggio di civiltà che tu giustamente auspichi pretende quella Verità per una metafisica dell’Essere in cui l’uomo responsabilmente si prende cura dell’Essere. Tempo eterno è di mezzo. Ora è il dominio di Nessuno. La globalizzazione non ha rispettato i tempi, né con le merci, né con gli uomini. Non era ancora possibile un libero scambio e questo ci coglie impreparati. Impreparati sia ad accogliere che a respingere, stante che l’unico rimedio essenziale è la Cultura e che il pensiero unico economico, la tèchne metafisica del pensiero, resta l’unica cultura dominante del pianeta. Scelte tragiche ci attendono.




La lista di Schindler è aperta

 

UnknownimagesAll’epoca di Omero la cerimonia dell’ecatombe, il ‘magnifico sacrificio’, copriva gran parte dell’area del mar Mediterraneo e si trattava di sacrifici di animali, buoi o agnelli. Oggi sono i  migranti stessi che a a migliaia si offrono in sacrificio pur di sfuggire alle persecuzioni, alla fame e alla morte nelle loro terre. Siamo di fronte ad un sacrificio sull’altare della civiltà. Si propongono accordi commerciali di libero scambio intercontinentali delle merci, ma non si propone l’apertura delle frontiere internazionali per la libera e legale circolazione degli uomini, siano essi lavoratori che turisti, profughi o migranti. Al di là della costernazione per gli annegamenti in mare, al di là delle risposte muscolari fatte di blocchi navali, aerei o terrestri e di distruzione delle barche degli scafisti, anche le argomentazioni sostenute da alcuni sensibili intellettuali e ONG  per dare una risposta positiva e razionale al fenomeno migratorio rimangono pur tuttavia nell’ordine del pensiero economico: l’Europa ha una demografia in declino e mentre le imprese cercano lavoratori che non trovano all’interno delle popolazioni nazionali, lo Stato teme che l’equilibrio previdenziale tra qualche decennio non sarà più finanziato. Il pensiero calcolante della tecnica domina sull’uomo: si sostiene un’azione perché conviene, non perché è giusta.

Il fatto è che la migrazione in corso che sgomenta l’opinione pubblica europea rappresenta soltanto la colata lavica di quell’eruzione da tempo esplosa costituita dall’evoluzione demografica planetaria. Oggi l’Europa UE-28 con i suoi 505 milioni di abitanti è avviata al declino demografico (la non sostituibilità demografica) con un tasso di fertilità medio al 1,6 figli per donna (in Italia è 1,4), mentre il continente africano conta già oltre 1,1 miliardi di abitanti e le proiezioni lo assestano a 1,6 nel 2030 e al doppio entro il 2050.

Ma il continente africano non è solo l’epicentro dell’esplosione demografica, esso è anche il teatro del confronto strategico sempre più diretto tra USA e Cina, in relazione agli interessi che questi paesi mostrano per le enormi risorse minerarie ed energetiche del continente. Se osserviamo l’area dell’Africa centrale tra i due Oceani Atlantico e Indiano  vi troveremo la presenza economica e militare delle due più grandi potenze oggi sul pianeta, gli Usa negli Stati del Senegal, Liberia, Ghana, Nigeria, Kenya e Sudafrica e la Cina in Sudan, Kenya, Nigeria e Mali. A partire dal 2000 con il Forum per la cooperazione Cina-Africa  (Focac) si formalizzano gli interessi del governo cinese sul continente in termini politici, economici e militari. Ed è proprio questo combinato disposto sul suolo africano tra il fattore demografico e il nuovo colonialismo Cina-USA a creare le condizioni per il nascere e lo svilupparsi delle guerre che stanno divampando, sotto la forma di scontri tra le popolazioni locali e terrorismo. Queste guerre a loro volta inducono quei nuovi flussi migratori crescenti che premono verso l’Europa come uno tsunami provocato dal maremoto. L’Europa imbrigliata nella rete delle sue divisioni nazionali si trova così imbrigliata tra il nuovo “colonialismo imperiale” USA-Cina e il conflitto emergente tra USA e Russia, lasciata sola a gestire i flussi migratori sul suo nuovo confine del mar Mediterraneo. “Mare nostrum”, “Frontex”: lo stesso linguaggio esprime l’isolamento che ogni Stato rivela chiuso nella illusoria difesa dei propri interessi, mentre l’Italia si ritrova ad essere “quel vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro“.

Se questo è il quadro, che fare con la migrazione? Innanzitutto non giocare più con le parole, coi distinguo tra “migrazione economica” e “profughi”. Tali distinzioni, nell’ansia di dare un nome ai fenomeni per comprenderli e che pure appaiono al presente come classificazioni utili per una prima risposta, rischiano di essere travolti a breve e medio termine dalle proporzioni demografiche in atto. Esse, se pure spostano il problema nel futuro per allestire alcuni interventi palliativi, non ci preparano culturalmente ad affrontare la vera natura del fenomeno sottostante. La cultura occidentale, l’Europa prima degli altri, deve imparare ad accettare il proprio declino demografico senza cedere ad ipocriti sensi di colpa storici e viverlo per gestirlo non come un tramonto, ma come una trasfusione della propria civiltà ad altri popoli. Non opporsi al crescente flusso migratorio, per altro impossibile da contrastare per le sue proporzioni e per la nostra indisponibilità al sacrificio, ma favorire in modo controllato la sua diluizione nello spazio delle nostre nazioni, perché con il crescere dei volumi sempre più acquisterà importanza la densità distributiva dei migranti nel mondo. Non si tratta di semplice “accoglienza” dettata da un facile buonismo verso i più deboli e gli oppressi, ma di un consapevole “scambio di civiltà”: noi non occuperemo le vostre terre, non importeremo con la forza la nostra cultura, ma accetteremo che vi innestiate nella nostra cultura per accrescere la civiltà di tutti.

Di fronte al nuovo esodo del terzo millennio la prova di civiltà di un popolo non sta nella scelta forzata dalla strumentale propaganda politica, scambiata per chiarezza e democrazia, tra i poli di una falsa radicalizzazione: volete ‘Cristo o Barabba’, ‘burro o cannoni’, ‘accoglienza o guerra’. Tanto più se i popoli vengono indotti alla scelta dall’appartenenza religiosa, ideologica o di sangue. La prova di civiltà si misura nella capacità di cogliere in ogni occasione “la diritta via” tra la necessità di combattere il male e la volontà di perseguire il bene. Soprattutto nell’emergenza, perché  “là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”.

Dovremo tutti imparare a comportarci come Oskar Schindler.

 

 




La voce nel deserto

Unknown-1“Il deserto cresce, guai a colui che favorisce i deserti!” così Nietzsche nel suo Zarathustra. Il deserto è la peggiore delle catastrofi, peggiore della distruzione, perché dove si fa deserto non crescerà più l’erba. Con il dominio dello spettacolo la modalità del pensiero debole ha da lungo tempo preso il sopravvento. Rappresentazioni sterili che inavvertitamente ciascuno porta dentro di sé, ciascuno facendosi portavoce della chiacchiera. I significanti abbandonano i significati e con essi la memoria. Un destino che coinvolge la terra intera fin nel suo angolo più remoto. Nel deserto che cresce, cresce la quiete, ogni pensiero si sforza di restare nell’ambito che gli è assegnato soltanto per poter meglio tacere. Nella crescente aridità le lumache si ritirano nel guscio e i pesci nel fango. Un fare miope e spicciolo vive costantemente nell’urgenza e nell’impreparazione. Affanno e paura i nemici da esorcizzare. Tutto scorre sulla superficie, insostenibile leggerezza dell’essere: cultura è di-vertimento, anche la politica spettacolo. Sempre più cattivo.

Sempre nuovi strumenti sorgono dalla tecnica e l’uomo attuale non è preparato alla loro amministrazione, per un simile governo. Il loro sorgere è inquietante. Pone nuovi interrogativi. Da un lato la minaccia atomica, dall’altro l’uomo viene colto fin nella sua biologia. Il Senso diversamente si sottrae, non si lascia cogliere nelle circostanze: uno sguardo miope vaga attraverso la constatazione dei “fatti”. Chiamano “fatti” l’apparire del sole. Non sanno che è solo un’illusione. Non sanno quello che nel suo apparire fa essere presente ciò che è presente. Ancora non capiscono Senso. Il “sano” intelletto rimane modellato su un unico binario in una determinata concezione: il progresso tecnologico come universale panacea, come variabile indipendente da qualsiasi morale. Si chiede alla scienza una risposta che la scienza non potrà mai dare. Questo sano intelletto non è predisposto a nessuna problematica che interessi realmente il pianeta, a ottenere un senso, il pensiero rimane agnostico e indeterminato in attesa sprovveduta della provvidenza. Ogni imprevisto ci trova impreparati.

C’è il pericolo che il pensiero dell’uomo attuale intorno alle decisioni future sia troppo limitato e che quindi cerchi soluzioni laddove non ce ne potranno mai essere. Si vive in un mondo irresponsabile e questo viene chiamato libertà. Ancora non si pensa. I fatti ancora non parlano. Animalità e razionalità sono separati da un abisso, si contrappongono. Ancora troppo pesantemente vive dentro di noi la lupa carca di tutte brame. Questa divisione impedisce all’uomo di essere unito nella sua essenza e conseguentemente libero. Una libertà vissuta lontana dagli istinti nel cielo olimpico dei sentimenti è ancora da venire. Una libertà che appartiene solo al cammino del pensiero di contro all’odore stantio dell’uomo tradizionale che cementifica la chiacchiera e così facendo si offre inavvertitamente come maiale al sacrificio. Al servizio del popolo sempre, giammai suoi servitori.

Il semplicemente quantitativo non prevede salti di qualità. Eppure l’uomo deve gettare i semi oltre se stesso e abbandonare il pensiero unico: il Mercato. Il Mercato è la tècne ideologica che condiziona ogni pensato. Recita: “Bisogna fare i conti” e questo “contare” respira gelido “fin nell’angolo più remoto”. Squassa le viscere. Toglie i respiro. Sono gli uomini grigi che fumano in continuazione e ci intossicano l’aria. I servi del Mercato sono su tutti gli schermi a di-vertire, a fare spettacolo. Burattini della congiura di Nessuno.
Solo la cultura ci salverà.




Prima la giustizia, poi l’economia

imagesNella recente puntata “diMartedì” ha accettato l’invito da “Giova” uno dei personaggi più discussi del passato Governo Monti, Elsa Maria Fornero, docente universitaria, esperta di macroeconomia ha ricoperto la carica di Ministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità, dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013, ma nota a tutti per la legge che porta il suo nome la “Legge Fornero”. Questa legge riguardante il sistema pensionistico ha rivoluzionato la vita di tutti. Le motivazioni sono presto dette: a causa dell’allungamento della vita è stato necessario posticipare il pensionamento, esisteva inoltre un buco di bilancio che rischiava di fare cadere in default l’intero Paese. Era necessario inoltre che le misure prese fossero strutturali ovvero permanenti. I parametri sono oggettivi e il target chiarissimo. La professoressa esperta di macro economia si è messa all’opera raggiungendo tutti gli obiettivi e salvando così l’Italia. L’Italia, ma non gli italiani che si vedevano scippato il proprio futuro. Gli esodati sono ancora oggi considerati un incidente, un imprevisto inciampo cui è possibile rimediare se se ne conoscono i numeri. Modifiche in tal senso dice in trasmissione la Fornero sono possibili e propone per questi diseredati, sempre che si trovino le risorse e se ne conoscano i numeri, un reddito di cittadinanza. Bontà sua.

Prima la giustizia. È bene riflettere e riflettere a fondo su che cos’è diventato un “economista”. Un economista è un individuo che fa quadrare i conti, un professionista che agisce in un unico ambito, quello economico, per necessità economica ovvero a prescindere da ciò che è giusto o che non è giusto. L’economista è uno che “conta”, uno per cui “contare” è il pensiero unico e conta i numeri senza pensare che ad ogni numero corrisponde la vita di una persona, il suo personale destino. Lo fa non per insensibilità, ma perché ritiene che questi siano “i fatti” e i soli fatti siano solo quelli economici; ritiene cioè che la sola cosa che conti sia l’economia e che salvando l’economia si salvino anche le persone. Scelte tragiche dunque, inevitabili sacrifici. Dice l’economista “così stanno le cose”. Disposta al martirio, con la schiena diritta e severità dovuta al ruolo, pur sapendosi in futuro invisa, accetta di fare “il lavoro sporco”, che sporco in verità non sarebbe, se non fosse che altri pavidi politici non lo vogliono fare temendo per la loro carriera. L’eroina non ha ambizioni politiche e agisce impavida nel superiore interesse della Nazione. Occasionalmente benestante . Gli economisti nel loro pensiero unico si adoperano persino nei limiti delle possibilità economiche del Paese a fare giustizia cercando quanto più possibile a non discriminare tra la popolazione colpita.

Eh no cara Fornero, prima la giustizia. Prima la giustizia … poi l’economia. Ciò non significa, come a te piacerebbe intendere, illudere di poter dare ciò che non si può dare, ma di contenere ciò che è possibile dare all’interno della giustizia. La giustizia deve essere il contenitore. Non ti sei accorta né di chi andavi a colpire e del modo in cui andavi a colpire? Andavi a colpire diritti acquisiti delle fasce più deboli della popolazione non interessandoti, era tuo dovere ma non ne eri stata comandata, di togliere i diritti acquisiti ai più forti. Pochi soldi, dirai tu: la balla più grossa. È solo questione di misura.

Un esperimento sull’elasticità della mente nella misura. Prendete un elastico (giallo, naturalmente) e fissate un estremità, fate un segno con la matita e poi fatene un altro. Questo semplice espediente vi darà misura della giustizia. Se un segno, il più lontano dal vincolo, indicherà la lunghezza della vita, un altro più vicino al vincolo, indicherà l’età pensionabile. Estendendo l’elastico secondo la lunghezza della vita si otterrà proporzionalmente l’età pensionabile, in passato come in futuro. E stabilirà di conseguenza il dovuto secondo le capacità delle finanze dello Stato senza scosse e balzelli o incidenti di percorso. È ovvio inoltre che in caso di crisi dovendo superare i diritti acquisiti e acquisiti da tutti, chi più ha più debba contribuire.

Riprendiamo dunque l’elastico e segniamo questa volta il reddito più alto, stendiamo cioè l’elastico fino a far coincidere il segno col reddito più alto segnato sul tavolo. Rilasciamo ora l’elastico fino ad una altro segno, sul tavolo, che indica la soglia di povertà, dopo aver tarato l’elastico sapremo con precisione quanto ciascuno, nessuno escluso, dovrà in proporzione contribuire. Questo semplice espediente permette oltretutto di agganciare la ricchezza alla povertà: se vuoi maggiore ricchezza devi tirare di più l’elastico e alzare di conseguenza la soglia di povertà. Questo rozzo sistema può trovare ben altri algoritmi, ma per quanto empirico è massimamente indicativo dell’ingiustizia finora procurata e della giustizia da per perpetrare di contro all’indifferenza mostrata nei riguardi della vita degli altri.

Un’ ultima nota. Non svegliamo il can che dorme. Quanto alla patrimoniale, cara Fornero, ti avranno certamente “suggerito” di non toccarla, ma avresti almeno dovuto prestare attenzione alle Tasse di Successione che ferme un 4% (ora 5%), contro il 40%, salvo franchigia, dei paesi anglosassoni, rappresentano un notevolissimo scandalo e sangue da vendicare. Scandalo dal quale speri certamente di cuore di non doverti mai difendere, tu e tutto l’entourage Monti, attori di primo piano nel coro della Casta. La ricchezza si sa se onestamente meritata e onestamente ereditata non è peccato e infatti anche i cammelli ora passano per la cruna dell’ago. Solo la cultura ci salverà.