Solo la filosofia ci salverà
L’ottima recensione di Massimo Cacciari all’ultimo e pregevole lavoro “Dike” di Emanuele Severino mi rincuora sullo stato della filosofia, oramai ridotta ad ancella della scienza, suscitando in me altrettanta “meraviglia” che mi porta a fare queste brevi considerazioni. Sebbene “eretico, Severino permane cristiano e come tale cerca di far rientrare la filosofia in questo ambito. E non solo nell’ambito del solo Cristo, ma dei problemi teologici che affannano la Chiesa pur dissentendone. La sua metafisica pretende l’eternità del tutto in un disegno divino chiamando diavolo il nichilismo e Dio la fede. La sua affermazione più sconvolgente è che il rimedio all’angoscia del nulla (Heidegger) che colpisce il “mortale””sia il pensiero che tutto è eterno, la cancellazione della fede nella morte: “Qui sta il fondamento necessario dell’errore stesso, consistente nella fede nella mortalità di ciò che è”.
Tutt’altro che banale, qui si vola alto. Si chiami fede o fiducia esistenziale, mostra un agire che pretende una tradizione, una continuazione post mortem. Nel Prometeo incatenato Eschilo fa dire a Prometeo in risposta a Hermes che gli chiede che cosa pensa di aver dato agli uomini rubando il fuoco agli dei “Era sbarrato l’occhio ai mortali all’ora fatale, questa scintilla artefice di molti mestieri e un opaco sperare”.. L’”occhio sbarrato di fronte alla morte” porta con sé il nichilismo mentre questo “opaco sperare” ha il merito di non concludere il discorso con la morte e un agire non solo come voleva Heidegger in funzione della fuga dalla morte, ma un agire che ha a cuore le generazioni future e con esse il Destino. Il discorso di Severino sulla fede nell’eternità di ogni essente in chiara contraddizione con la resurrezione cattolica è sicuramente di ampio respiro e più fedele al dettame di Cristo.
La mia visione è però diversa. Quanto asserito che non mi trova in disaccordo deve però essere inquadrato più estensivamente in una visione più globale che tenga conto dell’apparire delle emergenze che rileggono di volta in volta l’esserci.
Un discorso per cui lo Spirito si disvela sempre diversamente offrendo all’ente che si astrae una maggiore partecipazione. Per Severino gli enti paiono essere manifestazioni di Dio in un disegno predeterminato e immutabile. Ogni categoria è immutabile e immutabili sono le “figure”, l’uomo nell’esserci è sempre lo stesso. Nella mia visone laddove Severino vede una linea io vedo una spirale.
Lo Spirito muore di una morte totale, si “sacrifica” dando alla luce la materia e nella materia progressivamente si “inluia” fino a che con salti ontologici, ma senza soluzione di continuità, l’esserci è sempre differente e partecipa via via maggiormente dello Spirito. Agisce da fuori non come creatore, ma come attrattore lasciando all’essente la possibilità di redimersi. Chiama a sé senza intervenire con la verità, col bello e col buono. Detto altrimenti noi dobbiamo fare la Volontà di Dio, ma Dio può fare solo la nostra volontà.
Del resto però non posso negare che la fysis, la forza della natura naturans, non possa essere quel “meno di niente” (Slavoj Žižek) che nessuna scienza, come dice Severino, potrà mai scoprire. Se si pensa al superamento del principio di non contraddizione possiamo ipotizzare che l’essere sia l’una e l’altra: l’essenza degli enti nel divenire (movimento) e la Divina Essenza (immobilità che attrae). Conciliando in tal modo l’aporia tra essere e divenire. La Fenomenologia Evolutiva dello Spirito è una nuova avventura a cui la filosofia non è ancora pervenuta.