La voce nel deserto

Unknown-1“Il deserto cresce, guai a colui che favorisce i deserti!” così Nietzsche nel suo Zarathustra. Il deserto è la peggiore delle catastrofi, peggiore della distruzione, perché dove si fa deserto non crescerà più l’erba. Con il dominio dello spettacolo la modalità del pensiero debole ha da lungo tempo preso il sopravvento. Rappresentazioni sterili che inavvertitamente ciascuno porta dentro di sé, ciascuno facendosi portavoce della chiacchiera. I significanti abbandonano i significati e con essi la memoria. Un destino che coinvolge la terra intera fin nel suo angolo più remoto. Nel deserto che cresce, cresce la quiete, ogni pensiero si sforza di restare nell’ambito che gli è assegnato soltanto per poter meglio tacere. Nella crescente aridità le lumache si ritirano nel guscio e i pesci nel fango. Un fare miope e spicciolo vive costantemente nell’urgenza e nell’impreparazione. Affanno e paura i nemici da esorcizzare. Tutto scorre sulla superficie, insostenibile leggerezza dell’essere: cultura è di-vertimento, anche la politica spettacolo. Sempre più cattivo.

Sempre nuovi strumenti sorgono dalla tecnica e l’uomo attuale non è preparato alla loro amministrazione, per un simile governo. Il loro sorgere è inquietante. Pone nuovi interrogativi. Da un lato la minaccia atomica, dall’altro l’uomo viene colto fin nella sua biologia. Il Senso diversamente si sottrae, non si lascia cogliere nelle circostanze: uno sguardo miope vaga attraverso la constatazione dei “fatti”. Chiamano “fatti” l’apparire del sole. Non sanno che è solo un’illusione. Non sanno quello che nel suo apparire fa essere presente ciò che è presente. Ancora non capiscono Senso. Il “sano” intelletto rimane modellato su un unico binario in una determinata concezione: il progresso tecnologico come universale panacea, come variabile indipendente da qualsiasi morale. Si chiede alla scienza una risposta che la scienza non potrà mai dare. Questo sano intelletto non è predisposto a nessuna problematica che interessi realmente il pianeta, a ottenere un senso, il pensiero rimane agnostico e indeterminato in attesa sprovveduta della provvidenza. Ogni imprevisto ci trova impreparati.

C’è il pericolo che il pensiero dell’uomo attuale intorno alle decisioni future sia troppo limitato e che quindi cerchi soluzioni laddove non ce ne potranno mai essere. Si vive in un mondo irresponsabile e questo viene chiamato libertà. Ancora non si pensa. I fatti ancora non parlano. Animalità e razionalità sono separati da un abisso, si contrappongono. Ancora troppo pesantemente vive dentro di noi la lupa carca di tutte brame. Questa divisione impedisce all’uomo di essere unito nella sua essenza e conseguentemente libero. Una libertà vissuta lontana dagli istinti nel cielo olimpico dei sentimenti è ancora da venire. Una libertà che appartiene solo al cammino del pensiero di contro all’odore stantio dell’uomo tradizionale che cementifica la chiacchiera e così facendo si offre inavvertitamente come maiale al sacrificio. Al servizio del popolo sempre, giammai suoi servitori.

Il semplicemente quantitativo non prevede salti di qualità. Eppure l’uomo deve gettare i semi oltre se stesso e abbandonare il pensiero unico: il Mercato. Il Mercato è la tècne ideologica che condiziona ogni pensato. Recita: “Bisogna fare i conti” e questo “contare” respira gelido “fin nell’angolo più remoto”. Squassa le viscere. Toglie i respiro. Sono gli uomini grigi che fumano in continuazione e ci intossicano l’aria. I servi del Mercato sono su tutti gli schermi a di-vertire, a fare spettacolo. Burattini della congiura di Nessuno.
Solo la cultura ci salverà.

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