Il laboratorio

Ci  presentiamo come ricercatori dello spirito e in questo locale che si affaccia sul web vorremmo raccogliere e divulgare analisi, pensieri, riflessioni, opinioni e osservazioni di tutti coloro che  si riconoscono nell’incipit posto all’ingresso della nostra home.

Fra poco finirà la primavera e inizierà l’estate e noi apriamo  questo sito con lo scopo  di suscitare  nella “gente per bene“, avvilita dal  declino che incombe, la volontà di emergere  e la convinzione dell’opportunità di disfarsi del degrado che li governa.

 




Cosa vogliamo

Dalla resistenza al risorgimento per un nuovo rinascimento. (Walter Bocelli e Renato Frabasile)

Questo sito non  si rivolge agli uomini di buona volontà, ma alla buona volontà di tutti gli uomini.

Partiamo da un fatto presente. L’andamento  dell’astensionismo al voto nelle tornate elettorali di questi ultimi due lustri sembra aver indicato che la stanchezza del “resistere-resistere-resistere” abbia indotto significative quote di persone, per sopravvivere, a ritirarsi in una dimensione privata e minimalista.

La prospettiva contemporanea, soprattutto nel nostro paese, sembra al contrario il  ritrovare l’orizzonte più vasto degli ideali, dei principi e della vita.  Le persone per bene dovrebbero manifestarsi e partecipare attivamente alla cosa pubblica perché si ricostituisca un universo rispettabile, motivato e competente di cittadini liberi e consapevoli. Vogliamo contribuire alla formazione di un popolo maturo, composto di donne e uomini, di giovani e  anziani, di settentrionali e meridionali,   rilanciando la vecchia idea  della amicizia civica, e magari di una nuova classe dirigente che possa degnamente rappresentare gli interessi generali del nostro Paese.

Vogliamo passare alla fase del “emergere-emergere-emergere”.

Perché sul web?   Perché oggi è il luogo di più estesa libertà di circolazione delle idee, dove, sia pure nella simulazione di un mondo virtuale  “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (…)”. (Art.3 – Costituzione della Repubblica Italiana).  Così, vogliamo anche noi approfittare della rete delle reti per gettarvi i nostri piccoli semi.  Vorremmo che le persone per bene si ritrovassero qui per condividere le proprie idee e che ognuna di esse, d’altra parte, si conforti pensando che  “uno solo per me è diecimila” (Eraclito).

Perché la cultura vivente?   La difficoltà di spiegare lo scopo del nostro sito  è tutta incentrata su di un unico termine:  cultura.  Anche per spiegare quell’ulteriore aggiunta  vivente è necessario un chiarimento.  Cultura è un termine polisemico, veicola cioè un numero  elevato di significati. Tutti pensano di intendere un’unica cosa quando si riferiscono a “cultura” e  quindi ritengono di intendersi. Non è così. Cultura  al contrario è uno dei termini che più ingenerano confusione, non solo tra la gente comune ma spesso anche tra gente così detta colta, istruita o molto istruita, e anche tra coloro che la cultura producono e che di conseguenza della cultura si sentono i padroni. È possibile che per quanto grande sia il suo bagaglio culturale  una persona possa essere uno stolto? E’ difficile, ma possibile.  “Ho girato tutto il mondo”, diceva Socrate , “ma un sapiente io non l’ho incontrato mai”.

Non vogliamo qui annoiare  con una dissertazione erudita, ma solo contribuire a chiarire alcuni aspetti della cultura a nostro parere fondamentali, non solo per la comprensione, ma anche per la comunicazione.

La nostra   ambizione è di  diventare capaci di intendere e volere, avendo come  visione quella di un mondo di padroni senza schiavi.

La Cultura in generale  può essere intesa come possibilità di trasmissione di informazioni. In questa accezione però si può parlare di cultura anche a proposito degli animali o addirittura dei cromosomi se ci si riferisce alla trasmissione del DNA.  Per arrivare più vicini a noi anche prendendo il termine dalla banale definizione di un dizionario si apprende che la cultura è qualcosa che ha a che vedere con la formazione dell’individuo, formazione distinta poi sul piano intellettuale e sul piano morale, oppure più comunemente intesa come il patrimonio delle conoscenze acquisite. Tra gli intendimenti dati al termine c’è da  ricordare anche chi riferendosi alla cultura si riferisce al mondo della cultura: teatri, cinema, letteratura, musica e arti,  ma altro non intende.

Tutte queste definizioni, tutti questi intendimenti sono pur validi, ma ingenerano spesso grande confusione. Con un analisi che si richiama allo stile di Platone,  affermiamo da subito che: una cosa è il patrimonio delle cose acquisite e  altra cosa è la cultura, riservando alla cultura solo l’accezione legata al piano spirituale, il piano in cui opera l’emozione e la morale,  distinguendo cioè l’erudizione dalla formazione spirituale e da ultimo l’erudizione dalla cultura.  Una cosa dunque è l’erudizione, altra cosa è la cultura. La scelta da noi fatta è arbitraria, ogni altra definizione è infatti ugualmente valida (cultura come erudizione, cultura animale, ecc.), ma potrebbe  contribuire a chiarire quella confusione terminologica che è ancora nella testa di tutti.

Noi intenderemo quindi sempre per cultura, salvo diverso esplicito riferimento, solo ciò che riguarda lo spirito nel suo cammino morale verso la verità.  Si offre qui un concetto per noi fondamentale, che fa della cultura una cultura vivente e di cui tratteremo a lungo: l’apertura, come postura dell’individuo di fronte al mondo.

La prima distinzione che deve essere chiara a tutti è che una cosa è l’istruzione  altro è la cultura: una cosa è il positivo (il positum, ciò che della cultura è stato depositato),  altra cosa è lo spirito e la sua apertura. Questo concetto di apertura,  in parte intuitivo, è fondamentale per la comprensione di che cosa si debba intendere per cultura. Un uomo aperto alla cultura non è solo un uomo disposto a leggere, un uomo aperto alla cultura deve essere anche un uomo sempre pronto a destrutturarsi e mandare, se necessario, a gambe all’aria ogni sua convinzione ogni suo pregiudizio, felice di farlo. Intelligenza e spirito sono dunque per noi due categorie dell’essere  sì interdipendenti, ma assolutamente distinguibili e per questo da noi distinte.

Ma dello spirito nessuno parla e la cultura non viene intesa.  La confusione nella lingua non è fatto di poco conto, essa  ci indica una confusione dello spirito, non solo in quanto oggetto ma soprattutto in quanto soggetto, e una confusione dello spirito in seno alla popolazione porta inevitabilmente a fraintendimenti che abbassano il livello e l’apertura al mondo, mettendo in gioco l’intera esistenza, non solo quella individuale, ma anche quella sociale.

Partendo così dall’accezione della cultura riguardante lo spirito, e richiamando il dizionario  quando usa  il termine più asettico di “formazione dell’individuo”, noi preferiamo parlare di spirito, un termine antico che a nostra opinione, come l’Essere per Heidegger, merita di essere ripescato e nuovamente trattato.   Per ora “spirito”  sarà utilizzato come nell’espressione: bisogna raggiungere la maturità dello spirito, dove spirito e individuo sono intercambiabili, ma dove spirito raggiunge maggiormente l’espressione.

Accenniamo qui ad un’altra differenziazione per noi fondamentale. Parlando di “formazione” il dizionario divide la stessa in due categorie ben distinte: intellettuale e morale. Questa distinzione è per noi  cruciale anche per  il significato che bisogna dare al termine cultura. Le espressioni “aperti intellettualmente” e “aperti moralmente” finiscono con l’avere nel linguaggio, benché provenienti da direzioni diverse,  quasi un identico significato. Ma quali sono le origini di intelletto e morale?

Innanzitutto osserviamo che l’intelletto si riferisce ad una proprietà dell’individuo che può prescindere anche totalmente dalla morale, da qualsiasi morale, si tratta infatti di una capacità di apprendimento, di analisi e di proiezione,  mentre la morale si riferisce ad una categoria dello spirito che riguardano la volontà e la scelta, e che le capacità intellettive possono non riguardare.

Una cosa è l’intelligenza, una cosa è lo spirito, l’intelligenza del “cuore”, guardando al “cuore” al di là del bene e del male, un altro tipo di intelligenza definita da molti come emotiva ma alla quale noi vorremmo aggiungere anche una direzione, un intendimento morale. Richiamandoci  alla concezione  di Heidegger  secondo il quale il pensiero è sempre emotivamente fondato,  noi vogliamo considerare l’emozione come il fondamento dell’esistenza umana e la cultura tutto quello che la riguarda e che, pertanto, determina l’uomo nell’esserci, nel modo di esserci.  All’emozione vorremmo associare nel bene e nel male una via e nel merito costruire un discorso.

Ci proponiamo di definire cultura solo quelle istanze che promuovono l’apertura dello spirito e solo a queste ci riferiremo come  cultura.  E il valore della promozione è assoluto, chiameremo cultura cioè sia quelle istanze che lo spirito promuovono e lo spirito aprono e fanno avanzare, sia quelle istanze che lo spirito affossano e lo spirito chiudono e fanno regredire.

Siamo ricercatori dello spirito e dello spirito cerchiamo la verità. La verità filosofica e morale della cui esistenza,  di contro a ogni relativismo, riduzionismo e realismo, siamo convinti. Indagheremo quindi lo spirito, quello in carne ed ossa, nel positum, con attenzione a ogni sua manifestazione sia nell’attualità come nella storia, cercando nel positum dello spirito quelle espressioni che nel discorso esprimono la verità, e che ne esprimono l’apertura.

Un turbo capitalismo oggi senza più fattori limitanti, mondiale,  ha come alleati la menzogna, il pensiero debole e un basso sentire, riassumibili nell’unico termine “ignoranza”. Questi temibili alleati di ogni cultura autoritaria hanno fortissima presa sul popolo e presso il popolo. Di contro, il capitalismo, la logica del profitto, e ogni autoritarismo hanno due nemici: la cultura  e la verità. Siamo convinti che solo la cultura e la verità riusciranno a ridimensionare la  non cultura del profitto,  una cultura capitalista che vorrebbe per “leggi economiche” l’umanità ridotta ad una moderna schiavitù.

Noi vogliamo convincere, al di sopra di qualsiasi appartenenza sociale e politica tutti ad interessarsi, a propugnare e a produrre cultura, ovvero la promozione dello spirito verso un intendimento anche politico del sociale, di contro ad ogni pregiudizio e ad ogni ideologia. Noi conosciamo un solo popolo: l’Umanità.




Democrazia e maggioranza

Questa presentazione potrebbe avere per titolo: il parafulmine!.

” A me non piace che gli Ateniesi abbiano scelto un sistema politico che consenta alla canaglia di star meglio della gente per bene.  Poichè però l’hanno scelto, voglio mostrare che lo difendono bene il loro sistema e che a ragion veduta fanno tutto quello che gli altri Greci disapprovano. (…)”

(La citazione è attribuita ad un anonimo ateniese del V° secolo a. C., verosimilmente un esponente della  aristocrazia punito con l’esilio,   che si vendicò scrivendo un opuscolo contro il sistema democratico  allora vigente in Atene. La democrazia come violenza – Anonimo ateniese del V° secolo a. C. – Ed. Sellerio, Palermo, 1991)

Siamo consapevoli che con questo incipit offriamo ai  cultori del “politicamente corretto”  la facile occasione di rivolgerci  l’accusa, per altro oggi molto diffusa,  di essere  antitaliani  e  antidemocratici, o, peggio ancora, intellettuali eccentrici ed elitari incapaci di comprendere  la complessità del mondo contemporaneo.

Tuttavia, noi riteniamo che mentre  l’aristocrazia nobiliare non debba  meritare alcuna nostalgia, la riscoperta della realtà e del valore dell’ eccellenza (aristos, secondo Platone) sia al contrario oggi un’operazione  virtuosa e quanto mai necessaria, se desideriamo davvero risollevare la prospettiva di una democrazia che appare oggi seriamente compromessa da problemi etici, ancor prima che dai problemi economici.

Ma chi sono oggi i migliori?  Alcuni osservatori qualificati quali economisti, politici, imprenditori e manager, riflettendo sul degrado politico, istituzionale  e morale diffuso nel nostro paese  hanno da tempo esternato preoccupazione e manifestato perplessità su come sia stato possibile attraverso le modalità democratiche selezionare una classe dirigente, in particolare quella politica, così scadente. Tali  critiche si  sono  accompagnate poi ad  espliciti richiami all’esigenza di  introdurre la meritocrazia e di premiare l’eccellenza.

Tempo fa un noto manager auspicava per il nostro paese un “governo dei migliori”,  mentre un politico,  nel presentare il programma fondativo del suo partito, usava l’espressione,  per noi preferibile,  “la democrazia dei migliori”.

Noi consideriamo la  democrazia come  il metodo più avanzato di governo dei popoli, ma occorre fare attenzione  e distinguere il modo di gestire il potere  dal modo di selezionare i governanti.

Se da una parte la separazione dei poteri, il riconoscimento della “terzietà” delle regole e delle istituzioni, la ricerca della condivisione attraverso la trasparenza dell’azione e il dialogo continuo tra minoranza e maggioranza, costituiscono i capisaldi del modo democratico di governare un popolo,  dall’altra la criticità che le democrazie contemporanee mostrano ormai con evidenza risiede nella “violenza” della maggioranza, che per noi è conseguente al processo di selezione dei governanti.

In altre parole, se la democrazia è rappresentativa, le questioni sono: chi può meglio rappresentare gli interessi del popolo?  In quale modo si può garantire la formazione di una classe dirigente competente e responsabile, che sia all’altezza della complessità del governo della cosa pubblica?

Noi riteniamo che non si debba identificare la forma di governo con la qualità delle persone. Non è qui in discussione, infatti, la necessità di un governo dei migliori, che tutti auspichiamo, ma la modalità di selezione dei governanti.

A parte le sue origini greche, la  democrazia così come si è evoluta a partire dall’illuminismo prevedeva che all’allargamento del potere al popolo corrispondesse un’adeguata evoluzione culturale dello stesso (in questa prospettiva va a nostro parere colto il  senso profondo del progetto dell’Enciclopedia).

La democrazia porta con sé la cultura o non è democrazia.

Tale intimo e profondo  legame tra la cultura e la democrazia non può accettare, per esempio, riduzioni di risorse alla scuola, alla formazione e alla ricerca scientifica.    Nella prospettiva della democrazia la scuola deve rimanere prevalentemente pubblica e la formazione deve poter essere continua nella vita della persona. Quanto poi alla ricerca scientifica, essa non deve essere limitata dalla paura indotta dalle sue scoperte, ma  guidata dall’interesse generale e sostenibile.

Anche nella costituzione e nel governo della classe dirigente politica possiamo riconoscere la cultura di un popolo. Tra le due entità politica e cultura la relazione è biunivoca, nel senso che le scelte della politica concorrono a determinare il livello culturale del popolo e quest’ultimo stabilisce con la propria partecipazione il livello e la qualità della politica.  Del resto un criterio di valutazione della qualità del management di una azienda è costituito  dall’individuazione delle capacità dei collaboratori che il capo si è scelto per costituire la propria squadra, secondo il vecchio adagio  “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.

La  politica culturale non va  intesa dunque come una linea d’azione di un programma politico, ma  come l’essenza stessa della  politeia.

D’altra parte, se il livello culturale di un popolo non progredisce con una velocità almeno pari a quella con la quale si generano i problemi nella società, accade che la scelta della classe dirigente  si appiattisca inesorabilmente  al livello più basso acquisito.  A livelli più alti di equilibrio raggiunti  la cultura ha bisogno di una maggiore  energia  per mantenersi. Sappiamo che sarebbe sufficiente un arresto nella trasmissione culturale  per due o tre generazioni e l’umanità ritornerebbe all’età della pietra.

Oggi assistiamo nel nostro paese al fatto che alle cariche istituzionali e al governo accedono spesso non le personalità  migliori, che pure  esistono ed operano nel paese  confinate nel proprio privato, ma  rappresentanti del popolo che “sono come il popolo”. Si potrebbe definire il fenomeno come  un “imperativo statistico”, con riferimento  in questo caso  al prevalere della  “moda”, ovvero dei valori più frequenti: i governanti rappresentano la moda. E gli uomini politici contemporanei così selezionati si fanno vanto di essere non  per il popolo, non soltanto  con il popolo, ma proprio come il popolo.  A loro  questa  identificazione  totale appare come la realizzazione  compiuta della democrazia.

Troppi politici, sia di destra che di sinistra, si sono convinti che la democrazia è il potere derivato dalla maggioranza dei numeri: i voti non si pesano, si contano.   Potenza e fascino del numero!   Il fondamento  razionale della democrazia è appunto la statistica.

A esemplificazione di quanto asserito vorremmo riportare quanto detto da un rappresentante politico dell’attuale governo, durante uno dei tanti talk show televisivi,  ha molto bene espresso questa deformazione di pensiero, e della morale.

Talune candidature femminili alle elezioni politiche sono state giudicate inconsistenti in quanto giovani donne  provenienti dal mondo dello “spettacolo”, stimate più per la loro presenza che  per i  curricula.  Il nostro esponente politico faceva osservare che, al contrario di quanto veniva  osservato criticamente, tali candidature  costituivano proprio un esempio di buon governo democratico, perché una vera democrazia in quanto rappresentativa  deve poter consentire  ad ogni  componente presente nella società  il diritto di avere una sua rappresentanza politica.

Potenza del lapsus, davvero noi siamo parlati dalla lingua!  La raccogliticcia cultura politica di quel  piccolo uomo yes-man (o “uomo Nonsai”, come ci suggerisce Bergonzoni con un  riferimento alle piante giapponesi) addestrato con corsi full immersion dalla scuola di formazione politica del suo partito sulle tecniche del marketing e della pubblicità, confondeva il processo di selezione di una classe dirigente politica con  il metodo  della formazione dei “campioni rappresentativi dell’universo”, utilizzati  nei test statistici e nei sondaggi d’opinione.