La frontiera non è un limite.

“Combattere la tecnologia significa combattere l’ingegno umano”. Con questa affermazione il programma di Intelligenza Artificiale della IBM Project Debater si è recentemente confrontato, sotto le vesti di un display dalle dimensioni umane e con voce sintetica femminile, in un dibattito durato 20 minuti con due oratori sul tema della telemedicina. Nel dibattito il software ha sostenuto che i governi dovrebbero sovvenzionare l’esplorazione dello spazio, quindi la telemedicina dovrebbe essere utilizzata più ampiamente.

La capacità di argomentare dell’Intelligenza Artificiale continua a progredire e a sorprendere, iniziando a farsi percepire dal pubblico più istruttiva ed efficace dei competitori umani. Arriveremo presto all’oratoria greca e latina di Gorgia o Cicerone?  In fondo, una delle recenti realizzazioni di robot con IA si chiama Sofia.

Intanto rilevo con molto interesse la presenza di un professore universitario di “informatica e filosofia” (Chris Reed, Università di Dundee)  in questa demo dell’IBM, che mi richiama alla mente quanto sostenuto dal professore Ivano Dionigi, famoso latinista italiano,  che cita Steve Jobs e il bisogno che abbiamo di “ingegneri rinascimentali”.

L’intelligenza Artificiale ha aperto una nuova frontiera che richiede nuovi pionieri con nuovi saperi. 




La post-verità è la verità dei post? Fake you!

Prima di internet, non molti anni fa, per sostenere la verità di una notizia si diceva “lo ha detto la televisione”. Dopo 22 anni di diffusione di internet si potrebbe sostenere oggi che “quod non est in web non est in mundo”, eppure sembra che solo oggi si scoprano le fake news.Prima di argomentare sulle fake news (fake news, job acts … sembra che in Italia la politica e l’informazione non riescano ad usare la lingua madre per dare significato a ciò che dicono, e fanno) e valutare le sue connessioni con il web vediamo cosa significa fake news e quali sono le dimensioni assunte oggi da questo nuovo mondo chiamato internet?

Il termine fake in inglese significa non genuino, qualcosa che non è autentico e che pretende di apparire come genuino, dunque si tratta di contraffazione, significato che sul piano logico non si contrappone al vero come falso. Infatti molte fake news si basano su, o comunque contengono, elementi di verità. Fake sono spesso i messaggi pubblicitari, la propaganda elettorale e persino alcune fondamenta delle ideologie (si veda per esempio il razzismo). I servizi di controspionaggio di tutti i paesi hanno sempre saputo bene come trattare l’informazione per renderla fake news, quello sovietico la chiamava “disinformatia”.

Su una popolazione di 7,4 miliardi di persone il traffico dati su internet è pari a 40 triliardi di byte, oltre 1 miliardo di siti, 3,5 miliardi di utenti ogni giorno si scambiano 171 miliardi di mails, 3,5 miliardi di ricerche su Google, 3,2 milioni di post, 475 milioni di tweets, 8 miliardi di video … nel 2020 (fra due anni) ci saranno 50 miliardi di dispositivi connessi ad internet.

Sempre più frequentemente il tema della distorsione della verità e della diffusione di false notizie su internet, per non parlare dell’odio e della violenza verbale che vi scorre che ha ragioni diverse, attira l’attenzione di giornalisti, opinionisti, politici e scienziati che sull’argomento scrivono articoli, pubblicano saggi, propongono leggi, lanciano appelli, sottoscrizioni e organizzano convegni. Ci sono politici che hanno visto in internet la possibilità del riscatto della volontà popolare, limitata alla discontinuità elettorale, attraverso la partecipazione attiva, diretta, in tempo reale; altri politici, a volte sono gli stessi del primo gruppo, che denunciano un pericolo per la democrazia e con loro scienziati e filosofi che denunciano una minaccia alla cultura. A questa dilagata paura si aggiunge poi quella emergente nei confronti dell’Intelligenza Artificiale (che poi dovrebbe rilevare le fake news in internet), vissuta come un pericolo per l’umanità stessa, dalla più parte degli osservatori in quanto eliminerà il lavoro umano e da una minor parte, costituita anche da studiosi e scienziati accreditati, per la possibilità che possa prendere il sopravvento nel controllare e dominare la specie umana. Si invocano così leggi e regolamenti per disciplinare il traffico sul web e si ipotizzano comitati etici per controllare la ricerca scientifica e tenere sotto controllo lo sviluppo tecnologico, per esempio l’ingegneria genetica, i robot e l’intelligenza artificiale. Molte di queste analisi e critiche circolano con sempre maggiore frequenza e si diffondono su internet: nella postmodernità la post-verità è dunque la verità dei post? Esaminiamo la questione a partire dalla percezione del tema che si sta generalizzando: il web produce e diffonde fake news.

Dopo decenni di stampa e televisione (il quarto potere) rispetto al potere informativo dei quali il popolo si trovava in uno stato di totale passività, dopo decenni di pubblicità suadente che ha invaso le menti con la tecnica subliminale di vendere ciò di cui non parlano e parlare di ciò che non vendono, dovrebbe risultare difficile sostenere che solo oggi ci troviamo di fronte al pericolo della diffusione di false notizie attraverso internet. Perché allora tale percezione/opinione risulta così diffusa e sostenuta? Quando si parla di verità non ci si sofferma abbastanza su chi o cosa l’accredita (una religione, una ideologia politica, una scuola di pensiero filosofico…) così come quando si invoca l’informazione oggettiva si dimentica di pretendere di voler conoscerne la fonte. La prima e più evidente differenza tra mass media tradizionali, analogici e cartacei come la stampa e la televisione, ed internet sta nella possibilità/libertà data a chiunque di agire e reagire nella rete producendo informazione, commentando quelle di altri e contribuire alla sua diffusione. Una interazione digitale senza confini accolta all’inizio come esercizio della libertà di pensiero e di parola, paradigma della democrazia reale in quanto partecipata. Nel dopo guerra in Italia, paese ancora di prevalente cultura contadina e con bassa scolarizzazione, il modello di comunicazione era fortemente gerarchico e basato sull’autorità: il capo famiglia, il notabile del paese, il prete, il politico impegnato apprendevano le notizie dal quotidiano e le diffondevano alla famiglia, ai parrocchiani, ai militanti e in generale a tutti i cittadini oralmente. La verità dell’informazione era determinata dall’autorità dell’emittente e dalla soggettiva appartenenza dei singoli alla famiglia, alla chiesa, al partito. In un tale contesto, al di là della volontà dei singoli, la contraffazione della notizia era un errore sistematico dovuto al mezzo di diffusione “connessione bocca-orecchio” (chi male intende peggio risponde, ricordate?).

Con la diffusione planetaria di internet e dei dispositivi a lui connessi la comunicazione è cambiata radicalmente ed è possibile trovare due spiegazioni semplici per inquadrare e spiegare il fenomeno delle fake news. In primo luogo, la libertà di socializzare in rete ha portato persone che precedentemente erano silenti o si esprimevano nei ristretti ambiti della loro vita privata e sociale a manifestarsi pubblicamente: dall’anonimo “mi piace” di uno sconosciuto sotto l’immagine di un gattino o di una tavola natalizia imbandita, alla condivisione dell’indignazione impotente per un attentato terroristico, alla firma della petizione e l’immancabile selfie. La seconda spiegazione è invece di natura statistica: i grandi numeri del web ci indicano che nella misura in cui aumentano le informazioni circolanti aumentano anche quelle false, non è il mezzo a creare il falso, ma l’affluenza dei produttori di informazione. In altre parole potremmo riconoscere che internet ha reso visibile ciò che prima era solo latente e che l’attenzione rivolta alle fake news è strumentale alla connaturata volontà del potere di controllare le coscienze, censurando le informazioni che non produce monopolosticamente e lucrando sul traffico discriminandone gli accessi secondo il modello pay per info. Le fake news sono in realtà una fake issue.

L’ignoranza di molti politici è grazie a internet visibile: confondere come spesso fanno le bufale con la propaganda politica di parte (informazione polarizzata) ormai non stupisce più. L’ignoranza dei giornalisti, invece, di coloro cioè che non dovrebbero produrre notizie ma rilevarle e distribuirle per informare il pubblico, è colpa grave. Un piccolo ma illuminante esempio è il seguente passo di un articolo apparso recentemente sul quotidiano “la Repubblica : ” (…) la candidatura del generale Gallitelli alla presidenza del Consiglio (n.d.r, dichiarazione fatta da Berlusconi durante la trasmissione “Che tempo che fa” la sera precedente) è la prima fake news di questa campagna elettorale (…)”. Non interessa qui il merito della dichiarazione, quanto piuttosto osservare che la notizia fornita della candidatura era in sé vera, in quanto resa pubblicamente durante una intervista televisiva, e che il suo contenuto non poteva per altro essere ancora smentito trattandosi di una previsione/opinione. Il punto è che il giornalista non si è limitato ad essere, per quanto possibile, un osservatore oggettivo della realtà per riportare il fatto, ma ha assunto il ruolo di commentatore che ha voluto esprimere una valutazione di parte reputando in tal modo come “falsa” una notizia perché non gli piaceva. E’ la valutazione del fatto che in questo caso diventa la notizia, da qui alla fake news il passo è breve.

Incapaci di accettare la realtà e il valore di internet, piazza virtuale per la libera conoscenza ed espressione per tutti, i politici temono di esserne controllati (e valutati) e quindi reagiscono, secondo l’istinto animale della paura verso ciò che non si conosce, attribuendo alla rete la responsabilità dei contenuti che gli umani vi inseriscono e confondendo fake news, propaganda elettorale, bullismo e violenza verbale per giustificare un intervento di tipo censorio, mascherato dalla necessità, per ben altre ragioni sostenibile, di regolamentare il traffico. Nella logica perversa del potere sorvegliare e punire rimane l’unica pedagogia praticabile, invece di preoccuparsi del 67% della popolazione che più ricerche sociologiche e linguistiche hanno descritto essere in uno stato di “analfabetismo funzionale” si cerca di limitare e censurare il nuovo mezzo di socializzazione, conoscenza ed espressione, di cui noi tutti disponiamo gratuitamente (quasi).

 

 




La scienza fine di mondo

UnknownSi sa che il giornalismo crea notizie sensazionali per ottenere attenzione. La notizia cerca il successo di pubblico, non certo della critica, la sua verità è solo cronaca nera. Poi si aggiungono l’ignoranza sugli argomenti, l’assenza di verifiche delle fonti e le errate traduzioni linguistiche. È accaduto recentemente che due warning lanciati, a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, da numerosi scienziati operanti nelle due aree diella ricerca tecnologica tra le più più avanzate, l’intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica, sono stati diffusi come allarmi di prossime catastrofi del genere umano, la prima per opera delle macchine, la seconda per mutazioni genetiche indotte artificialmente:

– 400 autorevoli scienziati (tra cui Stephen Hawking) hanno firmato una lettera aperta:  Research Priorities for Robust and Beneficial Artificial Intelligence: an Open Letter  con la quale hanno lanciato un avvertimento sul rischio che “i nostri sitemi di intelligenza artificiale dovranno fare quello che noi vogliamo che facciano, non il contrario”;

– 16 biologi hanno pubblicato su Science Embryo engineering alarm ,  una moratoria internazionale sull’uso della nuova tecnica di manipolazione del genoma che se applicata all’uomo potrebbe cambiarne il DNA in modo tale da rendere ereditaria la manipolazione stessa (la stessa inventrice della tecnica è tra i firmatari).

Al di là del merito delle due singole argomentazioni, e del fascino esercitato dalle profezie apocalittiche, ciò che qui si vuole mettere in evidenza è il fatto che pur muovendo da diversi campi dello sviluppo tecnologico e della ricerca scientifica si arrivi ad una determinazione comune, come se vi fosse una sorta di finalità in virtù della quale l’evoluzione del pensiero porti ad una comune verità.

Il coincidere di questi due appelli sul rischio per l’umanità potrebbe essere allora considerato come una conferma della teoria psicologica della sincronicità  di Carl G. Jung, il quale sosteneva che la causalità è solo un principio, e la psicologia non può venir esaurita soltanto con metodi causali, perché lo spirito (la psiche) vive ugualmente di fini.  La stessa coincidenza può essere per altro considerata anche come una conferma del fenomeno scientificamente accertato della convergenza evolutiva, il fenomeno per cui specie diverse che vivono nello stesso tipo di ambiente, o in nicchie ecologiche simili, sulla spinta delle stesse pressioni ambientali, si evolvono sviluppando, per selezione naturale, determinate strutture o adattamenti che li portano ad assomigliarsi moltissimo.

Quanto al significato etico dei due appelli ricordiamo il Manifesto di Russell-Einstein del 1955 con il quale gli 11 scienziati firmatari lanciarono nel pieno della Guerra fredda, un appello per il disarmo nucleare che Joseph Rotblat, scienziato che abbandonò il progetto Manhattan e fu in seguito Nobel per la Pace nel 1995, presentò con la famosa frase: ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto.