Je ne suis pas Charlie

10525819_1506522106248757_8166857149866691938_nQuando si è di cattivo umore si tende ad essere aggressivi, lo so, e per una volta mi permetto di non essere politicamente corretto. Perciò fate attenzione:  “le parole che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità“. Ciò che sempre più mi indispone sono la vacuità del sentire comune, il relativismo del pensiero debole e l’ipocrisia del politicamente corretto. Quella postura rattrappita dello spirito che raccatta qua è là nel si dice e nella chiacchiera mediatica stereotipi scontati ad uso di un pubblico insipiente che nel gregge piagnucola il proprio diritto all’esistenza. Disprezzo tutto ciò che è retorico, inautentico e ripetitivo e lo disprezzo non come si usa dire “senza se e senza ma” ma senza eccezioni o riserve. Si può ritenere questo atteggiamento un’alterigia, una presunzione elitaria e offensiva che mi classifica nell’invisa categoria degli intellettuali, di un intellettuale narcisista in dispregio alla gente comune. Ebbene sì, è vero: disprezzo la massa. Disprezzo la massa per la sua mediocrità, quella volontà che in ragione del diritto all’esistenza banalizza la vita soffocandola dentro a credenze che gravemente nuocciono al seme come alla pianta, quella nenia sterile, sommessa e sottomessa, che ribolle nella belletta allegra, acre rancore che violenta lo spirito fino a spingerlo alla crudeltà. Un vero popolo non è un insieme di “gente comune” e d’altra parte come osserva Oscar Wilde la stupidità è crudele.

Oltre alla banalità del male (Hannah Arendt) esiste di fronte al sapere un’innocenza che è colpevole. Normali cittadini diventano spesso gli inconsapevoli autori anche dei più atroci delitti. Nefandezze compiute con ingenua ignoranza e bontà del cuore. Quella vita semplice a cui tutti aspirano si riduce alla coltivazione del proprio orticello, in disdegno della collettività e di un più profondo sapere da cui si sentono esclusi. Ebbene sì, l’ignoranza sorella maggiore dell’ingenuità è colpevole, come ben sapevano gli antichi Greci, colpevole di ignavia, di pigrizia, di invidia, di arroganza, di malanimo, di saccenza, di presunzione e spesso anche di cattiveria. Là dove non si sa si dovrebbe tacere. Si deve ascoltare e soprattutto non arrogarsi il diritto “di dire la sua”. Ascoltare prima di avere un’opinione e in assenza sospendere il giudizio.

Non esiste alcuna simmetria nel sapere. Chi non conosce la grammatica non può ridere di un filosofo. E gli stolti hanno il riso facile. La volgarità è facile al riso. Volgarità che è nell’anima prima ancora che nelle parole. Leggo sul Fatto quotidiano (Lunedì 12 gennaio 2015) di una trasmissione televisiva (South Park) in cui si recita “la Madonna caga sangue dal culo sul Papa – per poi scoprire che no, non sta sanguinando dal culo. Sta sanguinando dalla vagina ed è normale che le pollastrelle sanguinino dalla vagina (testuali parole del Papa in versione South Park)”. Parole che mi è offensivo scrivere. Satira? Libertà di espressione? No, è l’orrore!

Si attribuisce a Voltaire la frase “Combatterò tutta la vita le tue idee, ma sono disposto a dare la vita perché tu possa esprimerle”. Pienamente d’accordo, ogni libertà compresa la libertà di stampa è inviolabile. Nessuna censura. Ma religioso o laico che sia, la volgarità va fermamente combattuta tutta la vita. Nei media come nella quotidianità. Chiamare satira la volgarità è una bestemmia. Diverso è il riso che bacia l’essente. I cattivi ridono sempre.

Je suis Chiarlie? Quanti possono dire di aver conosciuto Charlie Hebdo?
“Je suis Chiarlie” era scritto sulla maglietta di Vauro nell’ultima trasmissione di Piazza pulita di Michele Santoro, Vauro che da vignettista Charlie Hebdo l’aveva conosciuto.
Vauro è stato accusato di aver criticato in passato Charlie Hebdo, si era espresso sul pericolo che la rivista correva ridicolizzando l’Islam, è stato accusato per questo di essere ipocrita nell’indossare tale indumento. Il quotidiano Libero, la cui stessa testata offende il principio che invoca e il cui il pensiero debole fa vendere vendendo fango, riprendeva il tema e l’accusa. Ma che relazione c’è tra criticare una persona e desiderarne la morte fino ad ucciderla?

Per un verso Vauro ha indubbiamente fatto bene a indossare la maglietta, per un altro ci si deve domandare se indossarla è un gesto per difendere la vita e la libertà di espressione o appoggiare le idee di “eroi” del cui operato non sappiamo nulla.
Eroi? Chiamereste eroi chi ha proferito frasi come quella sopra riportata? La morte non santifica. La pietas dovuta ai morti e che tutti ci assolve è solo il perdono finale. Il pensiero debole ora si chiede “ma quella è stata proferita da una trasmissione americana e non da Charlie” e ancora “che ne sappiamo noi della satira di Charlie?”. Appunto! Dio mio, quanta pazienza … personalmente credo che abbiamo il diritto di critica solo in casa nostra e se le critiche debbono essere come quella succitata neppure in casa nostra. Pena il disprezzo, non la morte.

Il circo mediatico scatenato e senza freni ha ancora una volta offerto lo spettacolo di una pretesa unità di oppressi e oppressori, dimentica per un giorno dei conflitti in casa propria. Per certo io non sono Charlie, sono disposto a appoggiare ogni satira, ma non sono disposto ad accettare la volgarità. Le religioni hanno per certo molti aspetti ridicoli che vanno sconfessati, sconfessati per mezzo della denuncia e della provocazione fino a dare scandalo, ma lo scandalo deve riguardare solo quegli aspetti che la ridicolizzano nel rispetto e in aiuto di chi si sta ridicolizzando per quello che chi viene investito è in grado di digerire, altrimenti è bullismo: il compiacersi tra pari di essere felici della propria appartenenza disprezzando il prossimo.

Il cinismo dei media che si concretizza in una satira che offende anziché provocare offende la verità. Giornalismo non è informare, ma contribuire a far emergere la verità.
Si chiacchiera sull’accaduto. Ci siamo dimenticati dell’essere, dell’ente fonte dell’informazione. Solo la cultura ci salverà.