La democrazia statistica

imagesUn merito del M5S, con la sua esaltazione della rete concepita come strumento per la democrazia diretta o partecipata, è stato di ricordare agli italiani che siamo in una democrazia indiretta, un regime democratico rappresentativo nel quale gli aventi diritto al voto eleggono i propri rappresentanti per essere governati.

Beppe Grillo, nella sua autoreferenzialità, e i suoi seguaci  hanno riproposto dopo oltre due secoli la critica che Rousseau rivolgeva alla democrazia rappresentativa: “L’unico modo per formare correttamente la volontà generale è quello della partecipazione all’attività legislativa di tutti i cittadini, come accadeva nella polis greca: l’idea che un popolo si dia rappresentanti che poi legiferano in suo nome è la negazione stessa della libertà.”  (J.-J. Rousseau, Il contratto sociale III, 15).  Avrebbero potuto farsene un merito e in tal modo darsi una base culturale (di cui per altro pare ne abbiano bisogno) ed invece è seguita un’altra esternazione dell’ Auto-Grillo: “si può fare a meno del Governo, basta il Parlamento”.

Alla fin fine l’Auto-Grillo fa ridere perché è un comico, ma possiamo fare altrettanto dei suoi sostenitori? Certamente no, non tanto per la presenza in Parlamento dei 163 grillini, edizione naïf dell’entrata in politica della società civile,  quanto per la diffusa e rapida affermazione elettorale del M5S che indica un comune sentire che é in formazione tra il popolo sovrano. Del fenomeno M5S non dovrebbe interessare la sua classificazione a destra o a sinistra (i cultori della classificazione politica ricordano gli scienziati naturalisti del settecento, i quali per comprendere un oggetto dovevano in primo luogo classificarlo), quanto piuttosto la sua emergenza dovrebbe esser colta come una opportunità per comprendere cosa sia nella realtà italiana la così detta società civile.

I più sostengono che democrazia significhi governo del popolo e ciò è etimologicamente corretto (ricordiamo che il termine proviene dal greco antico perché furono gli antichi greci ad inventare tale forma di governo), ma a ben vedere se intendiamo il termine ‘governo’ come ‘esercizio del potere’ v’è allora da chiedersi se la democrazia sia il ‘potere del popolo’ o il ‘potere per il popolo’. In questo cambio di preposizioni  è riconoscibile una sostanziale differenza culturale nella concezione del rapporto tra cittadini e Stato, tra politica e potere e nei criteri di selezione dei delegati a governare.

Per evidenti ragioni organizzative dovute ai grandi numeri in gioco tutti i membri di una una popolazione non possono materialmente governare la propria nazione e pertanto si deve ricorrere alla selezione di un numero ristretto di individui in qualche modo loro rappresentanti che assumano con criteri predeterminati e condivisi il compito di governare.  Nascono a questo punto i problemi di come selezionare i rappresentanti e inoltre di definire quale sia la delega dei poteri di governo da attribuire loro. Nella democrazia indiretta (parlamentare) il potere è esercitato da rappresentanti eletti dal popolo. Sembra tutto chiaro e condivisibile, ma temo non sia proprio così (e mi scuso per la pedanteria di questa sintetica spiegazione).  Riscontro infatti una diffusa confusione di significati attribuiti ai termini quali per esempio popolo, rappresentanti, grande coalizione,  diventati nel lessico politico odierno  dei luoghi comuni, simboli piuttosto che parole, espressioni contenitori di senso su cui riteniamo di avere un intendimento comune e condiviso.  A ciò si aggiunga la illusoria aspettativa che una nuova legge elettorale, più giusta in quanto coerente ai principi democratici, possa trasformare la volontà popolare in stabilità di governo.

Partiamo da quest’ultimo luogo comune.  Dunque, la legge elettorale n. 270/2005 (c.d. porcellum), non consentendo da un lato la scelta da parte dei cittadini dei loro rappresentanti e  applicando dall’altro regole differenti per attribuire il numero dei seggi ai due rami del Parlamento, viene indicata come una delle cause dello stallo cui siamo giunti.  Si tratta in realtà di un tentativo di esorcizzare lo sgomento di fronte alla constatazione della fine del bipolarismo. Se guardiamo infatti i risultati elettorali  qui sinteticamente riportati nella tabella (Fonte: Ministero degli Interni.  N.B: le percentuali relative ai risultati vengono espresse in relazione ai votanti, non agli aventi diritto dei totali degli elettori, rispetto ai quali invece viene calcolata l’astensione):

Coalizioni / Elettori

CAMERA

SENATO

n° partiti

Valori assoluti

%

Valori assoluti

%

Centro-sinistra

4(C) 6(S)

10047808

29,55

9686471

31,63

Centro-destra

9(C) 12(S)

9922850

29,18

9405894

30,72

M5S

1

8689458

25,55

7285850

23,79

Lista Monti

3(C) 1(S)

3591607

10,56

2797486

9,13

Altri

30(C) 36(S)

1750801

5,15

1441844

4,71

Sch. bianche

395285

1,12

369301

1,16

Sch. nulle

872541

2,47

763171

2,4

Astenuti

11633613

24,81

10519474

24,89

Totale elettori

46905154

 

42270824

 

possiamo notare le seguenti evidenze: i) ha votato il 75% degli aventi diritto; ii)  quattro formazioni politiche hanno superato la soglia, sommando il 70% dei voti; iii) quasi il 5% dei voti si è distribuito su oltre 30 partiti non superando la soglia; iv) il 3,5% dei votanti hanno consegnato la scheda bianca o la hanno annullata; v) la differenza di età degli elettori alla Camera e al Senato (si tratta di oltre 4,6 milioni di elettori) non influenza il numero degli gli astenuti, né quello delle schede bianche o nulle, mentre incide più nel M5S e nella Lista Monti che nelle due coalizioni di sinistra e destra.

Tali risultati sembrano rappresentare un quadro politico dell’Italia odierna caratterizzata dai seguenti tratti: i) un bi-populismo, il nuovo M5S a fianco del preesistente berlusconismo, ha sostituito il bipolarismo; ii) ben oltre un quarto degli elettori non esercita scelte; iii) la sinistra italiana rischia l’estinzione.

La questione centrale è però l’intendimento sulla democrazia rappresentativa che si sta diffondendo nella popolazione e che si pone a fondamento del nuovo populismo: l’illusoria prospettiva offerta dal web.2 di realizzare l’auspicata partecipazione attiva  del popolo al governo del paese. Si tratta di una visione tecnicista e semplificata  della democrazia nella quale il concetto di popolo, inteso come nella Dichiarazione Universale dei Diritti Collettivi dei Popoli (Barcellona, 1990) ove si afferma che “Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato”, viene sostituito da quello di popolazione, ovvero di un insieme di individui aggregati per dati anagrafici ed altri caratteri.

Questo passaggio ha portato con sé anche il cambiamento del concetto di rappresentanza, che dal suo significato politico fondato sul diritto e sulla storia (l’agire in nome dell’istituzione per l’interesse della collettività) si è spostato verso uno statistico (l’agire in nome dell’interesse prevalente, la moda).  Secondo l’impostazione statistica, infatti, un campione può dirsi rappresentativo del proprio universo quando c’è l’identità delle proporzioni secondo le quali sono presenti, nell’uno e nell’altro, i vari caratteri della popolazione. E la rappresentatività statistica ha stravolto a sua volta il concetto di delega, non più inteso come conferimento di poteri dall’elettorato all’eletto per superare  i limiti oggettivi dell’incompetenza, ma come un mandato esercitato da un campione selezionato in nome e per conto dell’universo.  Nuovo fondamento razionale e scientifico della democrazia, la statistica va imponendosi nella società dominata dalla tecnica con la  potenza dei numeri e la suggestione dei sondaggi: è la democrazia statistica.

Secondo un tale rigore metodologico i dati risultanti dalle elezioni politiche potrebbero essere intesi come non rappresentativi della volontà popolare, dal momento che il campione dei votanti non è rappresentativo dell’universo degli elettori.                            Un rappresentante politico dell’ultimo governo  berlusconiano, intervenendo in uno dei tanti talk show televisivi,  espresse molto bene  questa deformazione del pensiero a proposito di talune candidature femminili alle elezioni politiche di allora, giudicate inconsistenti in quanto riguardanti giovani donne  provenienti per lo più dal mondo dello spettacolo stimate più per la presenza che per i curricula. Il nostro esponente politico fece osservare che, al contrario di quanto sostenuto dai critici, tali candidature  costituivano un esempio di un buon governo democratico, in quanto una vera democrazia rappresentativa  deve poter consentire  ad ogni  componente presente nella società  il diritto di avere una sua rappresentanza politica.  La miseria culturale dei politici contemporanei, addestrati dalle scuole di formazione politica sulle tecniche del marketing e della pubblicità tramite corsi full immersion, confonde il processo di selezione di una classe dirigente politica con  il metodo della formazione dei campioni rappresentativi dell’universo usati nei sondaggi d’opinione.

Quanto, infine, al riferimento alla Große Koalition  condotta dalla Cancelliera Merkel dal 2005, divulgata come l’originaria esperienza politica tedesca, non é che un’altra grossolana approssimazione, perché la prima grande coalizione in Germania fu costituita dal 1966 al 1969 per approvare (e qui ci starebbe davvero l’analogia con l’attuale nostra situazione economica e politica) un pacchetto di leggi di emergenza in materia fiscale e sociale, quelle che consentirono al paese di proiettarsi verso il primo boom economico. La Germania oggi rappresenta in Europa un riferimento solido per la democrazia e viene spesso citata nel nostro paese, in verità con umori molto mutevoli, come un modello di riferimento.  Personalmente condivido questo riconoscimento e suggerisco per meglio comprenderlo di volgere lo sguardo alla facciata del Palazzo del Reichstag di Berlino, ove si legge ancora la scritta  Dem Deutschen Wolke (al popolo tedesco). La scritta risale alla edificazione originaria di fine ottocento, mentre la mirabile cupola in vetro che la sovrasta sostituisce quella distrutta dai bombardamenti, con ciò volendo rappresentare la trasparenza di una democrazia faticosamente ricostruita e riunificata sulle devastazioni di una guerra e sulla memoria tanto dell’orrore nazista quanto della dittatura comunista.

Sarebbe ora che la coscienza democratica nel nostro paese si svegliasse dal torpore allucinatorio del “non è vero perchè non mi piace” e rivolgesse l’attenzione alle cause vere e profonde del declino del nostro paese. Non è in discussione la sovranità del popolo, ma la sua condizione di sottosviluppo culturale. Il livello di democrazia di un popolo è direttamente proporzionale al suo livello di cultura e solo la cultura potrà salvarci.




Democrazia e demografia.

images-1Beppe Grillo potrebbe oggi sembrare un eroe della mitologia greca che ha sfidato i politici (gli dei) e nella sua tracotanza (hybris) potrebbe gridare al mondo: quando sento parlare di senso di responsabilità metto mano alla pistola. Ed avrebbe ragione. Tutti adesso si appellano al senso di responsabilità, sono quelli che hanno perso e che oggi ci dicono che noi tutti siamo nella stessa barca. Io temo queste persone e questa politica perché per criticarle possono bastare motti come quest’altro di Goebbels: per la politica il carattere conta molto più che l’intelligenza: è il coraggio che conquista il mondo.

Prima la campagna elettorale con i sondaggi, poi i commenti sui risultati. La politica come il calcio: un’ora di partita e una settimana di chiacchere. Recita un detto popolare mantovano: toti i asin menen la coa, toti i coioni disen la soa (ndr: tutti gli asini menano la coda, tutti i coglioni dicono la loro).  E’ penoso assistere allo scorrere nei dibattiti televisivi delle facce pallide e frastornate del centro-sinistra balbettare ossessivamente spiegazioni assurde con il loro linguaggio onanistico da perdenti, un  linguaggio incomprensibile fatto di analisi politichesi sul capello diviso in quattro.

Tutti gli osservatori e opinionisti sono concordi nel ritenere che con le elezioni 2013 abbiano trionfato i populismi. A quello già noto di destra di Berlusconi consolidato in venti anni si sarebbe contrapposto quello di sinistra dei grillini (un M5S capace in breve tempo di raggiungere 8.688.000 voti, dragando il 30 % dei voti dal centro-sinistra, altri dall’astensionismo e il 39% dalla Lega e il Pdl). E’ stato giustamente osservato che M5S costituisce da solo una “grosse Koalition”.

Dunque la novità sarebbe che si sono resi visibili diversi populismi ascrivibili  a diverse sensibilità politiche. La verità però, una verità che si poteva conoscere da molti anni ma che è stata nascosta prima dalle ideologie e poi dalla illusione del bipolarismo, è che la cultura arretrata italiana ha bisogno del populismo per fare politica ed oggi con il doppio populismo si è almeno ridotto il qualunquismo.

L’avanzata inesorabile del M5S ci sta mostrando una strutturale novità: la formazione di un nuovo blocco sociale ancorato su una base generazionale e non più ideologica, costituito da una classe di cittadini grosso modo compresa nella fascia d’età tra i 20 e i 50 anni. Una nuova classe di ‘giovani’. Come se si fosse avvertito che il declino del paese potesse anche dipendere dall’invecchiamento della popolazione (l’indice di vecchiaia ha raggiunto in Italia una valore ragguardevole, secondo in Europa, ed è destinato a crescere nei prossimi tre decenni).

Altro che rottamazione, si tratta di una rivoluzione culturale che può scaturire in una profonda rivoluzione sociale. Qualche cosa di simile a quanto è accaduto alla fine degli anni sessanta, quando i figli del baby boom e del benessere rivendicarono la propria esistenza contro la società autoritaria. Oggi però i vettori della protesta non sono più gli studenti, essi sono cresciuti e diventati normali cittadini lavoratori e precari, insegnanti, operai, professionisti, piccoli imprenditori. Appartengono alla classe d’età 20-50 anni, ovvero la generazione nata tra il 1963 e il 1988: i figli dei sessantottini e parte di loro stessi, invecchiati. Molti di loro hanno una scolarizzazione superiore alla media nazionale, alcuni sono nativi digitali e comunque tutti socializzati dal web. Ciò che essi rivendicano non è solo il lavoro ma una nuova socialità, perché il lavoro viene sì considerato ancora come la condizione necessaria per la dignità umana (condizione oggi resa drammatica dalla crisi economica e dall’insipienza delle politiche fin qui adottate), ma percepito anche come condizione non più sufficiente per la crescita culturale e personale.

Non voglio passare per il Pasolini dei grillini, ma guardateli in faccia questi 163 grillini neoeletti: alla Camera 71 uomini e 37 donne con età media di 33 anni, al Senato 30 uomini e 24 donne con età media di 46 anni. Come si può pensare di comprendere e interagire con un tale fenomeno utilizzando usurate categorie socio politiche novecentesche?  Molti dei valori e dei temi che tormentano la coscienza dei politici  sono valori per molti di loro già praticati nella vita quotidiana, anche se non sempre ne sono culturalmente consapevoli. Non vanno considerati come vettori patologici antipolitici, ma come portatori sani, per lo più inconsapevoli, di una nuova politica.

Fra due o tre settimane i cronisti di tutte le reti nazionali e internazionali si accalcheranno di fronte a Palazzo Montecitorio e a Palazzo Madama per mostrare  al mondo gli imbarazzi e le emozioni di questi neofiti al loro primo giorno di scuola accompagnati dai genitori Grillo e Casaleggio, mentre giornalisti prezzolati e politici rancorosi cercheranno in loro i segni di un ulteriore degrado della politica e delle istituzioni.

Saranno per allora raggiunti possibili accordi per un’ipotesi di governabilità, sia pure transitoria? Beppe Grillo non ha paura degli inciuci di programma. E’ ben consapevole che la  forza del M5S sta proprio nella capacità di condizionare la politica dei partiti rimasti e quindi nella negoziazione. Per i leghisti della prima ora Roma era ladrona, per i grillini contemporanei è invece il tempio da cui cacciare i mercanti. Il suo timore è piuttosto quello dei possibili inciuci (scouting) a cui una parte dei suoi neoeletti, insediati al Parlamento senza vincoli di mandato, possano esporsi o magari cercare individualmente per inesperienza e smarrimento in quelle acque torbide che vorrebbero rendere trasparenti. Dalla rete già echeggiano i primi rumors. Una possibilità che i partiti sopravvissuti coltiveranno più o meno cinicamente alla ricerca dei voti perduti: dìvide et impera.

Il Partito Democratico, o almeno quello che emergerà dal disastro elettorale, ha il dovere morale non di ri-costruire se stesso, con la ricerca di una strumentale alleanza  con i grillini (per altro necessaria nel breve periodo), ma di cogliere nella formazione della nuovo blocco sociale il nuovo soggetto politico che offre l’opportunità di rigenerarsi culturalmente e ristabilire una buona e moderna politica di sinistra per un nuovo welfare state da offrire al Paese.  Tutti a casa dunque, anche Grillo.

 

 

 




Lacrime nella pioggia.

549200_4403488767929_1384666298_nLa scervellata politica del PD è giunta al capolinea, ma non credo abbiano capito. La linea politica del PD non parte da oggi ma da quando è stato deciso di cambiare nome al PCI. Da allora l’idea, in gergo la linea, è stata sempre quella di raggiungere il fatidico e ora esiziale 51%. Da quarant’anni non è mai cambiata. Per realismo si è cercato di spostarsi gradualmente a destra quel tanto che basta per perseguire questo fine secondo l’adagio “Per essere un buon ministro, bisogna prima essere ministro”.

Hanno perseverato in questo fino ad oggi ricattando sempre più il popolo di sinistra che vedeva sempre più sminuiti i propri valori (solidarietà tra compagni oggi non ha più significato) con l’aggravante di aprire le porte a gente che non ha esitato a iscriversi indipendentemente dalla fede politica pur di conseguire propri fini. Si consentiva al sindacato di imprendere, al partito di ficcarsi in ogni dove (Fondazioni) di intrallazzare alla stregua di chi dell’intrallazzo ha fatto politica. Meno, certo meno, senza paragoni. Ma le porte sono state aperte è più di uno è scappato dalle stalle.

La gente non ha potuto crederci, il più grande valore della sinistra, l’onestà, messa in discussione. “Non l’hai capito? Sono tutti uguali, sono tutti collusi”. Qualunquismo certo ma gliene è stato dato modo, modo di esistere. Che ha fatto culturalmente il PD per combattere il qualunquismo? Per combattere il qualunquismo in casa sua, a sinistra? Nulla! E se lo ritrova ora tutto contro nel popolo di Grillo.  51% e il vino gradualmente si è annacquato, ha perso di genuinità. Ovunque: nel partito come tra la gente.

La vecchia cultura se ne è andata e nulla è stato fatto per acquisirne di nuova. Vecchie ideologie andavano indubbiamente cambiate ma non bisognava dimenticare che quelle ideologie avevano affrancato il popolo anche su sani valori che non solo andavano consolidati ma indubbiamente bisognava acquisirne di nuovi. Adoperarsi cioè per una crescita culturale. In vent’anni di berlusconismo la cultura si è abbassata in tutto il paese e non solo a destra e questa votazione è la diretta espressione della cultura del paese. Come non comprenderlo!

Grillo non avrebbe ottenuto di certo questo risultato se la classe dirigente del PD si fosse rivolta verso il basso a ricordare al popolo di sinistra i valori che la sinistra unisce, valori che non stanno certo solo nella pagnotta ma nell’onestà, nel rispetto, nella tolleranza, nei diritti e nella dignità, nella compassione. Flessibilità? In un periodo di crisi si può accettare di stringere la cinghia ma non di perdere la dignità. C’è di peggio che la recessione, c’è la regressione. Ora la frittata è fatta.

Per la prima volta siamo certi che il popolo di sinistra (il popolo non i partiti) ha superato e di gran lunga il 51%. È innegabile che il popolo di Grillo appartenga come ha detto Berlusconi (incredibile l’ha detto proprio Berlusconi) per l’85% alla sinistra. La politica scellerata del PD ha lacerato il popolo di sinistra che non ha accettato più di essere ricattato e vedere disattese le proprie aspettative. Non solo Grillo ma anche coloro che non hanno votato (25%). Il paese tenuto conto di chi non ha votato non è diviso in tre ma in quattro.

Il PD prospettava con responsabilità ( nuova parola in auge che dà la linea e che tutti già ripetono a pappagallo) un governo Monti-Bersani e il risultato e che intere famiglie che prima votavano PD ora chiamano Bersani “Gargamella”, il puffo cattivo. Bersani non ha capito che Monti come alleato la sinistra non lo vuole, che Monti rappresenta la Finanza internazionale, il gruppo Bildenberg, il turbo capitalismo, quella finanza che sta affossando il popoli di tutte le nazioni.

Per giunta Bersani non ha dato assicurazioni sufficienti sulla scuola pubblica, sulla corruzione, sul conflitto di interessi, sulla patrimoniale, sul diritto del lavoro e soprattutto sulla sanità, lasciando intendere che sarà in accordo con Monti, inevitabilmente tagliata. Indegno a questo proposito tutto il giornalismo televisivo: sulla sanità non una sola domanda ad un solo leader.

Gli italiani stanno male, malissimo, non vogliono sentire prediche, non vogliono più sentire parlare di sacrifici, e sempre e solo di economia, stanchi di vedersi precarizzato il futuro e ormai anche il presente. Non si può togliere la speranza al popolo. Berlusconi e Grillo hanno aperto alla speranza hanno dato sfogo alla paura e alla rabbia. Si tratta di due capopopolo ma di due capopopolo ben differenti. Uno un populista di destra, l’altro un populista di sinistra, uno che di destra e sinistra ne ha pieni i coglioni fin da quando Guzzanti giocava di nascosto con le mani e invitava a indovinare qual era la destra e qual era la sinistra. Ormai la politica è diventata un cartone animato dove chi è il buono e chi è il cattivo si comprende solo dalla faccia che fanno e Berlusconi ride, ride sempre, quindi senz’altro è il buono.

Bersani si è detto ripetutamente fedele al governo Monti e ripetutamente si è lodato per questa sua fedeltà, ha mostrato chiarissima l’intenzione di stringere un’alleanza con Monti nella comune idea della responsabilità per salvare l’Italia e di combattere il populismo. Un successo che riteneva sicuro grazie a beceri sondaggi e al ricatto del voto utile presso il popolo di sinistra.

Bersani capisci questo: Monti la sinistra non lo vuole! A sinistra c’è chi pensa che Monti sia peggio di Berlusconi, che abbia ripulito le stalle per mungere meglio le vacche. Monti ha liberalizzato i mercati per portare gli Italiani a lavorare come i cinesi (Gramellini). Monti segue il Mercato, Monti è miliardario. Bersani non l’ha capito o se lo ha capito per responsabilità ha cercato di imporlo. Tanto sicuro da non aprire la porta a Ingroia. Motivo? Non voleva Monti e già aveva Vendola dentro come gatta da pelare. Ingroia ha bussato e lui non ha fatto finta di non sentire, avrebbe compromesso la sua alleanza.

Ma l’errore più madornale identico a suo tempo a quello commesso con la Lega, e stato quello di inimicarsi da subito Grillo che pur nella sua veste di capopopolo, di Brancaleone alla testa di diseredati, nella gestione della protesta portava nel programma molti punti più che condivisibili che anzi il PD avrebbe dovuto subito fare suoi, uno almeno attuato già da tempo (conflitto di interessi) e altri portati in parlamento e nelle piazze con ben altra forza, corruzione, lotta alla casta, difesa dei diritti dei lavoratori (art.18), difesa del welfare, della scuola pubblica, della sanità, referendum e tutte quelle battaglie civili che non riguardano direttamente l’economia. Si è di contro lasciato trascinare a parlare solo ed unicamente di economia. Centralità del lavoro? Senza sicurezza, serenità e dignità?

E anche qui: “Le cerimonie sono fatte per gli uomini e non gli uomini per le cerimonie”, da cui: “la finanza è fatta per l’economia e non l’economia per la finanza”, ma da ultimo “l’economia è fatta per gli uomini non gli uomini per l’economia”.

Salvare il paese può avere solo il significato di ridistribuire il reddito di far pagare la crisi a chi è vissuto al di sopra delle nostre possibilità. La vis forcaiola di Grillo è stata ben accolta, è nato in tutti un desiderio di vendetta, la violenza deve essere evitata e su questo Grillo si è già espresso, la rabbia comunque deve trovare soddisfazione.  No ad una patrimoniale, ma tasse di successione pesanti, pesantissime! È inammissibile che esistano persone che posseggono miliardi di euro, dico miliardi di euro, e li possano cedere ad eredi, al di fuori del merito?

Contro la ricchezza non esiste nessuna cultura nel paese. Qui il punto: la cultura del paese. Il popolo di destra non vota a destra: tifa per la destra, lo fa per opportunismo e per ignoranza. Berlusconi parla alla pancia e il popolo che vive solo di pancia non comprende altri valori. Il PD non ha mai fatto né parlato di cultura, non intende neppure il termine nel suo profondo significato.

Sogno una Costituzione in cui all’art.1 fosse scritto “L’Italia è una Repubblica fondata sulla cultura. Il primo dovere di ogni governo è far progredire in civiltà il popolo”. Di fatto la cultura nel paese è rimasta talmente bassa che, da non credere, con le stesse promesse elettorali Berlusconi ha recuperato a sé gran parte del suo popolo. Con sorpresa di tutti. Ma come potete pensare che il suo elettorato fosse cambiato? L’ignoranza di chi ragione con la pancia non è cambiata e allora? Il venditore è tornato a vendere lo stesso aspirapolvere alla stessa gente.

Inutile parlare al PD di valori della sinistra, non capirebbe neppure di che si stia parlando, si è fissato sull’economia e sul lavoro solo in termini economici trascurando il capitolo più importante quello dei diritti e della dignità, della sicurezza e della serenità del lavoro, esponendo i lavoratori al ricatto, accettare qualsiasi lavoro pur di avere un lavoro. L’errore sempre lo stesso, prima il posto e poi i diritti. Ha menzionato l’art.18 quasi si trattasse di un falso problema. Da non credere.

Ha accettato la “concertazione” come logica della responsabilità. Lui come Monti pensa all’Italia io penso agli Italiani. Un operaio, Giuseppe Burgarella, si è ucciso citando l’art.1 della Costituzione. Domani sarà un eroe. Bersani, lui come altri, neanche una parola.

Di fatto Berlusconi ha perso, è passato dal 37% al 25% ma anche Bersani ha perso e ha soprattutto perso perché spaccato in due il popolo della sinistra non ha saputo parlare al cuore degli italiani affinché gli italiani usassero la testa e non la pancia. Un compito arduo che La Quercia- Pds-Ulivo-Pd, anziché cambiar nome, avrebbe dovuto iniziare quarant’anni fa per rendere il vino più genuino e non per annacquarlo.  Solo la cultura ci salverà.