Il principio di finalità esterna

“La massa non sa cosa sta succedendo e non sa neanche di non saperlo” (Noam Chomsky).  In uno stormo di uccelli un uccello ha due scopi, uno definito interno che riguarda la propria personale esistenza, l’altro servire lo stormo. Lo stormo si serve dell’uccello per portare avanti una propria finalità in cui l’individuo compare solo come “la parte del tutto”. Questa finalità esterna all’individuo condiziona all’individuo tutta la sua esistenza ma l’individuo non ha alcuna coscienza di agire per conto dello stormo.

Esistono quindi due livelli di “coscienza”, uno interno e uno esterno; e perché il tutto, nell’interesse di tutto e di tutti, funzioni ossia sopravviva, è necessario che l’individuo risponda alle esigenze del tutto o sarà sacrificato. Questo breve racconto descrive una necessità naturale e può benissimo essere letto in chiave metaforica anche per quelle che sono le esigenze umane; nella sua sostanza il principio di finalità esterna può essere applicato anche alle comunità umane.

Distinguiamo ora una morale interna o semplicemente “morale”, da una morale esterna o “etica”. Chiameremo quindi morale quella che si riferisce all’individuo e etica quella che si riferisce al sociale. La morale interna regola i comportamenti individuali fondati sulle pulsioni “naturali”: sesso, possesso, gelosia, orgoglio, qualità innate che vedono il mondo egocentricamente solo nell’utilizzo. La domanda nei confronti dell’ambiente è sempre la stessa “che cosa mi serve?”. Questa morale si oppone all’etica, la quale in quanto volontà esterna esige diversamente per “la convivenza” regole diverse dalla morale. La convivenza fissa le regole per la sopravvivenza o anche la migliore sopravvivenza del gruppo. Queste regole sono differenti da quelle che muovono all’azione il singolo e costringono l’individuo a rinunciare in tutto o in parte alle sue pulsioni dandogli un’ idea di privazione della sua libertà. In biologia le regole stabilite dalla natura sono rigidissime e l’individuo obbedisce senz’altro salvo essere eliminato, la natura è una dittatura perfetta. “Morale” e “etica” coincidono.

L’avvento della coscienza porta libertà ma porta anche ribellione, i due piani interno ed esterno cominciano a “scollarsi”. Il piano esterno anticamente solidamente nelle mani della Natura passa ora nelle mani della Cultura, una struttura sopraindividuale che comincia una sua vita autonoma anche dalla natura, e che non è immediatamente nella coscienza dell’individuo. Questa struttura culturale è nota come “sistema sociale”. Il sistema sociale è costituito dall’insieme delle regole, dei simboli, degli umori condivisi da un gruppo, da un popolo, da una nazione. Ora, nella cultura, è chiaro che bisogna avvicinare la morale all’etica attraverso l’educazione o imporre l’etica alla morale. 

La particolarità del sistema esterno è di non essere cosciente agli individui alla nascita e di portare agli individui valori “nuovi”, esterni, per impostare e determinare il comportamento. In dipendenza dell’educazione ricevuta (o non ricevuta) in molti individui l’etica rimane imposta, ignota e ostile fino alla morte. Questi nuovi valori esterni che costituiscono la tradizione e la memoria del gruppo, sono il frutto di centinaia di generazioni e costituisco quello che si definisce come “Patrimonio Culturale”. Le regole riguardano la possibilità della convivenza che per migliaia di anni hanno tenuto conto principalmente della morale legata alle primordiali pulsioni innate. Per tenere stretto il gruppo il regime di potere, sistema esterno, non poteva che tenere a freno l’individuo e somigliare nella guida del gruppo al tipo controllo che la natura ha sull’individuo, ossia dittatoriale. Il potere stesso non aveva tuttavia coscienza delle regole che si venivano a determinare ma agiva sempre in dipendenza del principio di finalità esterna in dipendenza dell’ambiente, ambiente che ha continuato ad agire come influenza esterna al potere stesso. 

Orbene, solo recentemente nella storia sono venuti in essere nuovi sentimenti quali: empatia, compassione, misericordia e derivati; intendimenti morali che vanno a costituire giustizia, politica, verità e felicità. Questi sentimenti pongono in essere la necessità di “nuove regole” che non essendo possedute per natura devono necessariamente essere apprese. Non per natura ma per cultura, Etica, Giustizia e Verità si oppongono a tutte le ribelli pulsioni innate reprimendole e dando all’individuo un’idea di oppressione. Per la pancia esiste solo “mangiare, sesso e dané” e una istintiva avversione per la cultura che tende a controllarle e a reprimerle. 

In conclusione, senza educazione emergono tutte le istanze egoistiche individuali relegando l’individuo, che del sociale non ha coscienza, a esprimersi solo con la “pancia” (sesso, possesso, gelosia, orgoglio) e a rifiutare la cultura come un’inopportuna costrizione. Questo atteggiamento egocentrico nel bambino senza educazione diviene egoista e moralmente scorretto nell’adulto. L’insieme di atteggiamenti egoisti anche se tutti gli egoisti sono solidali perché tutti si riconoscono nella pancia, farà franare il formicaio. È la fine della solidarietà e l’inizio della decadenza.

In conclusione, senza educazione emergono tutte le istanze egoistiche individuali relegando l’individuo, che del sociale non ha coscienza, a esprimersi solo con la “pancia” (sesso, possesso, gelosia, orgoglio) e a rifiutare la cultura come un’inopportuna costrizione. Questo atteggiamento egocentrico nel bambino senza educazione diviene egoista e moralmente scorretto nell’adulto. L’insieme di atteggiamenti egoisti anche se tutti gli egoisti sono solidali perché tutti si riconoscono nella pancia farà franare il formicaio. È la fine della solidarietà e l’inizio della decadenza. Qui, c’è anche chi , come Matteo Renzi, pensa di recuperare i voti perduti rivolgendosi con format televisivi “culturali” in un’operazione di marketing, alla pancia.

Orbene, operazioni di propaganda e falsificazioni sono state perpetrate in ogni regime politico, in particolare le dittature, e all’uopo sono stati stilati “decaloghi” precisi e puntigliosi su come abbindolare il popolo. Esemplare è stato quello di Joseph Paul Goebbels, che merita di essere letto, ma di recente ce ne sono stati molti altri e di uno in particolare comparso in un post di FB voglio citare un punto:

(Omissis) 5. Rivolgersi al pubblico come ai bambini

“La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile”

L’autore del decalogo intravede nella “pubblicità” una volontà malevola nell’abbassare l’età del pubblico a cui si rivolge come si trattasse di un inganno. Non è cosi! Il pubblico ha veramente quell’età e la pubblicità funziona proprio e perché il pubblico ha quell’età. Il che ci insegna che l’unico, solo, insostituibile modo per non sottostare alla propaganda, a qualsiasi propaganda, e con ciò progredire in civiltà è elevare l’età mentale delle persone (la mentalità) affinché il cuore si rivolga alla testa e non alla pancia. 




Parlati dalla lingua

UnknownUnknown-1Il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia dichiara in conferenza stampa a Palazzo Marino, 22/03/2015 che: “Non sarò candidato sindaco nel 2016″ e subito dopo dichiara “sono coerente non c’entra la stanchezza (…) fin dalla campagna elettorale ho sempre detto che avrei fatto un solo mandato”. Ma allora perché alimentare per mesi un’attesa nei suoi sostenitori e avversari politici se la sua rinunzia ad un secondo mandato era stata predeterminata? Non solo, ma la predeterminazione della rinuncia al secondo mandato è così motivata “anche perché volevo che a Milano crescesse una classe dirigente di sinistra capace di governare la città”. Questa è un’altra sospensione di giudizio. In attesa di riconoscere nella nuova candidatura a Sindaco quale sarà il risultato di tanta formazione di una nuova classe dirigente di sinistra assistiamo già alla lotta tra Assessori per rivendicare l’eredità: se Piaspia è Achille, chi sarà Ulisse e chi Aiace Telamonio?

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi in una intervista al quotidiano La Repubblica del 22/03/2015 a proposito delle dimissioni del Ministro Lupi dichiara che : “ci si dimette per questioni politiche ed etiche non per gli avvisi di garanzia”. Dichiarazione davvero esemplare della sottocultura e amoralità dei politici italiani. La casistica così posta concepisce i tre enti, politica, etica e legalità,  distinti e separati tra loro, senza alcuna relazione al punto che il comportamento può essere adottato in funzione di uno di essi singolarmente a secondo della convenienza e dell’opportunità. Che poi uno dei poteri separati dello Stato, la Magistratura, sia appunto “separato” viene qui inteso come ininfluente nei confronti dell’agire della singola persona, sia essa intesa come persona fisica (l’individuo) che persona giuridica (il ruolo pubblico).

Mantenere una tale concezione tribale mostra però contraddizioni anche attraverso la lingua parlata, che non riesce più a camuffare la vera natura del ragionamento. Richiestogli una valutazione sul candidato del PD De Luca: “Lui ha fatto una scelta diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie”. Tralasciando di commentare l’uso arrogante della “volontà popolare”, la volontà di un popolo che per altro non si accorge di chi vota, è interessante notare come il nostro confuti con tanto candore la sua analisi su De Luca quando rispondendo in merito alla richiesta di archiviazione per le vicende giudiziarie che hanno riguardato suo padre Tiziano così dichiara: “…le persone meritano di essere giudicate in tribunale e non dall’opinione pubblica”.




La scienza fine di mondo

UnknownSi sa che il giornalismo crea notizie sensazionali per ottenere attenzione. La notizia cerca il successo di pubblico, non certo della critica, la sua verità è solo cronaca nera. Poi si aggiungono l’ignoranza sugli argomenti, l’assenza di verifiche delle fonti e le errate traduzioni linguistiche. È accaduto recentemente che due warning lanciati, a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, da numerosi scienziati operanti nelle due aree diella ricerca tecnologica tra le più più avanzate, l’intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica, sono stati diffusi come allarmi di prossime catastrofi del genere umano, la prima per opera delle macchine, la seconda per mutazioni genetiche indotte artificialmente:

– 400 autorevoli scienziati (tra cui Stephen Hawking) hanno firmato una lettera aperta:  Research Priorities for Robust and Beneficial Artificial Intelligence: an Open Letter  con la quale hanno lanciato un avvertimento sul rischio che “i nostri sitemi di intelligenza artificiale dovranno fare quello che noi vogliamo che facciano, non il contrario”;

– 16 biologi hanno pubblicato su Science Embryo engineering alarm ,  una moratoria internazionale sull’uso della nuova tecnica di manipolazione del genoma che se applicata all’uomo potrebbe cambiarne il DNA in modo tale da rendere ereditaria la manipolazione stessa (la stessa inventrice della tecnica è tra i firmatari).

Al di là del merito delle due singole argomentazioni, e del fascino esercitato dalle profezie apocalittiche, ciò che qui si vuole mettere in evidenza è il fatto che pur muovendo da diversi campi dello sviluppo tecnologico e della ricerca scientifica si arrivi ad una determinazione comune, come se vi fosse una sorta di finalità in virtù della quale l’evoluzione del pensiero porti ad una comune verità.

Il coincidere di questi due appelli sul rischio per l’umanità potrebbe essere allora considerato come una conferma della teoria psicologica della sincronicità  di Carl G. Jung, il quale sosteneva che la causalità è solo un principio, e la psicologia non può venir esaurita soltanto con metodi causali, perché lo spirito (la psiche) vive ugualmente di fini.  La stessa coincidenza può essere per altro considerata anche come una conferma del fenomeno scientificamente accertato della convergenza evolutiva, il fenomeno per cui specie diverse che vivono nello stesso tipo di ambiente, o in nicchie ecologiche simili, sulla spinta delle stesse pressioni ambientali, si evolvono sviluppando, per selezione naturale, determinate strutture o adattamenti che li portano ad assomigliarsi moltissimo.

Quanto al significato etico dei due appelli ricordiamo il Manifesto di Russell-Einstein del 1955 con il quale gli 11 scienziati firmatari lanciarono nel pieno della Guerra fredda, un appello per il disarmo nucleare che Joseph Rotblat, scienziato che abbandonò il progetto Manhattan e fu in seguito Nobel per la Pace nel 1995, presentò con la famosa frase: ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto.




Vinca il peggiore.

Guido Rossi sullo Stato etico: “Eppure i principi della morale, benché riguardino solo la sfera individuale, secondo l’insegnamento di Benedetto Croce sono ben superiori a quelli della politica, con la quale non possono essere confusi; né tantomeno possono essere accostati al diritto, il cui scopo non è la disciplina della morale alla quale, salvo ambigui richiami, rimane del tutto indifferente. Lo stesso Hegel, che pur aveva influenzato Croce, al contrario riteneva la politica superiore alla morale individuale, poiché lo Stato era da lui considerato l’unica realtà etica nella cui eticità si attuava la libertà del cittadino”.  Siamo alle solite.  Siamo al “pensiero” che si richiama a citazioni e avvenimenti storici per spiegare autorevolmente questioni meritevoli di ben diversa analisi.

“Stato etico” è il nome assunto e dato ai passati regimi nati nell’ideologia totalitaria, prendendo spunto da Hobbes e Hegel come degenerazione del loro pensiero, nome ormai aborrito e in uso per indicare malefatte di poteri dittatoriali.  Il nome evoca nei risultati sofferenza, sterminio, morte e distruzione; l’olocausto avvenuto come conseguenza di un concetto, di un’ideologia, di un pensiero ora identificato i un nome ”lo Stato etico”. Il pathos si lega al termine e come al solito e come sempre insieme all’acqua sporca si butta via anche il bambino. Risultato è il pensiero debole: uno stato non deve essere etico. Il vizio supremo è la superficialità.

Ci mancherebbe altro che uno stato non debba essere etico, che uno stato non debba seguire alcuna morale!  Ciò è talmente evidente (ma non per tutti e non per i più) che rimane ovvio che per “Stato etico” si debba intendere un concetto ben differente da uno stato morale, essendo la morale quel bambino gettato via con l’acqua sporca.

Eppure un pensiero debole e malavitoso per 17 anni ha bandito ogni etica dal quotidiano separando nettamente il privato dal pubblico, la condotta morale del cittadino dai doveri del cittadino verso lo Stato.  A seguito di intendimenti poveri e striscianti della morale, da sempre condannata come “moralismo” (un nemico che la morale ha in odio come Dio il Diavolo) il berlusconismo ha trascinato il bambino nel fango.

Per un timore passato di  accostare “Stato” a “etica” nessuno all’opposizione ha levato la testa per difendere la morale, per proclamare che la morale è questione dello Stato, che uno Stato ha il dovere e l’obbligo di essere morale e di interessarsi di morale. Anche di quella privata. In che modo e in che limiti è altra, diversa, diversissima e fondamentale questione.

Che relazione c’è tra lo “Stato etico” così come anticamente inteso e uno “Stato morale” così come dovrebbe essere inteso?  Ovviamente nessuna.  Ma è bastato un nome per confondere gli intendimenti di tutti.  Non solo alla gente del popolo, ma anche a insigni avvocati e studiosi e politici che non sanno o non osano andare e di fatto non vanno oltre al nome. Grazie al passato Stato e morale non devono più essere accostati, un insegnamento assurto a un assurdo tabù.

Con “Stato etico” si è sempre inteso il dovere da parte dello stato di imporre individualmente la morale, di intervenire sulla morale privata dei singoli i cittadini, nella convinzione che il singolo debba sacrificare la propria morale per la superiore autorità dello Stato in cui si identifica superandolo lo spirito di tutti.

E poiché la morale imposta è stata in passato quella delle dittature (nazismo, fascismo, comunismo) si è deciso di demonizzare senz’altro lo “Stato etico” generalizzando: “Nessuna morale può essere imposta dallo Stato agli individui, la morale è e deve restare (secondo un concetto crociano) un fatto privato, un valore individuale”. Questo grande pensiero è ormai nella testa di tutti. La morale di fatto viene identificata con fini ideologici chiamati ad hoc fini morali. Una totale confusione di mezzi e fini, di educazione e di ideologia.

Premesso che la morale non può essere imposta, penso che non costituisca delitto educare, educare civilmente secondo una morale riconoscibile in linea di principio da tutti nei mezzi e non nei fini. Questo non può avvenire senza il riconoscimento dell’assoluto in morale. Affermando l’assoluto della verità morale noi affermiamo di contro a ogni relativismo la verità dell’Assoluto. Ovvero ritengo che uno Stato non solo possa, ma abbia il dovere di essere etico e di educare i propri cittadini. Ritengo che la cultura abbia il compito di portare a maturazione lo spirito dei cittadini al fine di un innalzamento generale della civiltà di un popolo ai fini di una migliore convivenza. Educare i cittadini secondo un senso morale assoluto e condiviso dovrebbe essere il primo dovere di ogni governo ben al di sopra di ogni intendimento economico.

Educare non significa ovviamente indottrinare, ovvero convertire la popolazione a una qualsivoglia ideologia o dottrina. L’Assoluto in morale si pone nell’idealità dei mezzi. Lontano dall’intervenire ideologicamente nella sfera privata, lo Stato deve tuttavia in ogni caso procurare ai cittadini ogni possibile mezzo per la maturazione spirituale. Educazione ovviamente che non si limiti al sapere erudito, ma che implica l’emancipazione dello spirito.

Alla fine tutto è molto banale e ovvio. Non deve essere proibito insegnare valori morali quali onestà, integrità, sincerità, amicizia, lealtà, correttezza, rettitudine, serietà, solidarietà, partecipazione, fratellanza, tolleranza, comprensione, disponibilità, generosità, liberalità, disinteresse, imparzialità, equità, giustizia, rispetto, considerazione, devozione, compassione … su tali valori mi aspetto siano scritti, diffusi libri, libri di testo per le scuole.

Sapere quanto siamo lontani da questo mi dice quanto siamo lontani dalla civiltà. Attualmente tali valori non solo non vengono insegnati, ma neppure discussi in alcun modo in alcun luogo. Ognuno dell’amicizia ha una privata mentalità e su che cosa debba intendersi non ci sono né riferimenti né discussioni.

Eppure sono tutti valori assoluti e universali, di massima importanza per il sociale, indipendenti da qualsiasi intendimento politico e religioso, valori ai quali nessuno è educato e a cui nessuno Stato non si sogna né si preoccupa di educare, neppure attraverso istituzioni scolastiche. L’educazione spirituale è sconosciuta. Sono, dicono, valori sottointesi in vero sono valori “sotto intesi” o non intesi per intero dalla stragrande maggioranza della popolazione.

Di conseguenza nella così detta “libertà di pensiero” l’educazione di fatto la fanno i mass media, sono i mass media a suggerire modelli di riferimento e la così detta libertà di pensiero riguarda da ultimo la ricerca esasperata dell’ultimo smartphone e del profitto procurato dai furbi a danno degli altri, la credenza in valori che tristemente nuocciono al prossimo per una immoralità condivisa diffusa e disseminata per 17 anni nel silenzio dell’opposizione per totale ignoranza del problema educativo lasciato interamente nelle mani delle parrocchie.

In 17 anni sono stai insegnati ricchezza, agiatezza, benessere, popolarità, fama, affermazione, lussuria, lascivia, prostituzione, competizione, agonismo, concorrenza, meritocrazia, nepotismo, favoreggiamento, clientelismo, concussione, corruzione, falso, ipocrisia, interesse, furbizia, disonestà …, tutti ingredienti utili per avere realisticamente successo nella vita.  Vinca il peggiore.




Un Augurio per l’Italia: Viva la IIIª Repubblica !

Nel primo trimestre del Nuovo Anno si potrà valutare la “fase 2” della manovra economica di risanamento della nostra economia e quindi la stabilità stessa del Governo Monti.  Intanto qui rivolgiamo al Paese gli auguri per un ingresso nella IIIª Repubblica, ricordando il discorso del 4 marzo 1933  di Franklin Delano Roosevelt, pronunciato per l’insediamento alla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America (poco prima, il 30 gennaio 1933, Hitler divenne Cancelliere del Reich).

Il discorso è una prova di come la politica e l’economia possono diventare strumenti efficaci per le grandi trasformazioni dei popoli solo quando si poggiano sulla cultura.

Prima di lui Herbert Clark Hoover, Presidente  degli Stati Uniti d’America  dal 1929 al 1933, affrontò la grande depressione proponendo l’austerità, ma fallì miseramente.  F.D.Roosevelt, Presidente dal 1933 fino al 1945, invece risolverà la crisi  redistribuendo il reddito e aumentando i salari.

f-d-roosevelt

Presidente Hoover, signor Giudice Supremo, amici.


Questo è un giorno di solennità nazionale, e sono certo che in questo giorno i miei connazionali si aspettano che, nell’assumere la presidenza, mi rivolga a loro con la franchezza e la fermezza che l’attuale situazione del nostro popolo esige. 

Questo è decisamente il tempo di dire la verità, tutta la verità con franchezza e coraggio.
 Né abbiamo bisogno di evitare di affrontare onestamente le condizioni del nostro paese, oggi. 

Questa grande nazione resisterà come ha resistito, risorgerà e prospererà.  Quindi, innanzitutto, desidero affermare la mia sicura convinzione che non abbiamo niente di cui aver paura, salvo la paura stessa, la paura anonima, irrazionale, ingiustificata che paralizza gli sforzi necessari per trasformare il regresso in progresso.


In ogni ora oscura della nostra vita nazionale, una leadership franca e vigorosa si è incontrata con la comprensione e il supporto del popolo stesso, che è essenziale per la vittoria.  Sono convinto che darete ancora quel supporto alla leadership, in questi giorni critici.
 Con questo spirito, per quanto è nella mia e nella vostra parte, affrontiamo le nostre difficoltà comuni. Queste riguardano, grazie a Dio, soltanto aspetti materiali.

I titoli sono precipitati a livelli irrisori; si è verificato un incremento delle tasse; il nostro potere d’acquisto è caduto; ogni ramo dell’amministrazione è minacciato da una seria riduzione delle entrate; le foglie secche delle imprese industriali si accumulano ovunque attorno a noi; i contadini non trovano mercato per ciò che producono; i risparmi di molti anni in molte migliaia di famiglie sono scomparsi.
Inoltre, ed è ancora più importante, molti cittadini disoccupati affrontano il severo problema dell’esistenza, e un numero ugualmente elevato si affatica al lavoro con scarsissimo profitto. Solo un pazzo ottimista può negare le lugubri realtà di questo momento.

Tuttavia i nostri problemi non provengono da alcun fallimento sostanziale. Non siamo perseguitati dalla piaga delle cavallette. In confronto ai pericoli che i nostri progenitori superarono perché avevano fede e non avevano paura, abbiamo ancora molto da essere grati. 
La natura continua a offrirci i suoi doni, e gli sforzi dell’uomo li hanno moltiplicati.

L’abbondanza è dietro la porta, ma languiamo nel bisogno. Questo accade, in primo luogo, perché chi regola lo scambio dei beni ha fallito per la sua testardaggine e incompetenza, ha ammesso il fallimento, e ha abdicato.


Le pratiche degli operatori economici senza scrupoli sostengono ora l’accusa dell’opinione pubblica, e sono respinte dal cuore e dalla mente degli uomini.
 In verità, hanno provato, ma i loro sforzi sono caduti nel modello di una tradizione già superata.

Davanti alla crisi del credito, hanno proposto solo il prestito di più denaro. Mancando l’esca dei profitti con i quali indurre la gente a seguire la loro falsa leadership, hanno fatto ricorso alle implorazioni, supplicando lacrimosamente di ridar loro fiducia. Conoscono solo le regole di una generazione di egoisti. Non hanno una visione, un progetto per il futuro, e quando non ci sono progetti, il paese perisce.


I cambiavalute sono fuggiti, hanno abbandonato i loro seggi eretti nel tempio della nostra civiltà. Noi possiamo ora restituire questo tempio al culto delle antiche verità. La misura di questa restituzione sarà lo sforzo di considerare i valori sociali più nobili dei profitti monetari.


La felicità non consiste nel semplice possesso di denaro: consiste nella gioia della ricerca, nel brivido dello sforzo creativo. La gioia e lo stimolo morale del lavoro non devono essere ancora dimenticati nella folle caccia a profitti illusori.

Questi giorni oscuri ci costano molto, ma avranno molto valore se ci insegneranno che il nostro destino non è di essere serviti, ma di servire noi stessi e i nostri concittadini.


Il riconoscimento della falsità della ricchezza materiale come standard di successo va di pari passo con l’abbandono della falsa credenza che gli uffici pubblici e le alte posizioni politiche debbano essere valutate solo con l’orgoglio delle cariche o con il profitto personale; e deve finire la condotta nell’attività bancaria e negli affari che troppo spesso ha dato a un’attività importantissima l’aspetto di un comportamento negativo, insensibile ed egoista. 


C’é poco da meravigliarsi che la fiducia manchi, perché si basa solo sull’onestà, sull’onore, sulla giustizia dei contratti, sulla leale protezione, sul comportamento non egoista; senza queste basi, non sopravvive.


La ricostruzione richiede, comunque, non solo un cambiamento etico.  Questa nazione chiede fatti, e fatti immediati.
 Il nostro più importante compito è di rimettere la gente al lavoro.  Non è un problema irrisolvibile, se lo affrontiamo con saggezza e coraggio.

Potrà essere risolto da un lato tramite un reclutamento diretto da parte del governo stesso, trattando la questione come tratteremmo l’emergenza di una guerra, ma nello stesso tempo, attraverso questo impiego, portando a termine progetti estremamente necessari per stimolare e riorganizzare l’uso delle risorse naturali. 


Ci sono molti modi in cui il compito può essere agevolato, ma la soluzione non sarà mai resa più agevole semplicemente parlandone.  Dobbiamo agire, e subito.


Infine, nel nostro procedere verso la ripresa del lavoro, abbiamo bisogno di due salvaguardie contro il ritorno dei mali del vecchio ordinamento: ci deve essere una stretta supervisione sull’attività bancaria, il credito e gli investimenti, così che verrà posta fine alla speculazione con il denaro altrui; e deve essere prevista un’adeguata e sana circolazione monetaria.


Ricambierò la fiducia in me riposta con il coraggio e la dedizione che si addicono a questo momento.  E’ il meno che possa fare.  Chiediamo umilmente la benedizione di Dio.  Possa proteggere ciascuno di noi, possa guidarmi nei giorni che verranno.