La Grexit sulle scale di Escher

imagesOggi ci si arrovella sul destino della Grecia, rea di aver vissuto, dopo la fine della dittatura dei colonnelli nel 1974 e l’entrata nell’UE nel 1981, al di sopra delle proprie reali disponibilità finanziarie ed economiche con il distratto beneplacito dei paesi europei: dentro o fuori dall’euro? dentro o fuori dall’Europa? Gli economisti si interrogano su cosa significhi uscire dalla moneta unica europea, calcolandone costi e benefici, mentre i politici riscoprono la sovranità nazionale, alcuni con l’afflato democratico per la sovranità popolare. Ma se l’uscita dall’euro è controversa, l’uscita dall’Europa cosa significa?

Il fatto è che tutte le espressioni usate aventi la UE come soggetto sono petizioni di principio in quanto presuppongono l’esistenza di un’istituzione la cui esistenza dovrebbe invece essere dimostrata. A questa infondatezza logica si aggiunge quindi il paradosso dell’euro, presentato a partire dalla sua costituzione nel 1999 con entusiasmo quale fondamento dell’Europa e che con la crisi economica del 2008 ha mostrato al mondo la sua vulnerabilità : una moneta unica con una banca centrale, ma senza una tesoreria comune. Per tutti quegli anni i ministri delle finanze di turno negli Stati europei, in particolare dopo il fallimento della Lehman Brothers nel 2008, avevano dichiarato che non sarebbe stato permesso a nessuna istituzione finanziaria europea di fallire. Questa convinzione  ha permesso alla Cancelliera Angela Merkel, sensibile all’indisponibilità dei tedeschi dopo la loro costosa riunificazione promossa da Helmut Kohl, di insistere sul fatto che la responsabilità di un eventuale fallimento sarebbe ricaduta sul singolo paese, separatamente dagli altri in ossequio al mercatismo, e non sulla collettività della UE.

A partire dal 2008 scese la notte sull’Europa e l’incalzare della crisi economica, cui seguì inesorabilmente quella politica, oscurò il fallimento del tentativo di redigere cinque anni prima una Costituzione europea, sicché la UE si trovò ad affrontare ben cinque situazioni  critiche: la Russia, l’Ucraina, la Grecia, l’immigrazione e, ultimo ma non meno importante, l’incombente referendum britannico sulla permanenza in Europa. Se consideriamo la  politica estera europea, se ne ammettiamo l’esistenza, i fatti sono ancora più surreali: una UE che, dopo la caduta del muro di Berlino, non cerca di portare nella propria unione la Russia, che è di cultura europea, che però accetta e sostiene la candidatura della Turchia, che non è di cultura europea, e che dopo aver abbandonato definitivamente nel 2009 il progetto velleitario di una Costituzione per l’Europa ora spinge la Grecia, che è la culla della cultura europea, fuori dall’euro con il rischio di consegnarla nelle mani della Russia. Tutto questo mentre USA e Cina si fronteggiano, anche militarmente, nel centro Africa, nei mari orientali del continente asiatico e mentre la Nato dispiega ingenti forze militari nelle più grandi manovre finora eseguite ai  confini con la Russia.

Nello scenario internazionale così tratteggiato la domanda che ci poniamo, fatti i debiti mutamenti, è quella di un secolo fa: il Partenone brucia?  In questi giorni che precedono il referendum voluto da Tzipras appare evidente la volontà da parte della Troika, in particolare la Germania, di voler trattare con un diverso governo greco guidato da un leader più affidabile e pare quasi che la Cancelliera Merkel abbia assunto il ruolo che fu di Catone il censore: Atene delenda est.

Ma l’entrata in scena di Barak Obama coi suoi diretti rapporti con la Germania della Merkel, economicamente forse troppo legata alla Cina e alla Russia, dovrebbe avvertirci che sono in gioco ben altri destini che quello del popolo greco. Una possibile alleanza, sebbene di convenienza, della Grecia con la Russia, una volta che la Grecia uscisse dall’Euro, risulterebbe nello scacchiere europeo già compromesso dalla crisi in Ucraina e dalle mire espansionistiche di Putin strategicamente nefasta per la una nuova “Yalta” (incontri tra Obama e Xi Jinping previsti a settembre) che USA e Cina con le pretese della Russia intendono perseguire sul piano economico, finanziario e militare su scala planetaria.

Cosa rimane di quel “pensare globalmente e agire localmente” che non molti anni fa voleva ispirare le visioni politiche, intese come visioni dell’interesse lontano? Sempre più frequentemente analisti e consulenti di fondazioni di alto rango mondiale parlano apertamente di un reale rischio di una Terza Guerra Mondiale, rischio ancora sotto controllo, come le demolizioni controllate degli edifici, tramite l’innesco e il controllo di conflitti locali su scala globale, mentre la rimozione della realtà domina l’informazione massmediatica, disorientata ed impaurita, impegnata ad inseguire le singole e locali manifestazioni di una crisi internazionale.

Tutto questo richiama quell’allegoria dell’omino chinato in mezzo ad una strada a raccogliere una moneta da 5 cent, senza accorgersi che un Tir lo sta travolgendo. Tutto questo, se non viene al più presto considerato e trattato pubblicamente dalla politica di tutti i Paesi europei,  ci sta drammaticamente portando alla condizione in cui si imporrà la necessità di difendere la democrazia, piuttosto che praticarla.

 




L’€uropa che non c’è

imagesUna massaia, brava donna, mi ha detto“Quando c’era la lira un chilo di fagiolini costava 1500 lire ora ne costa 2700, usciamo dall’euro”. Sic! Chiaramente 2700 lire sono intese 2,7 euro. Che rispondere? Davanti all’ignoranza solo il silenzio. Eppure la buona massaia rientra nella categoria di coloro che provano a ragionare, per gli altri schierarsi senza pensare, la maggioranza, rimane l’attività principale. Un’Europa, che per inciso non esiste, viene sbandierata come l’amico o il possibile nemico, e raccoglie assensi o dissensi sulla base di sì solidi simili ragionamenti. Su solidi fantasmi creati dai media e dagli schieramenti politici, ci si orienta per avere un’opinione. Il percepito prevale sul reale. La disinformazione domina l’essente. Né chi è più informato dimostra per questo di saper ragionare. Dice un amico “quando ragionano è peggio”. Non v’è dubbio. E non solo tra il popolo. Consultare il popolo per una decisione che condiziona il futuro di una nazione senza averlo a fondo informato e solo dopo essere sicuri di essere stati ascoltati e compresi, può essere uno scaricabarile strumentalizzante e persino criminale.

Il referendum greco rischia di veder votare “” solo grazie alla paura e non certo per adesione ad un pacchetto di cui non sanno nulla e che comprano a scatola chiusa da austeri usurai. Chi voterà “oxi” voterà no per dignità, ma soggetto alla stessa paura.
In un caso o nell’altro il popolo è spacciato. Spremeranno altro sangue a una rapa ormai esangue o l’avventura. In un caso o nell’altro il futuro della Grecia in termini di sofferenza popolare sembra segnato.

Egoisticamente le nazioni europee sperano nella vittoria del “sì”che ridarebbe fiducia ai Mercati, mette tutti al riparo dal vedersi negare il prestito e dal dovere essere il prossimo ad affrontare in prima persona la china. Abbandonando il popolo Greco al suo destino tutte le nazioni si sentirebbero per ora al riparo. Un’Europa politica con un’unica moneta, un’unica fiscalità, un unico contratto di lavoro, un unico welfare etc … è impensabile. L’Europa politicamente non esiste e non esistono più neppure le sovranità nazionali, l’unico dominio è il turbo capitalismo, la congiura di Nessuno, il Mercato. L’Usura.

La Grecia dei 350 miliardi avuti in prestito ha dovuto restituirne 320 in interessi saliti al 18%, in cinque anni. Chiaramente il cittadino che si trova in difficoltà economica quando le banche si rifiutano di dare credito si vede costretto a rivolgersi agli usurai con il ben noto meccanismo che porta a chiedere altri prestiti e ad aumentare l’usura a cascata. Anche gli stati sono soggetti ad usura. L’offerta di maggiori interessi da parte di uno stato è il solo modo per ottenere prestiti e favorisce di conseguenza la speculazione che lo dissangua. Questo meccanismo detto di “libero mercato” soffoca e uccide le economie più deboli che come sotto gli occhi di tutti malgrado le cosidette riforme strutturali continuano ad arrancare e aumentare il debito. Detto in parole povere il nemico non è la Germania o l’inesistente Europa, il nemico è il turbo capitalismo, il capitalismo d’usura, la Finanza che impoverisce l’economia e toglie sovranità agli Stati.

Alla fonte di tutto questo ci sta una questione semplicissima: ha il potere chi controlla il denaro e i suoi flussi. Lasciare il controllo al “libero mercato”, alla congiura di Nessuno, significa rendere schiavi i popoli e continuare ad accrescere le disuguaglianze. Una guerra è ben possibile. Ma non solo al potere sono attribuibili tutte le colpe. Complice del potere sono la paura e l’ignoranza. Paura e ignoranza sono il terreno fertile per i Mercati. Forse abbiamo un problema culturale.

Lunga promessa con l’attender corto / ti farà trïunfar ne l’alto seggio, così Guido da Montefeltro, XXVII Inferno, Dante. Correva l’anno 1300, sette secoli fa. Questa banalità, la lunga promessa che affida il potere a illusionisti, capipopolo, imbonitori, economisti etc … dovrebbe essere accolta dal popolo con un “Buuh, buffone, chi vuoi prendere in giro”. Eppure buffoni con promesse di un milione posti di lavoro, ciarlatani di ogni genere e fazione con il loro “abbassiamo le tasse”, tecnici inamidati del pensiero unico fedeli all’ideologia di Mercato, volpacchiotti in erba con promesse di cambiamento, di riforme, di futuro, hanno fatto e fanno tuttora storia nel nostro paese. Grazie a che? Grazie al pensiero debole e a un basso sentire. Ministri che pensano alla Divina Commedia come ad un improbabile panino hanno dominato per un ventennio la politica e anche la cultura, il che significa che la cultura in seno al popolo, e non solo, di questo paese è arretrata di 700 anni rispetto alla cultura di un uomo vissuto settecento anni fa.

Di contro l’undicesimo comandamento “fatti i fatti tuoi” rimane il più seguito dai tempi di Wilma e la clava. La furbizia vecchia di millenni domina ancora sull’intelligenza nuova venuta, soprattutto in seno al popolo e ancora non si comprende il suo diretto legame con la corruzione. Chi è furbo è ladro. Abbiamo un problema culturale?

Lunga promessa con l’attender corto … assolver non si può chi non si pente… sono cose da insegnare a partire dalle elementari e ripetere nei successivi studi finché ciò che deve essere sia: è il compito principe di una società che si vuole civile di contro a ogni populismo.  Avere ragione non significa in nulla ragionare, chi ha ragione, chi è dalla parte della ragione, non è detto che ragioni. L’oppresso può a buon vedere essere peggiore dell’oppressore e se interroghiamo il popolo per trovare nel popolo ragione troveremo solo miseria. Prima della ragione ci deve essere coscienza e autocoscienza. Diversamente quello che troveremo è la verità della miseria. Miseria economica quanto culturale. Temo la regressione più di quanto tema la recessione. La barbarie non viene dalla recessione economica, ma dalla perdita dei valori morali. Il declino può ben cominciare con una crisi, ma il suo senso più profondo è la paura e l’ignoranza che immeschiniscono gli animi.
L’arretratezza culturale di un popolo è indice diretto della democrazia. La cultura di un popolo è la sua democrazia.

Tutti leggono la storia solo da un lato, solo dal lato del potere ritenendo che solo chi è al potere faccia la storia. Questa becera convinzione trascura totalmente l’altro lato, l’antitesi storica che poggia sulla cultura, sulla cultura del popolo. Sono possibili sul lato del potere solo quei regimi che la cultura del popolo permette. Il potere in mano al popolo è la Cultura. Dittature nelle culture tribali e democrazie solo in virtù della cultura popolare. Tirannie, dittature, oligarchie, monarchie, monarchie assolute, monarchie costituzionali, democrazie segnano per livelli differenti il cammino dell’umanità sempre in dipendenza della cultura del popolo. I cambiamenti avvengono solo quando il popolo è pronto e solo la cultrura del popolo segna la civiltà. Le rivoluzioni falliscono e sono inevitabilmente destinate a fallire in diretta dipendenza della cultura del popolo. Un popolo di bestie pretende una dittatura.

Dunque la variabile indipendente non è il potere, ma il popolo e solo il popolo nel grado di cultura raggiunto. E su questa in democrazia si deve agire. Infatti “democrazia” non significa in nulla fare la volontà del popolo, ma fare ciò che è meglio per il popolo e il meglio per il popolo è accrescere la sua cultura perché solo la cultura permette la convivenza tra persone civili. Gli uomini non sono uguali, i popoli non sono uguali. Compete a ciascuno un diverso grado di maturazione nella misura e nel modo. Questa inoppugnabile verità pesi sulla coscienza di ciascuno come un mirabile pregiudizio, pregiudizio cui tutti siamo tenuti e di cui dobbiamo avere coscienza prima che ci colpisca alle spalle. Esistono popoli più civili e popoli più arretrati, non possiamo nascondercelo. Che i popoli più civili sfruttino i popoli più arretrati è un’infamia. La civiltà infatti aborre lo sfruttamento. Questo fa parte delle antinomie in seno al primo mondo. Fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te rimane un precetto morale imprescindibile per il progresso e la civiltà. Ma se l’uguaglianza è l’utopia verso cui mirare è necessario per ora fotografare l’essente per come l’essente si presenta senza alcuna propensione ideologica: l’ignoranza in seno al popolo è il nemico. L’ignoranza va combattuta ovunque in ogni individuo e in ogni popolo. Nego il rispetto di tradizioni che non rispettano l’uomo. Le cerimonie sono fatte per gli uomini e non gli uomini per le cerimonie.

Quando il “noto” nell’individuo e la “tradizione” nel popolo sono di impedimento alla convivenza civile, vanno combattuti, civilmente combattuti con l’educazione.
Ditemi or per voi se avete fior d’ingegno quanto sia mai stato fatto da parte di chicchessia, governo o opposizioni per agire sulla mentalità del popolo, sulla Cultura. La Cultura non è in nessun programma di nessun partito. Oscenamente di contro si sfrutta l’ignoranza in seno al popolo facendo leva sui suoi sentimenti più bassi per trovare consenso e ottenere il potere. Guerra fra poveri? Ben venga! Divide et impera. Troviamo un capro espiatorio e tutti uniti nella palude stigia. Ciascuno sia lasciato solo. Il pensiero è solo economico, ma solo la cultura ci salverà.




La Cina è sempre più vicina

UnknownSe in Italia qualcuno pensa di stimolare l’offerta di lavoro con il Job Act, in Cina dove al contrario ci sono posti di lavoro ma mancano i lavoratori si programma di sostituirli con i robotL’esaurimento  dell’immigrazione interna dalla campagna alla città combinato all’invecchiamento della forza lavoro, più istruita e costosa degli anni precedenti, hanno indotto il governo a investire 135,5 miliardi di euro perché entro il 2020 l’80% della manodopera nella provincia di Guanzhou, facente parte della regione manifatturiera più sviluppata, venga sostituita dalle macchine. Questo “grande balzo in avanti” rende ridicolo il  “piano di elettrificazione ” di Lenin e fa rimpiangere la “rivoluzione culturale” di Mao Zedong

La “economia di mercato socialista” che ha già portato il PIL della Cina a crescere negli ultimi 30 anni al ritmo medio del 10%  e che si appresta a superare quello degli USA nel prossimo decennio, che acquista industrie e debiti occidentali, che colonizza  il continente Africano si sta in questi ultimi anni riarmando con incrementi del budget militare senza precedenti, superiori ad ogni altra super-potenza (la Cina è oggi la prima importatrice mondiale di armi e la terza nell’esportazione). Consolidata l’espansione economica, questa crescente forza militare consente alla Cina di assumere un ruolo politico mondiale che trova nelle sue ultime manifestazioni la conferma di una volontà “imperialista”: la Cina ha sfilato con la sua armata popolare a Mosca nella piazza Rossa per il 70° dalla fine della II Guerra Mondiale e ha programmato per il 3 settembre una parata militare con le più moderne armi a Pechino in piazza Tiananmen per commemorare la vittoria sul Giappone. Nel frattempo, la prossima settimana, Cina e Russia svolgeranno le loro prime esercitazioni navali congiunte nel Mediterraneo, mare sempre meno nostrum.

L’assenza dei leader europei alla parata di Mosca commemorativa del 70° anniversario della fine della II Guerra Mondiale, al di là della gaffe storica e diplomatica del mancato riconoscimento del sacrificio russo per sconfiggere il nazismo, è un ulteriore sintomo dell’ incapacità di una visione politica che non vede l’interesse lontano. Arroccata nella difesa illusoria  dei propri interessi economici, compressa com’è tra il confronto strategico Cina-USA e quello USA-Russia, mentre singoli membri come la Germania e la Francia cercano confronti bilaterali con la Russia, la UE mantiene il perseguimento dell’errata scelta politico strategica, dopo il crollo del muro di Berlino, dell’esclusione della Russia, soprattutto dopo aver accettato la prospettiva di inglobare la Turchia.

E l’Italia? Paese diviso all’interno di una Europa divisa si ritrova essere “quel vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro“.

 




Tramonto dell’occidente o suo sorpasso ?

Il sorpasso_Dino_Risi

Quel fenomeno chiamato globalizzazione,  definito come crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale nei diversi ambiti economici e culturali tra i popoli e i luoghi del mondo, dopo l’accellerazione impressale dalla fine della ‘guerra fredda’ ci indica oggi la prospettiva di nuovi equilibri mondiali fondati su più baricentri, quasi coincidenti con i vecchi continenti. Mentre da noi, per esorcizzare la paura del declino, ci si arrovella sui rapporti dell’Italia con l’Euro e il federalismo fiscale, nel mondo si analizzano e discutono le tendenze verso i nuovi “vertiginosi” ordini mondiali.

Il National intelligence Council nel suo ultimo rapporto quinquennale dal titolo “Global trends 2030: alternative worlds” ha perfezionato i risultati della precedente edizione del 2008 confermando il sorpasso cinese degli Stati Uniti in termini di PIL entro il 2030 (si vedano i due articoli Il sorpasso cinese/1 e Il sorpasso cinese/2.).

Una novità dell’aggiornamento consiste nel fatto che il sorpasso avverrà nell’ambito di quello che viene descritto come il “secolo asiatico” (India, Corea, Vietnam, Filippine e Cina).  Lo scenario elaborato dal National Intelligence Council convalida la visione geostrategica di Obama, indicato come “il primo presidente del Pacifico” per vissuto personale e ” soprattutto per la sua lucida visione di un baricentro della storia destinato a spostarsi in quell’area del mondo. Alla quale il presidente ha dedicato i suoi viaggi più importanti: non solo in Cina ma in India, Indonesia, Corea, Giappone, Birmania”.

L’autosufficienza energetica, l’evoluzione tecnologica, la riqualificazione della scuola pubblica e della formazione e la re-industrializzazione sul territorio americano  sono così divenute le principali direttrici di sviluppo della nuova politica degli Stati Uniti, politica detta del soft power, che non rinuncia alla leadership mondiale , questa volta però fondata non più sulla potenza economica e militare, ma sulla capacità di “formare coalizioni basate su interessi comuni”.

E non bastano  le “tigri asiatiche” (volendo considerare il Giappone per la sua storia dalla fine della II Guerra Mondiale come un paese economicamente occidentalizzato) e il soft power americano a spostare gli equilibri nel nuovo ordine mondiale perchè da almeno un decennio concorrono  anche i  “7 leoni dell’Africa” e  gli Stati  dell’America latina  con i loro accellerati sviluppi economici e sociali.

Cosa ne è stato del  motto  di René Dubos “pensa globalmente, agisci localmente” che tanto aveva ispirato progressisti e ambientalisti ?  Di fronte a simili scenari quale senso possono avere le lagnanze di coloro che da oltre un anno gridano indignati contro l’ingerenza dei paesi stranieri (sic!) nella politica nazionale rivendicando il recupero di una sovranità perduta?  Eppure il vero obiettivo dovrebbe apparire loro chiaro, pena la definitiva subalternità dell’Italia ai Paesi europei ed extraeuropei più forti economicamente.  Allo stato attuale della globalizzazione si tratta di concepire per l’Italia all’interno  della Comunità Europea, un ruolo di leadership che sia conforme alla sua posizione geografica nel Mediterraneo (si ascolti Benito Li Vigni, collaboratore di Enrico Mattei) attivare una politica internazionale di alto profilo che la emancipi dalla  sindrome di Crimea.  La rinascita del nostro paese  dipenderà dalla  politica estera che adotterà.

Posta originariamente da Cavour ai Grandi di Europa nel 1856,  la questione italiana ha assunto oggi, con la crisi economica e finanziaria, l’ingerenza Europea nella politica italiana (per altro richiesta dal management politico domestico), la crisi della politica-antipolitica e dei partiti,  i connotati  di un problema non  soltanto di crescita  quanto di consolidamento.  Non si tratta più come all’epoca di Cavour di farsi  riconoscere come un paese unito ed indipendente, ma di  farsi riconoscere come un paese politicamente affidabile ed economicamente sicuro.

E’ nella storia della nostra penisola sebbene territorio per 15 secoli di invasioni, insediamenti e poteri stranieri (altro che l’odierna ingerenza europea) che possiamo tuttavia ritrovare  la principale tra le nostre commodities su cui rifondare un nostro nuovo rinascimento: la cultura.  Oltre a Cavour e l’unità del paese,  oltre all’età delle Signorie e dei Comuni vi fu il Regno di Sicilia che per un secolo e mezzo fu lo Stato più progredito d’Europa accanto al regno inglese.   Federico II, lo  stupor mundi che anticipò il rinascimento italiano di circa due secoli, con il suo regno caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale volte ad unificare le terre e i popoli,  con l’esempio della sua corte luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica, ci suggerisce oggi un modello di strategia da adottare nel quadro politico economico in evoluzione nel mondo.

Si sostiene che per attrarre  investimenti stranieri (non la vendita di aziende e marchi nazionali) bisogna rendersi prima attraenti economicamente assicurando efficienza e legalità su tutto il territorio. E’ vero, c’è dunque un gran lavoro di ristrutturazione domestica da compiere (le cosiddette riforme), ma  la capacità di produrre risultati da tali riforme dipenderà proprio dalla relazione che il paese saprà sviluppare con il resto del mondo. E per  fare ciò occorre una leadership all’altezza della situazione.  La migliore eredità, forse l’unica, che il Governo Monti ha potuto lasciare proprio in quanto composto da tecnici è stata l’indicazione metodologica  per la formazione di un governo politico che avesse come unici criteri di selezione il merito e la competenza.  Poichè il prossimo governo sarà costituito per la terza volta in costanza di una legge elettorale aberrante , la  selezione dei politici sarà responsabilità esclusiva dei partiti e costituirà il banco di prova per verificare la reale possibilità di un avvio del rinnovamento italiano.

Ancora può aiutarci René Dubos con la  seguente riflessione: “Fin dalla preistoria, la terra non è mai stata un Giardino dell’Eden, bensì una Valle delle Decisioni in cui l’adattabilità è cruciale per la sopravvivenza. La terra non è un luogo di riposo. L’uomo è stato creato per combattere, non necessariamente per sé stesso, ma per un continuo processo di crescita emozionale, intellettuale ed etica. Crescere in mezzo ai pericoli è il destino della razza umana, perché questa è la legge dello spirito”. (René Dubos – Mirage of Health, New York, 1959)




Come le foglie al vento.

Ho  seguito lunedì 14/11 la risposta delle Borse alla nomina di Monti: all’apertura un rialzo che è arrivato a toccare il 2%, poi la probabile notizia di un emerito esponete europeo che afferma che non è il cambiamento di un governo che potrà rimediare alla crisi e il mercato chiude a meno 2.

Dice Feltri “La borsa è nevrile (eccitabile) come un cavallo, basta un fruscio di foglie per provocare delle reazioni”. Nessuno lo contraddice. Su questo tutti concordano. A questo sono affidate le sorti dell’umanità, questo il mercato e le sue leggi.

Siamo un corpo acefalo governato dal panico. Gli umori del mercato guidano la politica. Chi più può influenzare il mercato più ha potere, più dei poteri nazionali, al di sopra della loro sovranità, potere per minacciare le democrazie e per impoverire intere nazioni.

È intollerabile! Occorre assolutamente reagire! In momenti di crisi occorre solidarietà. L’unica chance è l’istituzione prima possibile di un Governo Centrale Europeo che prenda le briglie del mercato. O così o il tunnel non vedrà la luce.




Vox populi e vox Dei

Rattrista vedere l’Unione Europea che  esita  ad aiutare   con la finanza comune la Grecia  per evitarle il fallimento. E pensare che la Grecia, che oggi costiturebbe una minaccia alla stabilità  dell’Europa, con la sua filosofia fu la culla della civiltà occidentale.  Ma la rimozione delle  origini della nostra cultura operò già all’epoca della elaborazione di un Testo della Costituzione Europea, operazione fallita, tra altre criticità, anche per i problemi identitari (sic!) … causati dalla mancanza di riferimenti alle radici giudaico-cristiane della coscienza europea.

In questo quadro il Primo Ministro della Grecia ha proposto un referendum per rimettere al popolo  il giudizio finale sul piano di salvataggio stilato dalla UE e le misure di austerity ad esso collegato.

Si tratta di una concezione distorta della “democrazia”.  Concepire il “popolo” come variabile indipendente della politica è una concezione del potere demagogica ed economicistica, che segue cinicamente l’ambiguo principio di “dare al popolo ciò che il popolo vuole”, con ciò rivelando l’incapacità di riappropriarsi della propria missione originaria d’indirizzo e di gestione equa degli interessi dei cittadini, per il raggiungimento del bene comune.  La politica, in una società aperta,  è invece la “visione dell’interesse lontano” (R.von Jhering).