La Grexit sulle scale di Escher

imagesOggi ci si arrovella sul destino della Grecia, rea di aver vissuto, dopo la fine della dittatura dei colonnelli nel 1974 e l’entrata nell’UE nel 1981, al di sopra delle proprie reali disponibilità finanziarie ed economiche con il distratto beneplacito dei paesi europei: dentro o fuori dall’euro? dentro o fuori dall’Europa? Gli economisti si interrogano su cosa significhi uscire dalla moneta unica europea, calcolandone costi e benefici, mentre i politici riscoprono la sovranità nazionale, alcuni con l’afflato democratico per la sovranità popolare. Ma se l’uscita dall’euro è controversa, l’uscita dall’Europa cosa significa?

Il fatto è che tutte le espressioni usate aventi la UE come soggetto sono petizioni di principio in quanto presuppongono l’esistenza di un’istituzione la cui esistenza dovrebbe invece essere dimostrata. A questa infondatezza logica si aggiunge quindi il paradosso dell’euro, presentato a partire dalla sua costituzione nel 1999 con entusiasmo quale fondamento dell’Europa e che con la crisi economica del 2008 ha mostrato al mondo la sua vulnerabilità : una moneta unica con una banca centrale, ma senza una tesoreria comune. Per tutti quegli anni i ministri delle finanze di turno negli Stati europei, in particolare dopo il fallimento della Lehman Brothers nel 2008, avevano dichiarato che non sarebbe stato permesso a nessuna istituzione finanziaria europea di fallire. Questa convinzione  ha permesso alla Cancelliera Angela Merkel, sensibile all’indisponibilità dei tedeschi dopo la loro costosa riunificazione promossa da Helmut Kohl, di insistere sul fatto che la responsabilità di un eventuale fallimento sarebbe ricaduta sul singolo paese, separatamente dagli altri in ossequio al mercatismo, e non sulla collettività della UE.

A partire dal 2008 scese la notte sull’Europa e l’incalzare della crisi economica, cui seguì inesorabilmente quella politica, oscurò il fallimento del tentativo di redigere cinque anni prima una Costituzione europea, sicché la UE si trovò ad affrontare ben cinque situazioni  critiche: la Russia, l’Ucraina, la Grecia, l’immigrazione e, ultimo ma non meno importante, l’incombente referendum britannico sulla permanenza in Europa. Se consideriamo la  politica estera europea, se ne ammettiamo l’esistenza, i fatti sono ancora più surreali: una UE che, dopo la caduta del muro di Berlino, non cerca di portare nella propria unione la Russia, che è di cultura europea, che però accetta e sostiene la candidatura della Turchia, che non è di cultura europea, e che dopo aver abbandonato definitivamente nel 2009 il progetto velleitario di una Costituzione per l’Europa ora spinge la Grecia, che è la culla della cultura europea, fuori dall’euro con il rischio di consegnarla nelle mani della Russia. Tutto questo mentre USA e Cina si fronteggiano, anche militarmente, nel centro Africa, nei mari orientali del continente asiatico e mentre la Nato dispiega ingenti forze militari nelle più grandi manovre finora eseguite ai  confini con la Russia.

Nello scenario internazionale così tratteggiato la domanda che ci poniamo, fatti i debiti mutamenti, è quella di un secolo fa: il Partenone brucia?  In questi giorni che precedono il referendum voluto da Tzipras appare evidente la volontà da parte della Troika, in particolare la Germania, di voler trattare con un diverso governo greco guidato da un leader più affidabile e pare quasi che la Cancelliera Merkel abbia assunto il ruolo che fu di Catone il censore: Atene delenda est.

Ma l’entrata in scena di Barak Obama coi suoi diretti rapporti con la Germania della Merkel, economicamente forse troppo legata alla Cina e alla Russia, dovrebbe avvertirci che sono in gioco ben altri destini che quello del popolo greco. Una possibile alleanza, sebbene di convenienza, della Grecia con la Russia, una volta che la Grecia uscisse dall’Euro, risulterebbe nello scacchiere europeo già compromesso dalla crisi in Ucraina e dalle mire espansionistiche di Putin strategicamente nefasta per la una nuova “Yalta” (incontri tra Obama e Xi Jinping previsti a settembre) che USA e Cina con le pretese della Russia intendono perseguire sul piano economico, finanziario e militare su scala planetaria.

Cosa rimane di quel “pensare globalmente e agire localmente” che non molti anni fa voleva ispirare le visioni politiche, intese come visioni dell’interesse lontano? Sempre più frequentemente analisti e consulenti di fondazioni di alto rango mondiale parlano apertamente di un reale rischio di una Terza Guerra Mondiale, rischio ancora sotto controllo, come le demolizioni controllate degli edifici, tramite l’innesco e il controllo di conflitti locali su scala globale, mentre la rimozione della realtà domina l’informazione massmediatica, disorientata ed impaurita, impegnata ad inseguire le singole e locali manifestazioni di una crisi internazionale.

Tutto questo richiama quell’allegoria dell’omino chinato in mezzo ad una strada a raccogliere una moneta da 5 cent, senza accorgersi che un Tir lo sta travolgendo. Tutto questo, se non viene al più presto considerato e trattato pubblicamente dalla politica di tutti i Paesi europei,  ci sta drammaticamente portando alla condizione in cui si imporrà la necessità di difendere la democrazia, piuttosto che praticarla.

 




L’€uropa che non c’è

imagesUna massaia, brava donna, mi ha detto“Quando c’era la lira un chilo di fagiolini costava 1500 lire ora ne costa 2700, usciamo dall’euro”. Sic! Chiaramente 2700 lire sono intese 2,7 euro. Che rispondere? Davanti all’ignoranza solo il silenzio. Eppure la buona massaia rientra nella categoria di coloro che provano a ragionare, per gli altri schierarsi senza pensare, la maggioranza, rimane l’attività principale. Un’Europa, che per inciso non esiste, viene sbandierata come l’amico o il possibile nemico, e raccoglie assensi o dissensi sulla base di sì solidi simili ragionamenti. Su solidi fantasmi creati dai media e dagli schieramenti politici, ci si orienta per avere un’opinione. Il percepito prevale sul reale. La disinformazione domina l’essente. Né chi è più informato dimostra per questo di saper ragionare. Dice un amico “quando ragionano è peggio”. Non v’è dubbio. E non solo tra il popolo. Consultare il popolo per una decisione che condiziona il futuro di una nazione senza averlo a fondo informato e solo dopo essere sicuri di essere stati ascoltati e compresi, può essere uno scaricabarile strumentalizzante e persino criminale.

Il referendum greco rischia di veder votare “” solo grazie alla paura e non certo per adesione ad un pacchetto di cui non sanno nulla e che comprano a scatola chiusa da austeri usurai. Chi voterà “oxi” voterà no per dignità, ma soggetto alla stessa paura.
In un caso o nell’altro il popolo è spacciato. Spremeranno altro sangue a una rapa ormai esangue o l’avventura. In un caso o nell’altro il futuro della Grecia in termini di sofferenza popolare sembra segnato.

Egoisticamente le nazioni europee sperano nella vittoria del “sì”che ridarebbe fiducia ai Mercati, mette tutti al riparo dal vedersi negare il prestito e dal dovere essere il prossimo ad affrontare in prima persona la china. Abbandonando il popolo Greco al suo destino tutte le nazioni si sentirebbero per ora al riparo. Un’Europa politica con un’unica moneta, un’unica fiscalità, un unico contratto di lavoro, un unico welfare etc … è impensabile. L’Europa politicamente non esiste e non esistono più neppure le sovranità nazionali, l’unico dominio è il turbo capitalismo, la congiura di Nessuno, il Mercato. L’Usura.

La Grecia dei 350 miliardi avuti in prestito ha dovuto restituirne 320 in interessi saliti al 18%, in cinque anni. Chiaramente il cittadino che si trova in difficoltà economica quando le banche si rifiutano di dare credito si vede costretto a rivolgersi agli usurai con il ben noto meccanismo che porta a chiedere altri prestiti e ad aumentare l’usura a cascata. Anche gli stati sono soggetti ad usura. L’offerta di maggiori interessi da parte di uno stato è il solo modo per ottenere prestiti e favorisce di conseguenza la speculazione che lo dissangua. Questo meccanismo detto di “libero mercato” soffoca e uccide le economie più deboli che come sotto gli occhi di tutti malgrado le cosidette riforme strutturali continuano ad arrancare e aumentare il debito. Detto in parole povere il nemico non è la Germania o l’inesistente Europa, il nemico è il turbo capitalismo, il capitalismo d’usura, la Finanza che impoverisce l’economia e toglie sovranità agli Stati.

Alla fonte di tutto questo ci sta una questione semplicissima: ha il potere chi controlla il denaro e i suoi flussi. Lasciare il controllo al “libero mercato”, alla congiura di Nessuno, significa rendere schiavi i popoli e continuare ad accrescere le disuguaglianze. Una guerra è ben possibile. Ma non solo al potere sono attribuibili tutte le colpe. Complice del potere sono la paura e l’ignoranza. Paura e ignoranza sono il terreno fertile per i Mercati. Forse abbiamo un problema culturale.

Lunga promessa con l’attender corto / ti farà trïunfar ne l’alto seggio, così Guido da Montefeltro, XXVII Inferno, Dante. Correva l’anno 1300, sette secoli fa. Questa banalità, la lunga promessa che affida il potere a illusionisti, capipopolo, imbonitori, economisti etc … dovrebbe essere accolta dal popolo con un “Buuh, buffone, chi vuoi prendere in giro”. Eppure buffoni con promesse di un milione posti di lavoro, ciarlatani di ogni genere e fazione con il loro “abbassiamo le tasse”, tecnici inamidati del pensiero unico fedeli all’ideologia di Mercato, volpacchiotti in erba con promesse di cambiamento, di riforme, di futuro, hanno fatto e fanno tuttora storia nel nostro paese. Grazie a che? Grazie al pensiero debole e a un basso sentire. Ministri che pensano alla Divina Commedia come ad un improbabile panino hanno dominato per un ventennio la politica e anche la cultura, il che significa che la cultura in seno al popolo, e non solo, di questo paese è arretrata di 700 anni rispetto alla cultura di un uomo vissuto settecento anni fa.

Di contro l’undicesimo comandamento “fatti i fatti tuoi” rimane il più seguito dai tempi di Wilma e la clava. La furbizia vecchia di millenni domina ancora sull’intelligenza nuova venuta, soprattutto in seno al popolo e ancora non si comprende il suo diretto legame con la corruzione. Chi è furbo è ladro. Abbiamo un problema culturale?

Lunga promessa con l’attender corto … assolver non si può chi non si pente… sono cose da insegnare a partire dalle elementari e ripetere nei successivi studi finché ciò che deve essere sia: è il compito principe di una società che si vuole civile di contro a ogni populismo.  Avere ragione non significa in nulla ragionare, chi ha ragione, chi è dalla parte della ragione, non è detto che ragioni. L’oppresso può a buon vedere essere peggiore dell’oppressore e se interroghiamo il popolo per trovare nel popolo ragione troveremo solo miseria. Prima della ragione ci deve essere coscienza e autocoscienza. Diversamente quello che troveremo è la verità della miseria. Miseria economica quanto culturale. Temo la regressione più di quanto tema la recessione. La barbarie non viene dalla recessione economica, ma dalla perdita dei valori morali. Il declino può ben cominciare con una crisi, ma il suo senso più profondo è la paura e l’ignoranza che immeschiniscono gli animi.
L’arretratezza culturale di un popolo è indice diretto della democrazia. La cultura di un popolo è la sua democrazia.

Tutti leggono la storia solo da un lato, solo dal lato del potere ritenendo che solo chi è al potere faccia la storia. Questa becera convinzione trascura totalmente l’altro lato, l’antitesi storica che poggia sulla cultura, sulla cultura del popolo. Sono possibili sul lato del potere solo quei regimi che la cultura del popolo permette. Il potere in mano al popolo è la Cultura. Dittature nelle culture tribali e democrazie solo in virtù della cultura popolare. Tirannie, dittature, oligarchie, monarchie, monarchie assolute, monarchie costituzionali, democrazie segnano per livelli differenti il cammino dell’umanità sempre in dipendenza della cultura del popolo. I cambiamenti avvengono solo quando il popolo è pronto e solo la cultrura del popolo segna la civiltà. Le rivoluzioni falliscono e sono inevitabilmente destinate a fallire in diretta dipendenza della cultura del popolo. Un popolo di bestie pretende una dittatura.

Dunque la variabile indipendente non è il potere, ma il popolo e solo il popolo nel grado di cultura raggiunto. E su questa in democrazia si deve agire. Infatti “democrazia” non significa in nulla fare la volontà del popolo, ma fare ciò che è meglio per il popolo e il meglio per il popolo è accrescere la sua cultura perché solo la cultura permette la convivenza tra persone civili. Gli uomini non sono uguali, i popoli non sono uguali. Compete a ciascuno un diverso grado di maturazione nella misura e nel modo. Questa inoppugnabile verità pesi sulla coscienza di ciascuno come un mirabile pregiudizio, pregiudizio cui tutti siamo tenuti e di cui dobbiamo avere coscienza prima che ci colpisca alle spalle. Esistono popoli più civili e popoli più arretrati, non possiamo nascondercelo. Che i popoli più civili sfruttino i popoli più arretrati è un’infamia. La civiltà infatti aborre lo sfruttamento. Questo fa parte delle antinomie in seno al primo mondo. Fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te rimane un precetto morale imprescindibile per il progresso e la civiltà. Ma se l’uguaglianza è l’utopia verso cui mirare è necessario per ora fotografare l’essente per come l’essente si presenta senza alcuna propensione ideologica: l’ignoranza in seno al popolo è il nemico. L’ignoranza va combattuta ovunque in ogni individuo e in ogni popolo. Nego il rispetto di tradizioni che non rispettano l’uomo. Le cerimonie sono fatte per gli uomini e non gli uomini per le cerimonie.

Quando il “noto” nell’individuo e la “tradizione” nel popolo sono di impedimento alla convivenza civile, vanno combattuti, civilmente combattuti con l’educazione.
Ditemi or per voi se avete fior d’ingegno quanto sia mai stato fatto da parte di chicchessia, governo o opposizioni per agire sulla mentalità del popolo, sulla Cultura. La Cultura non è in nessun programma di nessun partito. Oscenamente di contro si sfrutta l’ignoranza in seno al popolo facendo leva sui suoi sentimenti più bassi per trovare consenso e ottenere il potere. Guerra fra poveri? Ben venga! Divide et impera. Troviamo un capro espiatorio e tutti uniti nella palude stigia. Ciascuno sia lasciato solo. Il pensiero è solo economico, ma solo la cultura ci salverà.