Luci della ribalta

È quello che siamo tutti: dilettanti. Non viviamo abbastanza per diventare di più. (Luci della ribalta, C.Chaplin)

È quello che siamo tutti: dilettanti. Non viviamo abbastanza per diventare di più. (Luci della ribalta, C.Chaplin)

La sceneggiata offerta dai politici alla Camera dei Deputati, causata dall’ abbinamento forzato e nascosto del decreto Imu-Bankitalia e agìta secondo i loro livelli culturali, già oscura con i suoi clamori la proposta di legge elettorale, messa in disparte e rimandata. Matteo Renzi spiazzato dalle agende del Governo e della Camera si defila dalla ribalta, mentre la sguaiata opposizione del M5S da rumore di fondo diventa segnale. E che segnale: dall’attacco ai politici e ai governanti si passa all’attacco delle persone che ricoprono le massime Istituzioni dello Stato quali la Presidente della Camera e il Presidente della Repubblica, colpevoli di fare politica di parte e di non garantire nella trasparenza i diritti di tutte le parti, e all’attacco di quei giornalisti o intellettuali che li criticano apertamente. 

Il comportamento adottato dai parlamentari del M5S in relazione a quello dei demiurgi che li guidano, indipendentemente dal contenuto di verità delle loro affermazioni, richiama alla mente la strategia del Dipartimento per l’agitazione e la propaganda del fu Partito Comunista Sovietico, ricordata come agitprop, termine acronimo che per antonomasia è stato da allora utilizzato per descrivere in politica la figura del provocatore. Negli anni che seguirono il ’68  si usava la logica del cui prodest?  per scovare gli estremisti responsabili degli attentati politici.

Oggi quel metodo a quali spiegazioni ci condurrebbe? Mentre la sinistra si arrovella nella ricerca di incostituzionalità e di attacchi alla democrazia, il populismo sia di destra che di sinistra cerca il salvatore della patria ed ha fretta: dopo Silvio Berlusconi oramai in declino alla ricerca di una successione ecco affermarsi il decisionista naïf Matteo Renzi e, perché no, quel giovane sanculotto Alessandro Di Battista.

Gli uomini del fare si richiamano alla concretezza e vivono di percezioni: si concentrano sul qui ed ora, mentre il loro pensiero debole riposa tra rimozioni e proiezioni.  La velocità con cui le notizie e i commenti si susseguono nei media, velocità notevolmente accelerata dalla potenza del web divenuto il pace maker dei giornali e televisione, obbliga la realtà a mutare continuativamente, sottraendo tempo alla riflessione e inducendo all’oblio.

Avverte Macchiavelli:  “Tu bada ben che l’aver in le tue mani il potere della Repubblica e il plauso di chi crede che si possa governare senza inganno non ti è bastante, poiché non è tanto la novità che conta, ma produrre il nuovo. Quindi ascolta e provoca il popolo perché parli a costo di causare in te risentimento (…)”




Democrazia e demografia.

images-1Beppe Grillo potrebbe oggi sembrare un eroe della mitologia greca che ha sfidato i politici (gli dei) e nella sua tracotanza (hybris) potrebbe gridare al mondo: quando sento parlare di senso di responsabilità metto mano alla pistola. Ed avrebbe ragione. Tutti adesso si appellano al senso di responsabilità, sono quelli che hanno perso e che oggi ci dicono che noi tutti siamo nella stessa barca. Io temo queste persone e questa politica perché per criticarle possono bastare motti come quest’altro di Goebbels: per la politica il carattere conta molto più che l’intelligenza: è il coraggio che conquista il mondo.

Prima la campagna elettorale con i sondaggi, poi i commenti sui risultati. La politica come il calcio: un’ora di partita e una settimana di chiacchere. Recita un detto popolare mantovano: toti i asin menen la coa, toti i coioni disen la soa (ndr: tutti gli asini menano la coda, tutti i coglioni dicono la loro).  E’ penoso assistere allo scorrere nei dibattiti televisivi delle facce pallide e frastornate del centro-sinistra balbettare ossessivamente spiegazioni assurde con il loro linguaggio onanistico da perdenti, un  linguaggio incomprensibile fatto di analisi politichesi sul capello diviso in quattro.

Tutti gli osservatori e opinionisti sono concordi nel ritenere che con le elezioni 2013 abbiano trionfato i populismi. A quello già noto di destra di Berlusconi consolidato in venti anni si sarebbe contrapposto quello di sinistra dei grillini (un M5S capace in breve tempo di raggiungere 8.688.000 voti, dragando il 30 % dei voti dal centro-sinistra, altri dall’astensionismo e il 39% dalla Lega e il Pdl). E’ stato giustamente osservato che M5S costituisce da solo una “grosse Koalition”.

Dunque la novità sarebbe che si sono resi visibili diversi populismi ascrivibili  a diverse sensibilità politiche. La verità però, una verità che si poteva conoscere da molti anni ma che è stata nascosta prima dalle ideologie e poi dalla illusione del bipolarismo, è che la cultura arretrata italiana ha bisogno del populismo per fare politica ed oggi con il doppio populismo si è almeno ridotto il qualunquismo.

L’avanzata inesorabile del M5S ci sta mostrando una strutturale novità: la formazione di un nuovo blocco sociale ancorato su una base generazionale e non più ideologica, costituito da una classe di cittadini grosso modo compresa nella fascia d’età tra i 20 e i 50 anni. Una nuova classe di ‘giovani’. Come se si fosse avvertito che il declino del paese potesse anche dipendere dall’invecchiamento della popolazione (l’indice di vecchiaia ha raggiunto in Italia una valore ragguardevole, secondo in Europa, ed è destinato a crescere nei prossimi tre decenni).

Altro che rottamazione, si tratta di una rivoluzione culturale che può scaturire in una profonda rivoluzione sociale. Qualche cosa di simile a quanto è accaduto alla fine degli anni sessanta, quando i figli del baby boom e del benessere rivendicarono la propria esistenza contro la società autoritaria. Oggi però i vettori della protesta non sono più gli studenti, essi sono cresciuti e diventati normali cittadini lavoratori e precari, insegnanti, operai, professionisti, piccoli imprenditori. Appartengono alla classe d’età 20-50 anni, ovvero la generazione nata tra il 1963 e il 1988: i figli dei sessantottini e parte di loro stessi, invecchiati. Molti di loro hanno una scolarizzazione superiore alla media nazionale, alcuni sono nativi digitali e comunque tutti socializzati dal web. Ciò che essi rivendicano non è solo il lavoro ma una nuova socialità, perché il lavoro viene sì considerato ancora come la condizione necessaria per la dignità umana (condizione oggi resa drammatica dalla crisi economica e dall’insipienza delle politiche fin qui adottate), ma percepito anche come condizione non più sufficiente per la crescita culturale e personale.

Non voglio passare per il Pasolini dei grillini, ma guardateli in faccia questi 163 grillini neoeletti: alla Camera 71 uomini e 37 donne con età media di 33 anni, al Senato 30 uomini e 24 donne con età media di 46 anni. Come si può pensare di comprendere e interagire con un tale fenomeno utilizzando usurate categorie socio politiche novecentesche?  Molti dei valori e dei temi che tormentano la coscienza dei politici  sono valori per molti di loro già praticati nella vita quotidiana, anche se non sempre ne sono culturalmente consapevoli. Non vanno considerati come vettori patologici antipolitici, ma come portatori sani, per lo più inconsapevoli, di una nuova politica.

Fra due o tre settimane i cronisti di tutte le reti nazionali e internazionali si accalcheranno di fronte a Palazzo Montecitorio e a Palazzo Madama per mostrare  al mondo gli imbarazzi e le emozioni di questi neofiti al loro primo giorno di scuola accompagnati dai genitori Grillo e Casaleggio, mentre giornalisti prezzolati e politici rancorosi cercheranno in loro i segni di un ulteriore degrado della politica e delle istituzioni.

Saranno per allora raggiunti possibili accordi per un’ipotesi di governabilità, sia pure transitoria? Beppe Grillo non ha paura degli inciuci di programma. E’ ben consapevole che la  forza del M5S sta proprio nella capacità di condizionare la politica dei partiti rimasti e quindi nella negoziazione. Per i leghisti della prima ora Roma era ladrona, per i grillini contemporanei è invece il tempio da cui cacciare i mercanti. Il suo timore è piuttosto quello dei possibili inciuci (scouting) a cui una parte dei suoi neoeletti, insediati al Parlamento senza vincoli di mandato, possano esporsi o magari cercare individualmente per inesperienza e smarrimento in quelle acque torbide che vorrebbero rendere trasparenti. Dalla rete già echeggiano i primi rumors. Una possibilità che i partiti sopravvissuti coltiveranno più o meno cinicamente alla ricerca dei voti perduti: dìvide et impera.

Il Partito Democratico, o almeno quello che emergerà dal disastro elettorale, ha il dovere morale non di ri-costruire se stesso, con la ricerca di una strumentale alleanza  con i grillini (per altro necessaria nel breve periodo), ma di cogliere nella formazione della nuovo blocco sociale il nuovo soggetto politico che offre l’opportunità di rigenerarsi culturalmente e ristabilire una buona e moderna politica di sinistra per un nuovo welfare state da offrire al Paese.  Tutti a casa dunque, anche Grillo.