La dignità ritrovata

Arin MirkanCeylan OzalpDue donne curde si sono uccise in questi primi giorni di ottobre per difendere la loro città di Kobane in Siria dall’aggressione delle brigate nere dell’Isis. Finite le munizioni, per evitare il martirio come prigioniere degli jihadisti, una si è gettata come un kamikaze contro il nemico, l’altra ha utilizzato l’ultima pallottola contro se stessa.

Nella mitologia greca gli eroi erano giovani e belli e costituivano per gli uomini il modo di avvicinarsi agli dei. Arin Mirka e Ceylan Ozalp erano donne giovani e belle. Non sono abbastanza “maschilista” per farmi commuovere solo dalla bellezza femminile, ancor meno sono ideologico per fare dei loro volti la versione femminile dell’icona del Che Guevara. C’è di più, molto di più in questa tragica vicenda che non si può esorcizzare elogiando il sacrificio o l’eroismo di donne fiere e combattenti e che ci riguarda tutti. Questi due volti, senza veli, ci sconvolgono per due sentimenti profondi che la loro tragica scomparsa ha fatto riemergere in noi: la vergogna e la paura della fine.

La vergogna. Non è questione di scontro tra civiltà, ma del riconoscimento e della difesa dei principi su cui si fonda le nostra identità e che il popolo curdo, prevalentemente musulmano ma di tradizione culturale indoeuropea, oggi ci ricorda con la propria lotta contro il terrorismo integralista. All’epoca delle manifestazioni contro la guerra del Vietnam, negli anni settanta, nutrivo un certo disagio nel pensare ai soldati americani miei coetanei che rischiavano la loro vita, molti di loro la persero, mentre io europeo sfilavo per le strade della mia città. Quando in anni più recenti, oramai adulto, mi sono recato al Vietnam Veterans Memorial  a Washington ho sfogliato il libro dei caduti per cercare il nome, i nomi, di coloro che erano nati nello stesso mio giorno, mese ed anno, con la profonda angoscia che avrei potuto leggervi anche il mio. L’inquietudine non derivava dalle ragioni di quella guerra, ancor meno da una mia presunta appartenenza ideologica o religiosa, ma dalla consapevolezza della alterità della vita, della sofferenza e della morte formatasi nella nostra società. È un fatto, ed è positivo, che i giovani, in particolare nel nostro Paese, non abbiano conosciuto da due generazioni la tragedia della guerra e i suoi sacrifici. Questa condizione privilegiata ha consentito loro di sviluppare una cultura solidale e pacifista, ma dobbiamo vigilare sul rischio che non abbia affievolito la loro integrità morale.

La paura della fine. Da un secolo ci arrovelliamo sulla possibilità del tramonto dell’occidente: due guerre mondiali, altre guerre in Corea, in Vietnam, nel Medio Oriente, dalla paura di ieri per un olocausto nucleare causato dalla guerra fredda indotta dalle super potenze e guerreggiata di nascosto al terrore per gli attentati preannunciati apertamente a tutto il mondo dagli jihaidisti islamici. Tornano alla mente le parole di Oswald Spengler: “Noi non abbiamo la possibilità di realizzare questo o quello ma la libertà di fare ciò che è necessario o nulla; ed un compito che la necessità della storia ha posto verrà realizzato con il singolo o contro di esso.” Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.  Intanto, un senso di angoscia si diffonde e si generalizza nei paesi occidentali: non tanto per l’orrore suscitato dalle decapitazioni spettacolari quanto per il timore di arrivare ad ammettere la necessità della forza come risposta e dunque regredire allo stato di violenza animale. E qui tornano alla mente le parole tratte da Cuore di tenebra di Joseph Conrad e riprese nel  monologo del colonnello Kurtz in Apocalypse now: “È impossibile trovare le parole…per descrivere lo stretto necessario a coloro che non sanno cosa significhi l’orrore. L’orrore…l’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore. L’ orrore e il terrore morale ci sono amici in caso contrario allora diventano nemici da temere. Sono i veri nemici. (…). Bisogna avere uomini con un senso morale, ma che allo stesso tempo siano capaci di… utilizzare i loro primordiali istinti di uccidere senza emozioni, senza passioni, senza discernimento… Senza discernimento. Perché è l’intenzione di giudicare che ci sconfigge.”

Sul piano politico noi portiamo la colpa di avere lasciato queste due donne senza più munizioni, disconoscendo coloro che là fuori, ai confini dell’occidente, difendono le nostre democrazie senza poter praticare la loro. Sul piano etico loro ci offrono un esempio per una dignità ritrovata.