L’accoglienza non è una parola

In una scena di un film sulla guerra in Afghanistan (anni 2002-2008) una reporter  di guerra americana passeggia al mercato di Kabul in compagnia di un fotografo inglese suo amico, di fronte ad un ragazzino mendicante si fermano: Lei “Non farlo, è una truffa”,  Lui “Ah, pensi questo?… davvero? Lo so che è una truffa… allora? Comunque sia chiede l’elemosina” e gli porge del denaro. 

Nella realtà quotidiana delle nostre città, ci troviamo spesso di fronte ad una persona che chiede l’elemosina. Quante volte in un giorno? Una tempo erano i “barboni” sul sagrato della chiesa, poi gli “zingari” per le strade, mentre oggi sono i “migranti”, quasi sempre africani di colore, che si mettono accanto all’ingresso dei supermercati o dei bar e ci aspettano, ci sorridono e ci salutano, in piedi o seduti col cappello in mano. Come reagiamo noi in queste occasioni? Non cerco alcuna captatio benevolentiae, ancor meno voglio suscitare sensi di colpa, ma solo descrivere con adeguato distacco una scena ormai abituale  che tuttavia ci offre una insolita occasione per pensare.

Si tratta di comprendere il rapporto  tra la conoscenza di un fenomeno e la coscienza che maturiamo verso di esso. Siamo consapevoli in quel momento che quella persona di fronte a noi molto probabilmente pochi giorni o settimane prima si trovava su un gommone in mezzo al mare e che forse ha visto annegare alcuni suoi compagni di viaggio?

Da alcuni anni nel trattare l’argomento dei migranti molti usano il termine  accoglienza, un termine  diventato una bandiera  che connota una appartenenza politica, una discriminante, e che divide la sinistra dalla destra, i progressisti dai reazionari, gli altruisti dagli egoisti, gli umani dai disumani, i civili dagli incivili, i “buonisti” dai “cattivisti”. In verità non mancano le tragedie consumate tanto in mare quanto sulle coste che il mare divide per giustificare questa sensibilità, ma il punto è da quali principi l’accoglienza, che vuole diventare un comportamento, è dettata: solidarietà, giustizia, umanità? E ancor più in profondità su quale sentimento questi principi a loro volta si fondano?  Si sostiene che tale sentimento sia la compassione, la risonanza affettiva che si prova di fronte ad un altro che soffre e che porta al desiderio di alleviarne la sofferenza.

Secondo il filosofo israeliano Khen Lampert questo stato d’animo sarebbe radicato nella nostra natura umana, non mediato dalla cultura e universale, ed è ciò che avrebbe motivato le rivendicazioni storiche di cambiamento sociale.

Per gli greci antichi la compassione è collegata alla empatia e costituiva una tecnica di recitazione che legava lo spettatore all’attore e l’attore stesso al personaggio interpretato. Il concetto passò quindi alla filosofia coi sofisti che usavano la parola come strumento di persuasione (retorica). Per le religioni monoteiste quali l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam la compassione proviene dall’amore e, seppure tra le diversità delle fedi, si coniuga nella carità che per gli ebrei, per i quali essa è una forma di giustizia (zedaqad), e per i musulmani (zakat) è intesa come un dovere morale, un obbligo, mentre per i cristiani essa è una virtù (le tre virtù teologali fede, speranza e carità, strumenti) e l’elemosina un atto volontario.

Caso a parte è quello del buddismo. Per i buddisti la compassione (jihi) assume un significato più ampio rappresentando il vissuto del desiderio del bene nei confronti di ogni essere senziente. Nel Buddismo jihi può essere tradotto come “togliere sofferenza e dare felicità” e pertanto al buddista risulta necessario che ciascuno di noi alimenti il seme della “compassione” nel profondo del proprio cuore.

Dunque, dobbiamo fare o no l’elemosina al migrante fuori dal bar? E’ una questione personale che attiene alla nostra morale, non alla politica o alla religione. Ognuno di noi lo deciderà di volta in volta guardando negli occhi quell’uomo o donna di fronte a noi, ma per tutti valga un precetto dello Shintoismo: “La sincerità porta alla verità. La sincerità è saggezza, che unisce l’uomo e il divino in un tutt’uno. Sii caritatevole con tutti gli esseri: l’amore è la prima caratteristica del divino”.   




Il principio di finalità esterna

“La massa non sa cosa sta succedendo e non sa neanche di non saperlo” (Noam Chomsky).  In uno stormo di uccelli un uccello ha due scopi, uno definito interno che riguarda la propria personale esistenza, l’altro servire lo stormo. Lo stormo si serve dell’uccello per portare avanti una propria finalità in cui l’individuo compare solo come “la parte del tutto”. Questa finalità esterna all’individuo condiziona all’individuo tutta la sua esistenza ma l’individuo non ha alcuna coscienza di agire per conto dello stormo.

Esistono quindi due livelli di “coscienza”, uno interno e uno esterno; e perché il tutto, nell’interesse di tutto e di tutti, funzioni ossia sopravviva, è necessario che l’individuo risponda alle esigenze del tutto o sarà sacrificato. Questo breve racconto descrive una necessità naturale e può benissimo essere letto in chiave metaforica anche per quelle che sono le esigenze umane; nella sua sostanza il principio di finalità esterna può essere applicato anche alle comunità umane.

Distinguiamo ora una morale interna o semplicemente “morale”, da una morale esterna o “etica”. Chiameremo quindi morale quella che si riferisce all’individuo e etica quella che si riferisce al sociale. La morale interna regola i comportamenti individuali fondati sulle pulsioni “naturali”: sesso, possesso, gelosia, orgoglio, qualità innate che vedono il mondo egocentricamente solo nell’utilizzo. La domanda nei confronti dell’ambiente è sempre la stessa “che cosa mi serve?”. Questa morale si oppone all’etica, la quale in quanto volontà esterna esige diversamente per “la convivenza” regole diverse dalla morale. La convivenza fissa le regole per la sopravvivenza o anche la migliore sopravvivenza del gruppo. Queste regole sono differenti da quelle che muovono all’azione il singolo e costringono l’individuo a rinunciare in tutto o in parte alle sue pulsioni dandogli un’ idea di privazione della sua libertà. In biologia le regole stabilite dalla natura sono rigidissime e l’individuo obbedisce senz’altro salvo essere eliminato, la natura è una dittatura perfetta. “Morale” e “etica” coincidono.

L’avvento della coscienza porta libertà ma porta anche ribellione, i due piani interno ed esterno cominciano a “scollarsi”. Il piano esterno anticamente solidamente nelle mani della Natura passa ora nelle mani della Cultura, una struttura sopraindividuale che comincia una sua vita autonoma anche dalla natura, e che non è immediatamente nella coscienza dell’individuo. Questa struttura culturale è nota come “sistema sociale”. Il sistema sociale è costituito dall’insieme delle regole, dei simboli, degli umori condivisi da un gruppo, da un popolo, da una nazione. Ora, nella cultura, è chiaro che bisogna avvicinare la morale all’etica attraverso l’educazione o imporre l’etica alla morale. 

La particolarità del sistema esterno è di non essere cosciente agli individui alla nascita e di portare agli individui valori “nuovi”, esterni, per impostare e determinare il comportamento. In dipendenza dell’educazione ricevuta (o non ricevuta) in molti individui l’etica rimane imposta, ignota e ostile fino alla morte. Questi nuovi valori esterni che costituiscono la tradizione e la memoria del gruppo, sono il frutto di centinaia di generazioni e costituisco quello che si definisce come “Patrimonio Culturale”. Le regole riguardano la possibilità della convivenza che per migliaia di anni hanno tenuto conto principalmente della morale legata alle primordiali pulsioni innate. Per tenere stretto il gruppo il regime di potere, sistema esterno, non poteva che tenere a freno l’individuo e somigliare nella guida del gruppo al tipo controllo che la natura ha sull’individuo, ossia dittatoriale. Il potere stesso non aveva tuttavia coscienza delle regole che si venivano a determinare ma agiva sempre in dipendenza del principio di finalità esterna in dipendenza dell’ambiente, ambiente che ha continuato ad agire come influenza esterna al potere stesso. 

Orbene, solo recentemente nella storia sono venuti in essere nuovi sentimenti quali: empatia, compassione, misericordia e derivati; intendimenti morali che vanno a costituire giustizia, politica, verità e felicità. Questi sentimenti pongono in essere la necessità di “nuove regole” che non essendo possedute per natura devono necessariamente essere apprese. Non per natura ma per cultura, Etica, Giustizia e Verità si oppongono a tutte le ribelli pulsioni innate reprimendole e dando all’individuo un’idea di oppressione. Per la pancia esiste solo “mangiare, sesso e dané” e una istintiva avversione per la cultura che tende a controllarle e a reprimerle. 

In conclusione, senza educazione emergono tutte le istanze egoistiche individuali relegando l’individuo, che del sociale non ha coscienza, a esprimersi solo con la “pancia” (sesso, possesso, gelosia, orgoglio) e a rifiutare la cultura come un’inopportuna costrizione. Questo atteggiamento egocentrico nel bambino senza educazione diviene egoista e moralmente scorretto nell’adulto. L’insieme di atteggiamenti egoisti anche se tutti gli egoisti sono solidali perché tutti si riconoscono nella pancia, farà franare il formicaio. È la fine della solidarietà e l’inizio della decadenza.

In conclusione, senza educazione emergono tutte le istanze egoistiche individuali relegando l’individuo, che del sociale non ha coscienza, a esprimersi solo con la “pancia” (sesso, possesso, gelosia, orgoglio) e a rifiutare la cultura come un’inopportuna costrizione. Questo atteggiamento egocentrico nel bambino senza educazione diviene egoista e moralmente scorretto nell’adulto. L’insieme di atteggiamenti egoisti anche se tutti gli egoisti sono solidali perché tutti si riconoscono nella pancia farà franare il formicaio. È la fine della solidarietà e l’inizio della decadenza. Qui, c’è anche chi , come Matteo Renzi, pensa di recuperare i voti perduti rivolgendosi con format televisivi “culturali” in un’operazione di marketing, alla pancia.

Orbene, operazioni di propaganda e falsificazioni sono state perpetrate in ogni regime politico, in particolare le dittature, e all’uopo sono stati stilati “decaloghi” precisi e puntigliosi su come abbindolare il popolo. Esemplare è stato quello di Joseph Paul Goebbels, che merita di essere letto, ma di recente ce ne sono stati molti altri e di uno in particolare comparso in un post di FB voglio citare un punto:

(Omissis) 5. Rivolgersi al pubblico come ai bambini

“La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile”

L’autore del decalogo intravede nella “pubblicità” una volontà malevola nell’abbassare l’età del pubblico a cui si rivolge come si trattasse di un inganno. Non è cosi! Il pubblico ha veramente quell’età e la pubblicità funziona proprio e perché il pubblico ha quell’età. Il che ci insegna che l’unico, solo, insostituibile modo per non sottostare alla propaganda, a qualsiasi propaganda, e con ciò progredire in civiltà è elevare l’età mentale delle persone (la mentalità) affinché il cuore si rivolga alla testa e non alla pancia. 




La logica non è un’opinione

Quando assisto ai talk show televisivi vengo colto da rabbia e depressione. Il livello della discussione è talmente basso non tanto per il fatto che la gente che vi partecipa mostra di non avere una sufficiente preparazione filosofica e memoria culturale, quanto perché nel ragionamento manca della più elementare logica.

Ci sono cose che non si possono non sapere, che dovrebbero essere insegnate e senza le quali nessuna discussione che abbia senso è possibile. Ci sono cose che se conosciute da tutti cambierebbero il volto all’umanità.  Si tratta di banalità base di ordine logico morale che dovrebbero essere assunte da tutti e su cui non si dovrebbe mai ritornare. Eppure queste banalità rimangono ai più sconosciute e producono socialmente danni enormi. Ci sono cose con cui ci scontriamo tutti i giorni che se ignorate impediscono la comunicazione e qui vorrei esprimerne almeno una: quando e come si può o non si può generalizzare.

Quando sento dire “non si può o non si deve generalizzare” o “non si può fare di tutta l’erba un fascio” “due pesi due misure” mi viene acidità di stomaco. Orbene, è necessario avere un po’ di pazienza e partire da concetti basilari  della statistica, quella parte della matematica che descrive ogni fenomeno, ogni grandezza che  può assumete differenti valori quali per esempio la statura o il reddito di una popolazione di individui. In altre parole la statistica studia un insieme di unità, una popolazione, e non la singola unità.

Tali valori di una grandezza si distribuiscono in un particolare modo che, come avviene in molti casi della natura, assume la forma “a campana” (chiamata “normale” perché frequente in natura o anche “Gaussiana”  dal suo inventore il matematico Carl Friedrich Gauss).

Tale curva ci dice che ogni fenomeno si distribuisce in un certo campo (campo di esistenza del fenomeno)  che va da un valore minimo a sinistra della curva, fino a uno massimo a destra della curva.  L’altezza tra i vari punti sulla curva (ordinate) rispetto alla sua base (ascissa) rappresenta quante volte il dato corrispondente a quell’altezza si manifesta (frequenza). Il concetto di “frequenza” con cui un fenomeno si manifesta dovrebbe essere patrimonio di tutti. Orbene, da sinistra verso destra la curva si innalza verso un valore massimo fino al suo apice per poi  ridiscendere assumendo una forma a campana, simmetrica rispetto ad una altezza centrale, l’apice appunto. In statistica i valori più frequenti (o più probabili) che si trovano a destra e a sinistra dell’apice sono chiamate “valori standard” e si dividono in due aree : quella che raccoglie il 68% della popolazione dei dati costituiscono 1 “deviazione standard”, mentre  quelli  del  95% della popolazione dei dati 2 “deviazioni standard”. La visione d’insieme è l’unica reale, che da idea della realtà e afferma la verità.

Veniamo ora all’esempio “gli uomini sono più alti delle donne”, verità incontrovertibile. Due curve a campana una per gli uomini e una per le donne, le due curve si intersecano facendo vedere come anche se l’altezza degli uomini nella media è maggiore vi è un numero considerevole di donne che sono più alte di un numero considerevole di uomini.
Tuttavia l’affermazione “gli uomini sono più alti delle donne” esprime una generalizzazione lecita, essa esprime  quello che per lo più accade, non dice “tutti gli uomini sono più alti di tutte le donne”; un obbiezione “non è vero, io conosco una donna o donne più alte di un uomini” è un’osservazione senz’altro ignorante. Perché è ignorante? Perché considera un caso singolo e non considera l’insieme portando l’esempio preso a dimostrazione del tutto, ebbene questa è una generalizzazione illecita. Si noti: quello che afferma è vero ma non è la verità. Questa confusione tra vero e verità avviene sempre in mancanza di una conoscenza di che cosa sia la statistica. La statistica è la verità più approfondita di un fenomeno. Di Trilussa gli ignoranti conoscono solo i polli. La regola dunque diviene: non si può dimostrare una verità portando esempi. Non si discute attraverso esempi a dimostrazione di una verità. Chi lo fa non consce questa banalità ed è semplicemente ignorante e non ha diritto a un’opinione. Il che non significa che non può “dire la sua”, ma che “la sua” non può essere presa in considerazione.

Se poi a dimostrazione porta esempi che si riferiscono a un’esperienza personale, l’opinione espressa è doppiamente ignorante. Ignorante non solo perché parla per esempi, ma perché incorre un altro errore.
Esiste un principio in ciascuno di noi che si chiama “principio di piacere”, per il quale ogni nostra azione è intesa a soddisfare il nostro corpo come la nostra vanità, l’autostima, cosicché andando per il mondo siamo propensi a raccogliere tutto quello che conforta le nostre opinioni e scartare quello che non ci piace. Nel bambino e nell’adolescente è per così dire naturale, nell’adulto è patologico, ma senza una sana educazione il danno è già “belle che fatto”. Destrutturare in seguito è un bel problema e in genere non avviene. Quindi a conclusione, non solo si parla per esempi ma vengono scelti quegli esempi che più ci piacciono. Un doppio nodo.
Ne nasce una confusione terribile, il livello della discussione è bassissimo e questa è la televisione. Per comprendere: “questa è la televisione” è una generalizzazione lecita, come tale non esprime la totalità, ma la buona o ottima parte. Una o due “deviazioni standard”.
Tutto questo non significa affatto che in una discussione “non si possano fare esempi”: l’esempio va fatto ed è opportuno, ma solo a chiarire l’enunciato. Quello che è illecito è confutare l’enunciato attraverso l’esempio.

Per concludere, generalizzare è sempre lecito e auspicabile quando si parla di  quello che per lo più accade, come ad esempio è lecito e non razzista dire i sud americani sono…, gli statunitensi sono, i milanesi sono … etc; è utile e doveroso trovare caratteristiche tipiche per ciascun gruppo sociale, importante è trovare verità oggettive non soggette a pregiudizi che si manifestino come tali. L’espressione “generalizzare è sempre sbagliato” è sbagliata, generalizzare è illecito se quello che caratterizza il gruppo viene applicato al singolo e se quello che caratterizza il singolo viene applicato al gruppo.

Queste regole sono assolute sia in campo fisico che in campo morale e costituiscono banalità di base. La difficoltà nasce quando dal campo fisico quantificabile si passa al campo morale non quantificabile o meglio quantificabile solo secondo opinione ma tenuto presente che le opinioni, come testé dimostrato, non sono equipollenti e per dirla con Platone ci sono opinioni e opinioni giuste. Le opinioni giuste sono quelle che operano secondo logica. Le opinioni che invece non operano secondo logica si definiscono opinioni ignoranti. Di fronte alla frase “è difficile trovare lavoro”, Vittorio Zucconi, giornalista e scrittore, ha risposto “non è vero, mio figlio…” e  Zucconi è a mio parere uno dei migliori.

Le regole di logica morale sono ben altre di quelle ora espresse ma anche la semplice conoscenza di queste regole cambierebbe il volto all’intero sociale umano. Del resto in questo sociale una materia come logica morale è sconosciuta. Solo la cultura ci salverà.




Senza cultura non c’è sinistra

Cultura, xenofobia e razzismo sono legati. Il grande assente è la morale. Ad ogni generazione una nuova ondata di barbari, come scriveva Nietzsche, in pochi anni  dovranno raggiungere il livello di civiltà che una società ha conquistato in migliaia di anni. Valori inerenti le leggi, la giustizia, la morale individuale, l’etica sociale ai fini della convivialità, dovranno essere di nuovo insegnati ad ogni generazione.

Se questo compito non viene assolto avremo una regressione dello spirito, dello spirito di un intero popolo e dell’intera nazione. Questo è certo. Orbene il pensiero unico economico, di matrice neoliberista, tende a escludere e ha escluso dalla scuola l’educazione civica ossia l’insegnamento di questi fondamentali importantissimi irrinunciabili valori, condannando intere generazioni a quello che  ora le ricerche chiamano “analfabetismo funzionale”, li ha esclusi per creare i nuovi schiavi i “servitori d’azienda”.

La buona scuola?! 
Ora la marea ignorante xenofoba e razzista cavalcata dalla destra sta montando in tutto il mondo grazie ad analfabeti morali quanto ricchi “uomini del fare” che esprimono il loro pensiero con una bestemmia: “a che cosa serve la cultura?” Squallida proposizione che grazie a una mancata educazione incontra il favore e il plauso delle masse. Il pensiero debole è forte con i poveri di spirito. La cultura, confusa con “arte e spettacolo”, che sono meri strumenti della cosa e non la cosa, dovrebbe essere il bene più prezioso della sinistra ed invece la sinistra fedele al pensiero unico si occupa solo di economia. Per questo la sinistra non esiste.

“In Italia criminalità di 476mila immigrati che per mangiare devono delinquere”
Questo articolo è apparso sul il Fatto quotidiano del 14  gennaio 2018. Leggendo i commenti, capisco come un nano come Berlusconi possa sentirsi un gigante. Infinita amarezza del cuore. Berlusconi é senza scrupoli, non ha nessuna opinione politica e anche se l’avesse sarebbe pronto a sacrificarla alla prima occasione per la minima opportunità. Non gli importa nulla né dei migranti né delle sorti degli Italiani agisce solo come un animale: d’istinto, unicamente per interesse, nel suo esclusivo interesse e il suo interesse sono esclusivamente “soldi e potere”, di conseguenza non gli importa in nulla il valore delle cose che dice, se gli convenisse sosterrebbe anche Carlo Marx. Se afferma ora quello che afferma ossia lo scandaloso binomio “immigrati/criminali” o “immigrati/delinquenti”, sa quello che fa. Queste oscenità non esprimono il suo pensiero, verso il quale gli sprovveduti commentatori si indignano e si scagliano, bensì un’astuzia elettorale sulla base di “ricerche di mercato” “sondaggi di opinione” e ahimè bisogna prendere atto che è questa l’opinione di grandi strati della popolazione, opinione per di più in crescita. Il diavolo è la malevola coscienza che aleggia nel popolo.

Berlusconi, uomo del fare, è nemico della cultura, non è interessato alla crescita culturale e all’avanzamento in civiltà della nazione. E’ un uomo pratico e in merito alla filosofia non ha alcuna idea, credo che per lui sia solo una poco utile materia di studio. Il popolo di cui lui culturalmente è parte e ne rappresenta gran parte, vive in una tale ignoranza da non comprendere che la filosofia è una dottrina volta a migliorare lo spirito individuale come lo spirito sociale. Come potrebbe comprenderlo il popolo quando anche sedicenti filosofi, professori universitari, non hanno compreso?
 Le opinioni di Silvio, ammesso che ne abbia, non le conosceremo mai, almeno mai a fondo, forse non le conosce neppure lui, forse è, come a detta dell’ex moglie, uno psicopatico, fa e dice come colui che dice e fa sempre e solo secondo opportunità. Opportunità e convenienza rimangono le sole grandi dee. Tiene la barca in equilibrio sulla cresta dell’onda, pronto a sfruttare tutti venti, venti ora in poppa ora di bolina. Eppure non deve essere lui a preoccupare, in paesi più civili del nostro non sarebbe nessuno, a preoccupare devono essere quelli che lo votano ai quali deve essere rivolta tutta l’attenzione e l’azione.

Ora a preoccupare sono anche quelli che lo contestano perché sono ciechi e non si accorgono che mentre contestano il feticcio, l’idolo esprime una sconcertante verità sui sentimenti nutriti dal popolo: “migranti delinquenti”, “migranti criminali”, questo venticello è un cancro maligno che si è già diffuso in forma epidemica. La peste xenofoba e razzista è una marea che tende a salire non solo grazie alla propaganda delle destre, ma grazie soprattutto alla mancanza di una coscienza civica che l’educazione non ha saputo dare al popolo, educazione di cui sono responsabili e colpevoli i governi. Ministri con il cervello pieno di soli numeri così si sono espressi: A che serve la cultura? Mi fanno bile!

Lo capite adesso, adesso che masse di migranti arrivano sul nostro territorio e trovano una popolazione affetta da analfabetismo funzionale, a che serve la cultura?!       Una scolarizzazione che si fondi sulla logica, sulla morale, sulla legge, sulla giustizia, sulla filosofia, è il cuore dello spirito della nazione. Sono questi valori fondamentali, sia per l’individuo sia per la società, i presupposti necessitati per un avanzamento in civiltà da introdurre ad ogni livello in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Virtù irrinunciabili considerate diversamente da una platea di dementi meno di niente, nell’idea di una “scuola azienda” fornitrice di robot utili alla  produzione e al consumo.

Orbene, di questa mancata educazione è vergognosamente responsabile la sinistra perché alle destre giova e combattendo la cultura portano acqua al loro mulino.
Buona scuola? Non ci sono parole per descrivere la pusillanimità di costoro. 
Non può esistere una sinistra senza una prospettiva e un programma educativo. In altre parole: una sinistra senza cultura non è sinistra. 
Che mai può importate ora che squallidi giornali con tardivi editoriali del tipo “Le sinistre temono l’avanzata del razzismo e delle destre in tutta Europa”  entrino in contraddittorio con il diavolo quando il diavolo ha già vinto la partita con Dio? Ossia con il popolo. L’educazione e quella cosa che alimenta lo spirito, procura cibo e amore. E adesso una massa informe e crescente di analfabeti funzionali, xenofobi e degenerati razzisti, farà salire sul carro gli “eroi della miseria”, quella dello Spirito cui seguirà a breve quella del corpo. I nuovi eroi parlano dal bancone dei media, sono “gli uomini del fare”, parlano agli avidi, ai corrotti, ai furbi, ai poveri di spirito, ai qualunquisti, a tutti coloro alla cui natura sta più a cuore l’orgoglio della compassione. Non si tratta solo di analfabetismo funzionale, ma di analfabetismo morale. Dove sono finiti gli uomini? Dove é finito l’uomo? 
Come Diogene cerco nella notte con la lanterna l’uomo. Dove sono gli anticorpi? Solo la cultura ci salverà.




La dignità dell’uomo tra fine e mezzo

Anche fatti recenti dal mondo del cinema ci offrono l’opportunità di riflettere sulla questione morale: esiste un minimo comune multiplo tra le denunce tardive di molestie sessuali subite da attrici (e attori) e lo svelamento dei documenti top-secret di cui tratta l’ultimo film “The Post” di Steven Spielberg?  Sì, esiste e si chiama dignità. 

Daniel Ellsberg, ex militare ed economista del Pentagono, nel 1971 svelò al New York Times alcuni documenti segreti del dipartimento della Difesa degli USA su cui stava lavorando. Tali documenti, poi chiamati Pentagon Papers, rivelavano le strategie del governo americano in merito alla guerra in Vietnam. In una intervista apparsa sul quotidiano laRepubblica alla domanda “seguire gli ordini o la coscienza?” Ellsberg così risponde rivolgendosi in particolare a coloro che operano all’interno di un sistema:

(…) Se, tuttavia … dovessero scoprire che i loro capi e le istituzioni per cui lavorano stanno ingannando il parlamento o l’opinione pubblica, allora li incoraggerei a denunciare ai cittadini quello che hanno scoperto servendosi di documenti che lo provano, e agendo a qualunque costo per le loro vite e carriere”.

Si potrebbe limitare il senso di queste parole sottolineando la formazione da “soldato” o la tarda età cui è giunto Ellsberg dopo aver avuto successo nella sua impresa. Ciò allegerirebbe il peso del confronto con le nostre comuni esistenze. Tuttavia, non possiamo né dobbiamo dimenticare che molti uomini e donne comuni hanno rinunciato persino a vivere, figuriamoci per una carriera cinematografica, pur di non accettare il sopruso, la menzogna, l’umiliazione.  Su  tali sacrifici si sono fondate le libertà e diritti che oggi tanto spesso e orgogliosamente invochiamo e rivendichiamo.

Scrive Hannah Arendt in Responsabilità e Giudizio : “Un fatto del mondo è sempre qualcosa che è diventato tale (come si deduce dall’etimologia latina della parola: fieri – factum est) . In altre parole, è abbastanza vero che il passato ci assilla, poichè la sua funzione è appunto quella di assillare come uno spettro noi che viviamo nel presente e desideriamo vivere in questo mondo così com’è, ossia com’è diventato”.




Uomini che odiano la morale.

Gli uomini del fare scelgono il male che ritengono essere il minore (Di Maio  o Berlusconi? Scelgo Berlusconi), d’altra parte per loro la politica non è un fatto morale. Così parlò Scalfari, detto Eugenio: “La politica è una cosa diversa dalla morale, la politica è un fatto di “governabilità”, non l’ho detto io l’ha detto Aristotele e prima di Aristotele lo ha detto Platone. Per Platone quelli che facevano la politica erano i filosofi, che cosa poi i filosofi fossero moralmente è un problema che né Platone né Aristotele prendevano in considerazione. Aristotele fu l’insegnante di Alessandro Magno, il quale Alessandro Magno della morale se ne fotteva nel più totale dei modi”.  Simili affermazioni rivelano che Scalfari o non ha mai letto Platone o le poche letture fatte sono state male educate e superficiali. L’ignoranza, quella di tutti, è tale che Floris, pubblico in studio e a casa, pensando a Scalfari come a persona colta, che ha conosciuto il potere da vicino e intellettualmente onesta, avvallano senza battere ciglio le sue grottesche affermazioni. Altro che fake news.

Quanto segue vorrei fosse ben compreso perché questa separazione tra morale e politica e tra governabilità e morale sta alla base di tutto il fraintendimento e il marcio sociale.
Orbene, innanzitutto è bene sapere che Platone ha fatto della morale il tema, il leitmotiv di tutta la sua opera e di tutta la sua vita in quanto il suo massimo sforzo sociale è stato proprio cercare di portare la morale in politica. Senza dimenticare che prima di lui la filosofia non ha nome, per Platone non esiste filosofia se non è anche ethos, ovvero  filosofia morale. Infatti, in quello che viene ritenuto il suo capolavoro, Il simposio, l’eroe è l’Eros, l’amore come massima virtù morale e il suo premio è l’Agaton, il Sommo Bene, il supremo valore etico. La filosofia per Platone è “Amore della Sapienza” e la Sapienza non è, come poi inteso e maturato da Aristotele, solo conoscenza, la Sapienza è in uno “pensiero-amore”, non l’uno senza l’altro (logos e pathos). Il pathos è l’emozione che regge il mondo e guida il pensiero: la lingua esegue quello che il cuore comanda (vedi anche il Libro dei Morti degli antichi Egizi).

Per comprendere che cosa sia l’amore per Platone bisogna capire l’amore celeste, quello con l’A maiuscola (degenerato nell’intendimento volgare come amore senza sesso), amore che si contrappone all’amore volgare,  l’amore che si fa. La frase che segue è una metafora che servirà a metterci sulla strada per chiarire il concetto. Dice Platone: “Un bravo medico (vale anche per il politico, ndr) non è un medico capace, ci mancherebbe altro, ma uno che si prende cura del paziente”. Invito a fare attenzione all’apparente banalità con cui Platone si esprime, in verità le sue proposizioni (“sembra che dica cose banali”) sono abissi senza fondo. Platone considera la “capacità” come una condizione indispensabile di cui non si deve nemmeno discutere, ossia una condicio sine qua non necessaria ma insufficiente; la scavalca, va oltre e fissa l’accento sul gruppo aggiunto al periodo che definisce compiutamente che cosa si debba intendere per “bravo”: “uno che “si prende cura del paziente” . Si comprende allora che l’obiettivo vero e ultimo è “il paziente”, l’uomo; e chi è il paziente se non l’altro da sé, il nostro prossimo bisognoso di cure? Si comprende altresì che il modo è la “cura”, ossia, detto altrimenti la comprensione, la compassione e la misericordia che fanno della cura un atto dovuto, un dovere deontologico assoluto, senza considerare il soggetto agente.  Dunque, senso morale dell’essere e dello Stato. Questa altissima virtù che ha nome dignità e agisce generosamente in favore del prossimo dimenticandosi dell’io per Platone si chiama Amore. E chi è affetto da questo amore ha amore per una sola cosa la Verità.

Confrontate ora tale uomo con un individuo che da una posizione di potere afferma “Chi non fa i propri interessi è un coglione” (Berlusconi detto Silvio). Non vi sembra di precipitare dalle stelle alle stalle? Nella “cura” Platone esprime moralmente quello che per Kant diverrà l’io categorico, “ la morale dentro di me”, ossia l’agire che governa la vicenda umana in senso sia etico che morale. In questa aggiunta: “prendersi cura del paziente “ è espresso poi l’amore nella sua forma più alta e sublime, qual è l’amore per la verità morale come unica via per il Sommo bene.
Ora, Sgarbi detto Vittorio, a suo tempo citando Croce, ebbe a dire “se sei malato non cerchi un medico buono ma un buon medico, un buon medico non è un medico buono ma un medico capace”. Su questo “capace” tutto l’accento. Lo Sgarbi pensiero lì giunge e lì si ferma. A questo Platone risponderebbe “ci mancherebbe altro!”, ma non è questo il punto il punto è il paziente e la sua cura. L’impegno a considerare il paziente, ossia l’uomo, il centro e il fine dell’azione del medico (ovvero del politico) fonda per Platone tutta l’azione di governo e l’etica diviene la scienza della morale intesa a governare i nostri costumi, scienza politica, della polis, volta nell’interesse dell’uomo attraverso la cura a trovare l’Agaton, il Sommo Bene, la migliore e più felice convivenza . Mi fermo.

Riconsiderate ora le parole di Scalfari e capirete che abisso di ignoranza sostiene il pensiero di quest’uomo e di altri come lui. Meditate anche come la filosofia lontana dall’essere un’arte astratta sostenga invece tutto il pensiero moderno. Infatti, se si toglie la centralità dell’uomo, si perde l’umanesimo e anche il cristianesimo, sia il pensiero laico che religioso. “Le cerimonie sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le cerimonie” sono parole di Cristo e la proposizione viene ora ribaltata, l’uomo è fatto per l’economia e, non c’è confine al tormento, per la finanza. Così l’uomo è moralmente dimenticato, usato solo come risorsa umana ai fini produttivi. Separando la morale dalla politica si dà corso ideologicamente al  pensiero unico-economico, ossia al neoliberismo e alla idolatria del Mercato. Scalfari, detto Eugenio, è un personaggetto vittima di questa povertà spirituale che purtroppo, essendo nella testa di tutti e nel cuore dei più, domina con diversa sorte questo primitivo pianeta. Il rifiuto della massa, e non solo della massa, per la cultura avvalla di fatto il potere dei mediocri. Solo la cultura ci salverà.




La modica quantità della morale

imagesQuando una realtà è “stabile e duratura” l’obiettivo da porsi per contrastarla è “ridimensionarla nei limiti fisiologici“. La questione morale si affronta dunque con la ratio della modica quantità. No, non stiamo parlando di stupefacenti, ma di corruzione. Questo il logos di Raffaello Cantone, come si evince dalla sua  intervista rilasciata su La Repubblica. Potrebbe trattarsi di una ennesima espressione di quel pensiero debole   (relativismo assoluto) tanto diffuso che dopo faticose analisi prende atto realisticamente del mondo per adagiarsi poi sul “così fan tutti”. La realpolitik dei moderni “uomini del fare”. Purtroppo si tratta, invece, di una dichiarazione fatta da un rappresentante non solo delle Istituzioni, ma proprio di quella Istituzione preposta a combattere la corruzione: l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Bisognerebbe indignarsi per la povertà dello spirito, per lo spirito superficiale, qualunquista e per questo volgare di quelli che in aria di sapere filosofico sentenziano “sempre”, “è sempre stato così”, “ci sarà sempre” o “mai. Passi per il popolino, la cui filosofia non viene opportunisticamente mai criticata, ma quel pensiero debole appartiene anche alla schiera dei “politici” o degli “intellettuali” che nelle stesse radici filosofiche fondano la loro azione e il loro pensiero.

Laddove bisognerebbe cogliere l’evoluzione dell’essere dello spirito da zero a infinito, lo spirito della natura come quello della storia, il cambiamento che giustifica nella fysis il nascimento e il motore dell’essere, di fronte ad emergenze esistenziali che da millenni stravolgono l’esserci, ebbene di fronte a tanto divenire le eccelse menti sanciscono “è inutile, la corruzione ci sarà sempre” e parlano di una “patologia fisiologica”, a regime.

La povertà delle loro anime, la miseria del loro spirito sarebbero solo meritevoli di profonda compassione se non fosse che il pensiero debole e il basso sentire facessero parte considerevole e integrante del popolo di barbari a cui ancora apparteniamo. Pensate or per voi se avete fior d’ingegno se, ma solo per esempio, una scienza ancorché ancora empirica come la medicina ragionasse con ugual ingegno ed un medico di fronte ad un tumore dicesse “è inutile, la malattia ci sarà sempre” e si arrendesse alla patologia dichiarandola fisiologica. Demenziale. L’allocuzione, priva di senso, non dovrebbe trovare alcun destinatario, di nessuna utilità.

Chi dice sempre o mai a proposito di patologie sociali, qualsiasi esse siano, denuncia in sé una sterile, misera, insipiente dimensione dello spirito, né ci si potrà attendere da costoro parole o azioni che possano in alcun modo giovare al cambiamento. Arresi in nuce non daranno germogli, ma solo palliativi, spesso ipocriti e interessati, si preoccuperanno diversamente di conservare cadaveri nella ghiacciaia come immagine del proprio fallimento che si vorrebbe quello di tutti. “Sempre e mai” detti con rassegnazione, sospiro dell’anima nel tentativo di cogliere la profondità dell’umano destino: sospirano per paura di respirare. O detti con realismo, realismo che fotografa la realtà pensando al presente con un’immagine cristallizzata dell’eternità. Il “qui e ora” domina la scena e condanna qualsiasi volontà di cambiamento come utopia. La schiera dei senza tetto popola l’essente. Cinici o depressi, vogliono tutti giù nel baratro insieme a loro.

Dal nichilismo cinico di Giuliano Ferrara, quello che trasuda nell’intervista a Gad Lerner su LaF del 14/01, secondo cui “la corruzione è una malattia endemica. Qualcosa che è stato e sempre ci sarà. Un fatto marginale, un parassita indebellabile. Inutile preoccuparsene , vano occuparsene. Perdita di tempo e di energie: ci pensi la magistratura. Gli scandali servono solo al giornalismo per pubblicare. E poi … cos’è questa balla che le tangenti le pagano i contribuenti, anzi anche i contribuenti alla fine fruiscono benefici dalle tangenti. Pensiamo alle cose serie, ai ponti alle autostrade”  alla rassegnazione realistica del  ” Non riusciremo mai a sconfiggerla (la corruzione, ndr.) del tutto perché nessuno degli stati moderni ne è indenne” di Raffaele Cantone, il male, perché del male si tratta, viene considerato una patologia-fisiologica, e su questa grande verità si fonda il loro pensiero e l’azione che si limita ad accettarne una modica quantità. Inconsapevoli e insipienti predicano e agiscono a partire dalla povertà filosofica del loro grande e profondo sapere.

Ma quello che più ancora dovrebbe indignare è che nessuno da nessuna parte sollevi obiezioni. Sarebbe interessante ascoltare nel merito i commenti dei cavalieri della società civile, quelli che “i principi non sono negoziabili“. La verità è che nel nostro Paese non si ascoltano le parole della predica, ma solo il pulpito che la promana e si accetta il pensiero per adesione emotiva e di parte in ossequio alla simpatia per il personaggio affidandosi non al verbo, ma all’autorità. Appartengo dunque sono. La rivoluzione luterana deve ancora avvenire nella laicità del nostro paese. Solo la cultura ci salverà.




Furbizia di Stato

images-7Dai personaggi della Commedia all’italiana interpretati tra altri da Alberto Sordi e da Vittorio Gassman a quelli che popolano “La Grande bellezza”  la figura del furbo, il simpatico mascalzone che sa come vivere, avrebbe dovuto denunciare il mal costume nazionale, invece è finito  con l’essere assunta come modello da imitare. Rimane nella testa dei più che la furbizia sia un valore assimilabile all’intelligenza, mentre l’altruismo riconducibile alla “coglioneria”. Furbo è colui che approfitta di una situazione per avvantaggiare sé a discapito di altri. Chiaramente il sociale non si avvantaggia della furbizia, ne soffre. Cambiare questa mentalità non è certo facile, occorre come ha detto recentemente un magistrato un intervento a breve con le leggi e uno a lungo termine con l’educazione. Quello che non ha detto è che bisogna partire subito, perché stiamo rapidamente regredendo sotto la soglia della civiltà.

Orbene, il governo Renzi dopo avere annunciato “mai più condoni” ha varato di recente una legge per il rientro di capitali che di fatto è un condono, ma per raggirare l’ostacolo ha coperto l’operazione con un divieto, il divieto di chiamare la legge un condono. Per due anni ci hanno raggirato facendoci pensare all’Imu come un problema di vitale importanza, mentre nascostamente aumentavano le tariffe, poi dal nulla è apparsa la Tasi, tassa servizi indivisibili, che di fatto si basa sul reddito della casa. Questo e molto altro.

Non vogliamo discutere di queste questioni, ma solo spostare l’attenzione dai fatti al comportamento. Comportamento non solo di questo governo ma per inveterata abitudine anche di tutti i governi che hanno preceduto che non hanno mai perso occasione in una costante logica dell’emergenza di taglieggiare indebitamente gli Italiani ora con nuove tasse laddove potevano colpire e con nuovi condoni laddove non riuscivano a colpire. Fare cassa, questo è il realismo degli uomini del fare, in barba a qualsiasi morale. Come definire il comportamento di chi agisce costantemente a raggirare, eludere premiando la disonestà e colpendo chi non può fuggire, occupandosi nel mentre dei propri interessi privati? I Governi sono dunque governi di “furbi”, che portano a esempio la “furbizia” come metodo di vita: questo l’insegnamento pratico, questo l’insegnamento che più incide sulla mentalità dei cittadini.

Vessando i cittadini in ossequio ad una malintesa realpolitik, agita sempre sulla base della sola emergenza, si giustifica il senso di sfiducia nei confronti dello Stato e l’orgoglio di essere Italiani confligge con lo sfiduciato interesse che i cittadini hanno per la propria Nazione e le sue istituzioni. Governi che non hanno neppure la nozione della “correttezza”, della sua fondamentale importanza per l’immagine, senza dare all’immagine l’importanza dovuta così come avviene diversamente per esempio nei paesi “nordici” e che per questo si distinguono e differenziano in civiltà e aggiungiamo noi in ricchezza perché alla lunga solo la morale paga.

Di contro alla continua vessazione perpetrata attraverso una cattiva morale i cittadini cercano privatamente di vendicarsi facendosi a loro volta “furbi” e, stante la confusione imperante nella testa di tutti tra Governo e Stato, cercando di “fottere” lo Stato in ogni occasione. In pratica un Governo che in nome del realismo e dell’emergenza non si attiene a principi di correttezza e moralità, ma educa piuttosto i cittadini alla disonestà. Questo piano inclinato scivola inevitabilmente verso la corruzione e il disseto economico. Il destino della furbizia è inevitabilmente la corruzione. Un domino che spinge dal basso. Inutile tagliare la testa, ricrescerà velocemente.

Non si tratta solo di osservare le leggi, ma di educare alla moralità. Onestà e correttezza da parte di tutti sono il prerequisito della convivenza civile, quel minima moralia per cui si possa dire sa va sans dire. La moralità dei governi nordici dista da noi come noi distiamo dall’equatore e quanto ci vorrà perché gli Italiani lo comprendano? Senza diagnosi giusta, magari implacabile, nessuna terapia sarà efficace. Hermes nel Prometeo incatenato dice “bada non c’è confine al tormento”, se non invertiamo la rotta riprendendoci la nostra dignità, magari facendo tesoro degli insegnamenti di Aristotele che anteponeva l’Etica alla Politica e alla Economia la crisi si aprirà sotto di noi come un abisso. Bisognerebbe denunciare il Governo per vilipendio all’immagine dello Stato. La furbizia non rende liberi, solo la cultura ci salverà.




L’importanza di chiamarsi…onesto.

In una ragnatela di fatti quotidiani ci siam forse dimenticati di essere compagni?  A chi si chiede che cosa si debba intendere per cultura è bene   richiamare un concetto fondamentale.  La cultura non si esprime solo attraverso la scienza, l’arte o lo spettacolo, ma nel concreto della vita quotidiana, nelle relazioni sociali tra individuo e individuo e individuo e istituzioni.

Il legame che unisce ogni singolo individuo con il prossimo è di natura morale e si fonda su determinati valori, valori che sono stati vessati nel nostro paese in modo ignominioso negli ultimi vent’anni da una parte politica e trascurati colpevolmente dall’altra.

Il recupero di questi valori è fondamentale per la rinascita.  Con fratellanza e amicizia, da un punto di vista oggettivo, si indica un tipo di legame sociale accompagnato da un sentimento di affetto vivo e reciproco tra due o più persone caratterizzato da una rilevante carica emotiva e fondante la vita sociale, un rapporto alla pari basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità.

Tracciando un profilo del valore e della natura dell’amicizia ci si deve opporre alla creazione di relazioni personali a scopo di sostegno politico per un legame interessato, ma diversamente si deve porre alle fondamenta valori come virtus e probita, onestà intellettuale, al di là  di ogni “cerchia” ristretta, della nobilitas o della casta, in una disperata necessità di rapporti sinceri.

Ricordiamo la Dichiarazione dei diritti e doveri del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione francese dell’anno III (1795), dove la Fraternité, terzo elemento del motto repubblicano, è definita così: «Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere».




L’usuraio disprezza la filosofia e vive dei frutti del suo denaro.

In fondo le cose sono semplici.  Si potrebbe sintetizzare dicendo che il mondo dell’economia deve lottare contro il mondo della finanza per limitarne o impedirne gli eccessi. Parafrasando, la finanza è fatta per l’economia non l’economia per la finanza.

Lavoratori e imprenditori dovrebbero allearsi per impedire alla finanza il default, ovvero impedire di rovinare sia i lavoratori nella persona che l’economia nelle istituzioni.

Bisognerebbe impedire alla finanza di far lavorare il denaro, l’arricchimento in assenza di lavoro; di permettere la “libera” speculazione. Opporre il libero mercato alla speculazione. Libero mercato e speculazione non sono la stessa cosa. “Libero mercato” è un concetto liberista povero e da rivedere.

                                                Barare.1

È noto a tutti che per vincere a qualsiasi gioco c’è un metodo infallibile: “barare”. Barare al gioco consente di arrivare ai risultati meglio e prima di altri.

Questo sistema di vita, di sistema di vita si tratta, si chiama disonestà ma storicamente prima di giungere a intendimenti morali si chiamava “astuzia”. Molti, moltissimi, disonesti (che c’entra la morale con l’economia) ancora lo chiamano realismo, l’affarista è un uomo pratico.

Disonestà e realismo stanno spesso a confine. Senza il sostegno di una morale sono, come anticamente sono stati, intercambiabili.
Anche sul termine “realismo” si dovrebbe molto discutere, ma qui mi preme di analizzare un altro termine: l’astuzia. L’astuzia non è un valore come tutti gli altri.

Ulisse vinse le armi di Achille superando nell’agone il più possente Aiace, grazie all’astuzia.  L’astuzia nel tempo ha prevalso sulla forza fisica e in luogo della forza fisica si è fatta virtù. Dalla notte dei tempi, la furbizia ha fatto dell’uomo il re degli animali.

L’astuzia ci ha differenziato dalle bestie e fatto di noi un nuovo regno. “Callidus” (astuto) è stato per millenni e millenni, non secoli ma millenni, sinonimo di intelligenza e ancora come tale è tenuta dai più, dai patrizi come dal popolo. Pensando “astuto, furbo” un malizioso sorriso si dipinge agli angoli della bocca e gli occhi si fanno più sottili.

È talmente connaturata alla nostra cultura che la furbizia è entrata per così dire a far parte del patrimonio genetico. Un valore trasversale, posseduto e tenuto in stima da tutti; un esistenziale entrato a far parte del sentimento comune e che per questo permette la comunicazione.

Nel bene o nel male al simpatia per questa malcelata virtù con la nostra complicità avvantaggia il potere. Il capo non è altro che il più furbo tra i furbi. Il più furbo di tutti. Stima, ammirazione, riconoscimento o in misura inversamente proporzionale invidia.
Vince chi più è astuto, tutti i mezzi sono leciti per millenni e millenni barare è norma, regola di vita, dal signore al servo.
Importante è non venire scoperti e se si è scoperti: negare, mentire, comprare, corrompere. O anche uccidere. Quanto di del tutto e di ogni cosa secondo epoca e costume.

La morale? Un’impicciona.  “Lo fanno tutti”. “Chi al posto suo non lo farebbe”, “Fossi io al suo posto …” sono adagio popolari; le giustificazioni di tutti. Certo non lo farebbero Cristo e santi, ma appunto  … l’imitatio Christi non è cosa.

In tutte le epoche quindi mentire, comprare, corrompere e se il caso anche uccidere fa parte del gioco. È   stata la norma per tempi così lunghi che si sono tutti abituati e assuefatti a parlare della corruzione come a parlare del clima, del vento. Molti neppure ti ascolano.  Gli scandali?  Talmente tanti e tali da indurre la noia. Del resto c’è sempre stata e non solo ora e non solo qui. “Radio 24” se parli di corruzione, neppure ti ascolta. La corruzione non interessa a chi parla di economia. “… corruzione, sì vabbé,  poi …”. Parliamo di cose serie.  Arroganza.

La disonestà è una malattia endemica, non una variabile interveniente considerata da tutti una costante su cui si deve ma è difficile se non impossibile agire. Fatalismo.

Chi parla di malcostume, di conflitto di interessi, di corruzione sono piagnoni, Savonarola di contorno. Magari da fare all’occasione arrosto. L’astuzia e le sue disoneste conseguenze sono dunque da sempre. Sono un positum storico. Prendiamone atto.

Ma dovremmo ugualmente prendere atto che strada facendo l’astuzia, fatta ormai anche dal popolo virtù, trova nemici. Si fa luce nella storia una novità.  Così come la forza fisica ha dovuto fare posto all’astuzia (milioni di anni per questo) ora l’astuzia si trova di fronte un nuovo più avanzato avversario. Ciò che costituisce emergenza, la novità, è ora un diverso intendimento dell’ intelligenza che vede nella collaborazione anziché nella competizione la possibilità della coesistenza, nasce la morale.

Difficile darle un nome perché ancora oggi stenta ad essere riconosciuta. Tuttavia è un faro che illumina e fa di un popolo quel popolo e per di più definisce di quel popolo i grado di civiltà, un valore storico assoluto. Tanto più un popolo è civile più possiede questo nuovo ingrediente. Un nuovo alimento per lo Spirito. La civiltà di un popolo da questo nuovo ingrediente per intero dipende. Forse è sulla punta della lingua di tutti ma di certo è nella testa di pochi, pochissimi. Oggi degenerato e per certo non in uso.

Rappresenta nel singolo come nelle istituzioni quella che si definisce coscienza politica, la convivialità, l’essere nella coesistenza. Un discorso che pretende un non indifferente impegno filosofico. Questa coscienza definibile comunque come coscienza politica, rappresenta il saper essere da parte dell’individuo nel sociale; un elemento costitutivo della cultura della nazione, il suo patrimonio. La considerazione del prossimo, dell’altro da sé, diviene fondamentale.

Pensate or per voi se avere fior di ingegno che cosa possa significare in questa prospettiva essere guidati da un presidente del consiglio che afferma tra i denti “Chi non fa il proprio interesse è un coglione”. Opinione e sentimento peraltro condiviso dai più, anche dal popolo. Vedi undicesimo comandamento: “fatti i cazzi tuoi”. Risatine d’obbligo. La volgarità spinge sempre al riso.

La Coscienza, quella politica, implica diversamente un fare per gli altri, un “amore per il prossimo”. La compassione cui la coscienza politica si ispira fonda la morale, implica di contro all’individualismo un fare per gli altri, rendere un servizio nell’interesse di tutti.  Un sentimento in essere nella storia solo di recente, poco sentito da se dicenti cristiani che vestono i simboli non occupandosi della cosa (la res, la quiditate, l’essenza).

L’intelligenza politica che dovrebbe essere legata all’intendimento del bene comune, viene declassata ad arte per produrre il consenso, arte per incastrare i gonzi. Confusione tra polis e parte, tra politica e partitica.  L’intelligenza politica rimane pertanto defraudata dal linguaggio e dalla prassi, del suo intendimento; rimane pressoché sconosciuta e quanto mai bistrattata nel nostro bel paese soprattutto da parte di chi sta al potere: una casta che offre modelli di vita, nelle persone che rappresentano il potere come le istituzioni, che depistano verso bassi ideali, assolutamente egoistici, al di fuori di qualsiasi morale.

Il massimo della vita: andare a puttane. Una pornopolitica senza alcun riferimento al sesso o di cui il sesso rappresenta l’aspetto meno interessante è più marginale, se nonché su questi bassi ideali rischia di andare a puttane l’intera nazione. Ancora una volta si confonde moralismo con morale.

Rimane ovvio che chi è al potere deve proporre una strada, una condotta di vita, una strada che sia per tutti e condivisibile da tutti su valori i più alti possibili. La persona conta, conta la sua credibilità.

Di contro la polis, la coinè, il bene comune, la civiltà, si nutre solo ed unicamente di questa emergenza, di questa luce, la compassione, una nuova forma di intelligenza che in sostituzione dell’astuzia e della competitività, vede nella collaborazione il suo ideale.  Si tratta della “Cura”, l’Essere per il mondo.
Questa la Coscienza, questo lo Spirito, questa la Cultura.

Per inciso, il termine da me usato, compassione, nulla a che vedere con la religione anche se posso dirmi felice che sulla compassione le religioni anche se con intendimenti diversi in parte concordino. Dalla sua nascita, lontana ma di certo storicamente più recente, astuzia e compassione entrano in competizione segnando attraverso il prevalere ora dell’una ora dell’altra la civiltà di un popolo.

Furbizia e intelligenza dello spirito, onestà intellettuale, entrano in conflitto. Quello che c’è ancora da rilevare è che questa battaglia è battaglia interiore, di ciascuno di noi, di ogni coscienza. I termini, furbizia e intelligenza, si confondono nella quotidianità in tutti, una chiara distinzione non è ancora neppure nei dizionari. Tutti utilizzano ora l’una ora l’altra con un solo fine: la convenienza, per farsi belli o brutti secondo le circostanze. I più mentono a se stessi. “L’occasione fa l’uomo ladro”. Risatine d’intesa. Tutti. E chi non ride non è di spirito. Siamo tutti complici.

Ebbene, la menzogna e la falsa coscienza sono il cibo preferito da poteri forti e autoritari, quelli che cercano il consenso ai livelli più bassi dello spirito. Disonestà intellettuale, pensiero debole e basso sentire sono il principale nutrimento di poteri disonesti.

Per questo la cultura, la cultura data al popolo è rivoluzionaria.
Se non ci convinceremo di questo ogni movimento progressista che tratti il sociale solo in funzione dell’economia (economicismo = economia senza cultura) è destinato a fallire.

Si dovranno imporre provvedimenti impopolari per risanare i bilanci per un tempo così lungo da scontentare il popolo che in assenza di cultura tornerà a rieleggere “il venditore” alle successive elezioni. Il nuovo Mida non esiterà a trasformare in merda l’oro dello Stato per accontentantare il popolo e così sia nei secoli dei secoli … un gioco senza fine. Alternanza di potere? Democrazia?  Solo la cultura può porre fine.

                                             Barare.2
Il gioco è barare. Chi non sa barare è fesso. O coglione, a scelta. Bari siamo tutti e qualcuno barone, più bravo, migliore nel gioco di altri. Mida il più bravo, riconosciamoglielo. Chi non sta al gioco sono solo gli invidiosi.
Perché il gioco funzioni si gioca al ribasso. Più grande è l’ignoranza, i valori dello spirito sono bassi meglio si riesce a barare. Lo stupido e il complice. Tra i passati valori riemerge la furbizia.

Grazie alla condivisione di questo basso sentimento il grande comunicatore vende i suoi prodotti: soldi, sport e gnocca, i “nuovi” valori. L’ultimo poi è talmente radicato da appartenere anche alle bestie è per certo anche nel DNA. A chi non piacciono?

Chi dice di no è un ipocrita, recita l’uomo del fare o è un intellettuale, una genia ai margini, in genere non pericolosa ma da tenere d’occhio. Spiacente sconfessarlo, piace anche a noi. Ma nessuna illusione: neppure sotto, sotto ci intendiamo.

Finché il popolo li avrà in odio e con essi avrà in odio la cultura per il potere nessun problema. Nessun problema se anche e finché partiti politici e  sindacati guarderanno con sospetto la cultura. Finché della cultura non avranno inteso la risolutiva sostanza.

Mida è un uomo del popolo  che bene conosce il popolo e che del popolo fa parte.  Sale al potere e trova a sostegno il popolo, la sua complicità, il suo maggior alleato. È stato democraticamente eletto dal popolo. Questo è accaduto e sempre accadrà finché il popolo non capirà Cultura e la sua importanza.

Essere furbo è la maggior calamità che oggi possa colpire un uomo! Il raggiungimento dell’onestà intellettuale è un obiettivo imprescindibile per ogni società che voglia chiamarsi civile, non è un soprammobile per il soggiorno è un pilastro per le fondamenta!  Questo lo Spirito, questa la Cultura.

La dignità e la distribuzione del reddito da questo dipendono.
Fare una scelte politica non significa quindi di schierarsi, non si tratta di un appartenenza ideologica, ma di ritrovarsi insieme a persone che la pensano tutte nello stesso modo, e questo modo riguarda un sentire, un sentimento comune che si può attestare su diversi gradi di civiltà. Elevare il sentimento popolare corrisponde a maturare il progresso sociale ed anche economico della nazione.

L’uomo pratico penserà ora che personalmente sia contro i soldi, lo sport e la gnocca, mentre ciò che desidero è solo che questi valori trovino la loro giusta dimensione per lasciare spazio a idealità più alte come la coscienza, la compassione e l’amore e che i predetti valori da queste idealità vengano tutt’altro che annullati ma rivisitati.

La cultura popolare ferma emotivamente all’astuzia non arriva alla polis, vede nella politica solo il marcio che colpisce le istituzioni come il marcio delle istituzioni, e se ne un alibi: “la politica è una cosa sporca”, per votarsi al disimpegno. Il livello è tanto basso che si confonde il fare politica con il mettersi in politica. Avviene così che il “sentimento popolare” si rende nell’ignoranza complice dei carnefici; costoro sono in genere  gente inesperta di politica che porta in politica mentalità affaristiche che affascinano l’uomo della strada, l’uomo pratico, come loro l’uomo del fare.

Non da ultimo ma da sempre le vittime abbracciano i carnefici. Saltano sul carro del vincitore. Meno si dice, più i valori comunicati  sono bassi e più gente si incontra. Sul sesso poi ci incontriamo tutti. Sulla via del fare solo “viva la gnocca” può sconfiggere “forza Italia”. Non la domenica.

                                              Le banche

Per realismo l’uomo del fare mira ai risultati, ovvero al profitto e per realismo ad un particolare profitto: il proprio. La logica è elementare: “se le cose vanno bene … bene per tutti; e se vanno male io di certo non ci rimetto”. Termometri di massima.
Questa grande astuzia  regge i business men, le banche e regge il mondo.

Il risultato è che un flusso continuo di capitali viene sottratto alla circolazione, al bene comune, alla comunità per finire nelle tasche di privati cittadini che si arricchiscono a dismisura fino a possedere la stragrande maggioranza della ricchezza e come utopia il mondo.  Aneurismi che sottraggono linfa in circolo  che impediscono la libera circolazione e a volte rompendosi provocano emorragie interne.

L’uomo del fare,  non sopporta regole che limitino il profitto. Tutto ciò che è contro il mercato (di mercato parla anche per la finanza) è filosofia. Il mondo del resto è palesemente nostro. Tutti lo possono vedere. L’economia è al struttura il resto è filosofia.

“Libertà di guadagnare, e di guadagnare senza limiti” un assioma in essere da sempre: “ un imperativo categorico nella mentalità di ogni uomo del fare. Dal capitalista al servo. L’dea della rinuncia un’eresia. L’uomo del fare ha un’unica dimensione, un’unica scala, quella economica. Unica variante: una diversa distribuzione, ma anche questa con la condivisione e la complicità di tutti. Intendiamoci l’uomo del fare non ha una grande intelligenza, ovvero coscienza politica, ha un’intelligenza pratica e la pratica, lo sanno tutti, vale più della grammatica.

“Una cosa o si può fare o non si può fare se si può fare quanto costa”. “Importante” diranno altri “non è se si può o non si può fare, ma se si riesce o non si riesce a fare”.

Queste alte filosofie reggono il mondo della finanza e le sorti dell’umanità. La morale, le regole, intralci, non computano. Deregulation, liberalizzazione. Che sia la morale quella coscienza politica che  ha permesso la civiltà neppure lo sfiora. Tutto per loro è stato fatto da loro, dall’economia.

La morale non sanno cosa sia, la morale è un fatto privato: “Se vado a puttane sono cazzi miei”, economia e puttane ecco tutto. Volgarità che il volgo ama e condivide. Chi si sente chiamato in causa imputet sibi.

Della politica l’uomo del fare si occupa solo se rende, rende a lui personalmente.  Per il profitto è disposto, suo malgrado, a mettersi anche in politica e far vedere ai politici quelle mummie, come lui, il grande comunicatore, raggiunge in breve il popolo, la maggioranza. E ci riesce. Questa la mentalità, questa la cultura. È la nuova cultura, la cultura vincente.

Dante non fa audience, e Sgarbi paladino della cultura si fa complice dell’ignoranza di gente che pensa a fare panini della Divina Commedia. La cultura ci parla con la bellezza e con l’amore. Di poteri ignoranti i più grandi alleati sono la disonestà, il pensiero debole e un basso sentire, valori o disvalori, indispensabili da condividere con il popolo per la vittoria.

Di contro combattere l’ignoranza, la disonestà, il pensiero debole e un basso sentire, devono essere prima e al di sopra di qualsiasi necessaria manovra economica, nel  programma di ogni movimento progressista. Non vedo nulla di tutto questo in nessun programma, non vedo l’alba. Non vedo il sol dell’avvenir. In fondo è semplice, ogni volta che ci alziamo dal letto basta chiedersi per ogni azione, è conveniente o è la cosa giusta.  La cultura contro il capitalismo.

                                  L’uomo del fare

Per l’uomo del fare misero o ricco che sia, gli “eccessi” della finanza sono il suo profitto. Considera lecito, legittimo far lavorare il denaro. Tutti concordano. Nessuno pensa che se c’è stato un guadagno in borsa, in una compravendita, in una speculazione finanziaria, i soldi “guadagnati” qualcuno deve aver lavorato per produrli. Che c’è stato qualcuno che materialmente  con il proprio lavoro quel guadagno ha prodotto e che per produrlo ha dovuto lavorare, che tutta, tutta la ricchezza, si tratti di beni o di servizi, viene dal lavoro.  E se dal lavoro non viene al lavoro sottrae, ruba.

Ma se si può far lavorare il denaro, se far lavorare il denaro è lecito, per quale motivo dovrebbe rinunziarvi? Quanti anni alla Bocconi per fare un broker, perché un “derivato strutturato” mandasse a gambe all’aria un intero pianeta?. Un’ottima annata, o uno tsunami economico che farà per certo a conti fatti più vittime di quello naturale.

L’avidità guida la finanza, guida ogni suo pensiero prima ancora di ogni sua azione. In morale è agnostica. Realismo è la parola chiave. L’azione precede il pensiero, come nella borsa sventolii di braccia tese, nessuna riflessione. Degli altri di filosofia non vuole sapere.

La filosofia è per tutti una materia letteraria per studi all’università. Una materia scelta da un numero sempre minore di sfigati per questioni di gusto: “mi piace”. Appassionante, profonda. Nessuno ne capisce il senso, l’importanza.  Le università che insegnano filosofia insegnano una materia il cui scopo non né le è in nulla chiaro. Non entra nell’economia, non  crea posti di lavoro, per i più un parassita, per gli economisti senz’altro da eliminare o al più da tenere come reliquia, vestigia del passato.

Un incomprensibile insegnamento che ha ostacolato in passato la strada all’economia e alla finanza e che ancora oggi rischia di mettere grilli nella testa agli studenti. Per fortuna ora grazie ai docenti la filosofia si è ridotta a “storia della filosofia” e la filosofia è definitivamente morta. L’idea di educare lo spirito neppure li sfiora. Né loro né chi la studia.

                                  Contano solo i fatti

“Fatti e non parole” è mentalità radicata in tutti, un basso valore trasversale, dai potenti ai servitori, da destra a sinistra. Una mentalità che permette logiche di potere e al potere di essere logico. La logica si lega allo spirito e lo spirito al mondo, da ultimo un basso sentire trova tutti concordi.

Tra l’altro “fatti e non parole” sono solo parole. In tutti nessuna riflessione. Ciò che accomuna tutti è l’odio per le parole. L’odio per la cultura.

Suona nelle orecchie del popolo un altro adagio “troppo spesso gli intellettuali hanno tradito il popolo”. Hitler, Stalin, Pol Pot e così via erano intellettuali o piuttosto gente del popolo che odiava la cultura? Tutti i dittatori vengono e sono amati dal popolo e odiano la cultura.

Avete mai sentito che uomini di cultura appartenessero in maggioranza alla destra? Gli uomini di cultura a destra sono una rarità ma a sparlare degli intellettuali non sono le destre ma le sinistre. E ancora ne diffidano.

Odio per gli intellettuali, per tutti coloro che nella riflessione vorrebbero la coscienza, a cultura va ben solo se è spettacolo; della cultura bisogna solo godere. Vedere bei quadri, bei film, leggere bei libri. La cultura degli “oh bei o bei”.

Che cultura significhi mentalità, critica e autocritica, avanzamento dello spirito nessuno lo pensa. Faticoso. Fatti dunque e non parole.  Barare, usare l’astuzia per emergere, è indubbiamente un fatto. Ma un fatto tanto incancrenito nella cultura popolare da essere entrato a far parte della sua filosofia, filosofia di vita: “che ce vo’fa’, guagliò”; un malcostume  tollerato quando non compiaciuto e condiviso. Il paraculo è per molti un ideale, per altri un simpatico mascalzone.

L’inadempienza alle regole non viene solo tollerata ma volte premiata (anche dai governi: condoni) senza che nessuno se ne scandalizzi. Tremonti, un uomo del fare viene tacciato di moralismo. “Che c’entra la morale con la politica? Non facciamo i moralisti”.  Confusione, ignoranza abissale : si confonde la morale, la Dea, con moralismo, la degenerazione, l’idolo.

Molto, molto sarebbe da aggiungere, ma qui mi fermo.                 In fondo le cose sono semplici, ma la semplicità non è un punto di partenza ma un punto d’arrivo quando lo spirito è maturo.

In definitiva per arrestare gli eccessi della finanza, il turbo capitalismo, è indispensabile la cultura. Dare cultura al popolo deve essere il programma delle sinistre. Portare al popolo la Coscienza politica l’obiettivo.

La miseria del popolo non è solo economica e se la Cultura non interverrà anche la miseria economica in strettissima dipendenza sarà inevitabile.  Finché in democrazia saranno eletti dal popolo poteri che il popolo rispecchiano nei sentimenti più bassi e che al popolo ancora appartengono non potremo vedere l’alba.
Beceri populismi da ogni parte hanno affossato e ancora impediscono la storia.

“Anche noi” dice Bersani ”siamo capaci di misure impopolari”. Bravo asino. Misure impopolari non sono misure economiche che diminuiscono i soldi in tasca alla gente, misure che la gente percepisce come impopolari, misure contro il popolo sono  misure che ne offendono la dignità.

Tutti siamo pronti a collaborare se la nave affonda, non è stringere la cinghia che spaventa, spaventa la paura del futuro la mancanza di sicurezza, spaventano la precarietà, i licenziamenti, spaventa essere lasciati fuori. Spaventa la Necessità a cui la finanza si appella per decidere i nostri destini. Inorridisce sapere che chi ha provocato il disastro sta e starà sempre a piedi caldi, sgomenta sapere che ci sarà anche chi dalla crisi ci guadagnerà.

Che si chieda a noi e solo a noi di rimediare a guai che altri hanno procurato. Ma neppure lo si chiede, lo si impone, lo si impone a dispetto di conquiste secolari con grave sofferenza del “patto sociale”. Non è il welfare state che vogliamo, non siamo insensibili alle sofferenze del pianeta, volgiamo sia rispettato il Patto sociale. Rivedere il patto sociale al ribasso non è solo demenziale, è criminale. Saranno inevitabili i conseguenti disordini sociali le cui cause non sono certo da ricercare in innocenti disperati attori pestati a sangue dalla polizia.

Uguaglianza sociale. Equa distribuzione dei sacrifici. Sicurezza del lavoro, consenso, collaborazione, e soprattutto dignità, sono parole d’ordine imprescindibili. Chi ha più sbagliato più paghi. I colpevoli responsabili della crisi devono essere esautorati e puniti. Licenziare i banchieri. Licenziare i brokers. Licenziare la borsa. Licenziare tutti coloro che fanno lavorare il denaro.

Chi dovrebbe farlo? Ovviamente chi ne ha il potere: i governi sovrani. Sovrani di che? Non solo i responsabili non vengono puniti, non solo quasi tutti conservano il loro posto, ma continuano imperterriti sulla vecchia strada, continuano a speculare, chiedendo al popolo di sopportare per intero la crisi togliendo al popolo non solo il welfare state ma anche i patti sociali, regole che i lavoratori hanno realizzato in anni con sacrifici e lotte. Questa la “modernità” richiesta dei mercati.

L’ obbiettivo è destabilizzare il Patto sociale, la crisi pur reale diviene un alibi per riconquistarsi il terreno perduto, un alibi mascherato dalla necessità dell’economia, della finanza, del capitalismo.  Liberalizzare? … privatizzare … Certo con un  governo come questo … prima tolgono la spina e poi dicono che non funziona.

“ … e perché l’usurier  altra via tene,
per sé natura, e per la sua seguace
dispregia, poi ch’in altro pon la spene”.
(Dante, Inferno, XI, vv. 109,111)