La paura della verità alimenta il terrore

12832316_1771238819771858_7155826556372205959_nSe il terrorismo non va confuso con la crisi migratoria, è altrettanto vero che la pulsione xenofoba strisciante in Europa non è razzista e non va confusa con la crisi della democrazia. I contriti democratici dovrebbero piuttosto considerare l’ondata xenofoba anch’essa come un’espressione della volontà popolare a cui amano richiamarsi.

Oggi siamo di nuovo in lutto per altre vittime di attentati jihadisti a Bruxelles, nemmeno il tempo di rincuorarsi dai precedenti con la cattura di un responsabile al Bathaclan. La paura dilaga e nemmeno più ci si può abbandonare all’adagio rassegnato de “l’ordine regna, ma non governa” perché il terrorismo c’è ed incalza con una velocità del proselitismo jihadista tra giovani europei (cosiddetti “homegrown mujahidin”) che è uguale, se non superiore, a quella della crescita del sentimento xenofobo. Ma cosa temere di più: l’azione sanguinaria e spettacolare compiuta da Salah Abdeslam a Parigi o la copertura silenziosa del suo autore per quattro mesi nel quartiere Molenbeek di Bruxelles? La stupidità giornalettistica si agita di fronte a tali eventi descrivendoli attraverso titoli e commenti dai toni della cronaca nera, stile a loro più familiare: a quando un terrorista jiahdista, magari pentito, intervistato a “Porta a Porta”?  Anche da ciò si capisce cosa significa “società dello spettacolo”, dove la paura di fronte a tali eventi altro non è che la proiezione della nostra passività, ipocritamente ammantata di principi democratici e ostentata dal politicamente corretto. Passività nostra di singoli cittadini, ma anche degli Stati e dei Governi. È singolare l’asimmetria che si osserva tra le valutazioni dell’Europa rispetto alle sue crisi. l’Europa infatti non esiste come entità politica quando si tratta di decidere sulla finanza, sulla politica fiscale, per affrontare l’immigrazione o agire contro lo Stato Islamico, ma esiste quando è oggetto degli attentati terroristici, quasi fosse un unico corpo: “Is, guerra all’Europa” titolano i quotidiani.

Lucio Caracciolo nel suo articolo “La crisi migratoria rivela chi siamo veramente” apparso su La Repubblica del 29/1/2016 non si capacitava di come la Svezia, paese di indubbia solidità civile e di tradizione politica socialdemocratica, possa essere giunta alla decisione di espellere 80 mila migranti dopo aver sostenuto una politica modello di accoglienza . Da questa decisione per l’espulsione l’analista trae la preoccupazione circa l’instaurarsi in tutta l’Europa di un circuito perverso di azioni e reazioni irrazionali che tendono ad uscire dal controllo: intervento militare contro lo Stato Islamico- azioni terroristiche dello Stato Islamico in Europa – reazione xenofoba delle popolazioni europee.

Il titolo dell’articolo di Caracciolo parafrasa la ben nota verità secondo la quale nello stato di emergenza, di fronte ad un reale pericolo, uno stato di limite, noi riveliamo la nostra vera natura. L’istinto di conservazione tende a prevalere sulla educazione civile rendendo quell’esposizione al limite un test del grado di civiltà raggiunto. Ed è per superare questo test che nella specie umana si è evoluta per oltre due milioni di anni  la cultura come  una forza più efficace della natura stessa. Tuttavia, come insegnano le leggi della fisica, il progresso della cultura, ovvero della civiltà di un popolo,  è uno equilibrio instabile: tanto più alto è il livello raggiunto tanto maggiore sarà l’energia necessaria per mantenerlo e basta poco per farlo ricadere a livelli più bassi. Terrorismo, emergenza, livello di civiltà sono esemplificazioni del concetto di  limite che descrive nella progressività degli eventi l’avvicinarsi ad una data situazione ed anche la logica ci aiuta a comprendere tale situazione quando dimostra che la coerenza di un sistema è tale proprio perché non può essere dimostrata.

Dove sta la democrazia in tutto questo? Sarebbe stato meglio mantenere i dittatori al potere piuttosto che inneggiare alle “primavere arabe”?          Alla fin fine, la questione che gli ultimi quindici anni hanno posto e che ci occuperà per il prossimo futuro è se si può praticare la democrazia quando la si deve difendere dagli attacchi che ne minacciano l’esistenza ? Il fatto è che si sono confusi i principi con i valori, la volontà con il potere, con il modo di governare, più in generale la libertà con il laissez faire, laissez passer. In una delle tante chiacchierate lascive che si svolgono in televisione i presenti si arrovellavano sugli effetti nefasti per la nostra vita quotidiana e per l’economia  dovuta alle limitazioni al turismo per la paura indotta dal terrorismo, sforzandosi di rassicurare gli spettatori: “non rinunciate a viaggiare perché fa parte della nostra cultura … e poi si crea un danno all’economia di quei paesi che vivono sul turismo…”.

La coscienza delle ultime due generazioni europee è stata intorpidita da una condizione di benessere artificiale e  irresponsabile scambiandola per la “pace” quando in realtà si trattava di “pacificazione”, di sottomissione al pensiero unico dell’economia . Il “pacifismo” peloso inneggia al laicismo, all’armonia e solidarietà tra i popoli dimenticando i sacrifici dei padri, rifiutando di conoscere che quei principi e i valori democratici attraverso i quali si aspira a realizzarli sono costati sangue a centinaia di milioni di persone delle generazioni precedenti: rivolte di schiavi e oppressi, guerre di liberazione, rivoluzioni sociali, guerre per l’unità nazionale ed anche guerre mondiali. In particolare, proprio quei principi universali di libertà, eguaglianza e fraternità che oggi si invocano ogni volta che l’altra parte del mondo rivela la propria arretratezza culturale si sono prima diffusi con la cultura dell’Illuminismo e poi imposti con la violenza della Rivoluzione Francese (per non parlare delle guerre con le quali Napoleone intese esportare la “democrazia” in Europa).

Tornando al presente, noi dobbiamo temere il fenomeno che è stato denotato come “ondata xenofoba”, che in varie forme e intensità avanza in sempre più numerosi paesi europei, non tanto perché esso possa far riemergere sentimenti razzisti, quanto perché quel fenomeno rivela la malattia senile delle nostre democrazie, ovvero la nostra incapacità a rinunciare sia pure in stati di emergenza ai nostri previlegi per difendere i nostri principi e valori. Questa è la vera asimmetria della guerra  in atto: l’opinione contraria ad ogni forma di violenza diffusa tra i cittadini europei di fronte al fanatismo religioso di uomini che cercano la morte usando se stessi come un’arma. Una battuta del film “Il ponte delle spie” ci aiuta a comprendere lo stato d’animo e il livello culturale con cui milioni di persone affrontano oggi gli accadimenti tragici del mondo: “Dimmi che non sei in pericolo, dammi qualcosa a cui aggrapparmi. La verità non mi interessa”.

 

 




Kalashnikov e Toyota

055502942-0b7f5f60-73de-44f0-8081-0d36b68a60fdAdesso sappiamo che l’arruolamento nelle  milizie dell’ISIS è un lavoro regolato da un contratto: conversione all’Islam, adesione alla guerra santa con turni di combattimento fino a 16 ore in cambio di uno stipendio fisso, una scheda di valutazione con premio di produttività (numero uccisioni e/o ferite subite),

permessi matrimoniali, droghe gratis per sostenere il ritmo, compreso il viagra per sostenere gli stupri. Il tutto sotto il controllo di una efficiente organizzazione interna, con tanto di comitato di controllo e di timbri. Molto di più dei soliti mercenari o contractors, dunque, veri soldati che trovano nel costituendo califfato Dio Patria e Famiglia.

Se andiamo oltre lo sgomento per l’orrore provato alla visione delle ripetute immagini di gole sgozzate, di prigionieri ingabbiati e bruciati, di fucilazioni di massa, sgomento accompagnato dalla paura provocata dalle ripetute minacce di invasione e di attentati nelle nostre città, e riprendiamo quindi il controllo con la ragione, potremo intravedere la politica che dovremmo assumere nei confronti del terrorismo jihadista che proclama la costituzione di uno Stato Islamico in fieri.

Come è stato già fatto osservare altrove, le immagini delle efferate uccisioni sono state montate con un uso sapiente delle regole e delle tecniche della comunicazione del marketing e pubblicità, inventate per altro nella nostra cultura, mostrando al cittadino del’Occidente già assuefatto alle guerre mondiali, alle esecuzioni di massa e alle shoah singole esecuzioni di singoli uomini. Sia la vittima in ginocchio a volto scoperto nella sua tuta arancione che il carnefice col volto nascosto, il coltello puntato, nascosto dalla sua tuta nera, “guardano in macchina”, guardano noi che in solitudine di fronte allo schermo li guardiamo attoniti. Il messaggio subliminale voluto e trasmesso è evidente: quello a cui stai assistendo può accadere anche a te. La minaccia psicologica è più potente di quella militare. Ma se poi subentra la generalizzazione per cui l’efferatezza dello jihadista diventa l’intolleranza dell’islamismo il gioco è fatto: il piano si inclina, la pietra comincia a rotolare e nessuno la può più fermare. La paranoia è tra noi.

Primo flashback. Hitler negli anni che precedettero la guerra lasciò credere ad alcuni gerarchi nazisti  che la soluzione del problema ebraico potesse essere risolto liberando l’intera Europa conferendo agli ebrei “una terra da mettere sotto i piedi” (per esempio il progetto di deportarli in Madagascar coltivato da Eichmann), ma in realtà sappiamo che Hitler aveva già deciso lo sterminio di tutti gli ebrei già nel Mein Kampf e che lo aveva rilevato come progetto da attuare solo a pochissimi suoi stretti e fedeli seguaci. Ancora oggi proviamo orrore per l’Olocausto, ma lo proviamo per l’enormità della strage e per le assurdità delle motivazioni piuttosto che per il metodo con cui è stata condotta. L’inesorabile e costante processo di disumanizzazione degli ebrei (Untermenschen) perpetuato per tutto il periodo del nazismo, considerati prima come merce forza-lavoro poi solo come oggetti, ha permesso l’applicazione della razionalità produttivistica realizzata in maniera così efferata nei campi di sterminio (Conferenza di Wannsee). In altre parole ciò che dovrebbe di più inorridire nella shoah non è tanto il risultato, perché l’occidente ha conosciuto altri olocausti, quanto il modo con cui è stata realizzata: la rivelazione che la economia e la tecnica possano dominare gli umani a tal punto.

Non dimentichiamo che sugli ingressi dei campi di sterminio nazisti v’era scritto Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi). Ma non si dimentichi neppure gli stermini stalinisti che per un periodo ancora più lungo e con genocidi ancora più vasti hanno visto sugli ingressi dei gulag la scritta Trudom domoj (con il lavoro si torna a casa).

Ora, superiamo lo shock e riflettiamo con la ragione domandandoci se esiste una razionalità anche nei comportamenti delle milizie jihadiste per capire cosa realmente vuole il Da’ish . La costituzione di uno Stato Islamico costituisce il mezzo per combattere e distruggere la civiltà occidentale o il fine non è piuttosto la costituzione di un nuovo potere centrale, essendo la nuova e spietata forma di terrorismo solo il mezzo con il quale raggiungere tale fine? Ed ancora: questo terrorismo è finalizzato solo a spaventare gli occidentali inducendo in loro il senso di colpa per le responsabilità colonialiste ed imperialiste o piuttosto serve a dare sicurezza alle innumerevoli tribù private del capo-dittatore che fornisce loro una prospettiva di unificazione nel vuoto politico di quei territori? Appare chiaro che comprendere senza ideologie pregiudizievoli i fenomeni che stanno avvenendo anche in Libia, non solo riducendoli alla sola connotazione religiosa, ma inquadrandoli sul piano antropologico, storico, economico e sociale, significa trovare la chiave interpretativa di ciò che sta accadendo in quei territori per approntare quindi una solida strategia di confronto con la nuova realtà, che non si riduca alla sterile contrapposizione tra una diplomazia di convenienza e la possibilità di una guerra.

Secondo flashback. L’espansione dell’Islam tra il VII e VIII secolo ebbe inizio con l’unificazione delle tribù beduine arabe perseguita da Maometto e proseguì dopo la morte del Profeta con una guerra di espansione per la costituzione del Califfato che con una sorprendente rapidità sconfisse gli imperi Persiano e Bizantino: i territori occupati si estesero dalla penisola Iberica, lungo la costa africana del Mediterraneo fino ai territori del Medio Oriente ed Oriente. Fino alle crociate del XI e XIII secolo gli arabi convissero con i poteri allora esistenti in Europa mantenendo quegli stessi equilibri di potere che da secoli sussistevano fra i poteri europei medesimi. Non solo, ma anche durante il periodo delle Crociate la cultura araba raggiunse in Spagna e nel Regno di Sicilia di Federico II di Svevia livelli di cultura e civiltà senza eguali.

L’attuale rappresentazione mediatica degli accadimenti nel mondo islamico, connotata dai commenti di politologi e dalle dichiarazione dei politici, rivela un’angoscia accompagnata dall’assenza della comprensione razionale del fenomeno  con ciò offrendo al nuovo nemico, il progetto di uno stato islamico, la conferma della sua giusta strategia. Questa irrazionalità del mondo occidentale tende sempre più a cedere verso la necessità del ricorso alla “guerra”, anche se giustificata dalla legittima difesa, quasi una nuova edizione della “soluzione finale” della questione del terrorismo islamico. Tutto ciò senza considerare, al di là delle criticità sul puro piano militare, i devastanti effetti collaterali di ordine politico e sociale nei confronti delle tribù (non popoli) locali e più in generale delle divisioni interne presenti nel mondo islamico. Dischiuso il vaso di Pandora con l’eliminazione dei dittatori,  alcune componenti pure presenti nelle “primavere arabe” dovrebbero ancor più oggi essere recuperate con un accorta strategia di sostegno politico ed economico, anche con le armi quando necessario, alla causa della costituzione di una democrazia.

Dobbiamo accettare la prospettiva, anche se non ci piace, che nei prossimi anni dovremo fare i conti con un nuovo Stato che pretenderà di sedersi al tavolo dei grandi per stabilire un nuovo ordine mondiale. A quel punto coloro che oggi sono gli irriducibili terroristi nemici dell’occidente si proporranno come  la nuova classe dirigente con la quale trattare. Vale anche per l’ISIS la famosa e tanto celebrata affermazione di von Clausewitz secondo cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, mentre l’Occidente deve ricordare quanto lo stesso autore scrive altrove: ” In qualunque modo io possa immaginare la relazione tra me e il resto del mondo, la mia strada passerà sempre attraverso un campo di battaglia.” Ormai solo un dio ci può salvare?