La sottile linea rossa della democrazia

Si direbbe che l’evoluzione delle democrazie occidentali abbia  seguito l’evoluzione dell’inquinamento  ambientale e  del  riscaldamento del pianeta, fino a minare i propri equilibri.  Abbiamo raggiunto il break even point della democrazia?
Troppi rumori di fondo nella politica, troppe grida inascoltate nel popolo. Occorre  far seguire alle critiche la riaffermazione dei principi e la realizzazione dei valori ad essi correlati.  Che fare? Due passi avanti, un passo indietro. Per tradurre le insofferenze  in  proposte operative non occorrono idee per  cambiare la democrazia, ma idee per realizzare la democrazia.  Siamo giunti per processo di espansione ai confini della democrazia, in  una sottile linea rossa dove la prospettiva deve essere positiva e dettata dalla volontà piuttosto che dalla necessità, dove occorre difendere la democrazia, non praticarla.

Qui di seguito dunque  un breve e modesto catalogo di  riforme,  necessarie  ancorché non sufficienti, per  rilanciare la democrazia, prima ancora dell’economia: Madamia il catalogo è questo.

 1. Democrazia e Istituzioni

Con la  propagazione della crisi finanziaria ed economica si è diffusa l’opinione   secondo la quale la subalternità della politica all’economia e alla finanza, tanto più in quanto transnazionale, indichi un pericoloso deficit di democrazia negli stati occidentali. Molti  osservatori hanno  così cominciato a considerare con interesse, forse con un’insana punta d’invidia, il caso della Cina come un  modello di sviluppo  efficiente : uno stato senza diritti che con meccanismi para capitalistici si sviluppa economicamente con ritmi  straordinari. Ma tant’è, noi siamo dentro un sistema democratico rappresentativo dove il popolo è sovrano. Che fare? Per esempio intervenire con riforme istituzionali  in grado di recuperare l’interesse e la partecipazione dei cittadini alla gestione e controllo della cosa pubblica dando efficienza al sistema di governo. Le misure potrebbero essere:

i)  l’elezione diretta del Presidente del Consiglio,  in analogia al sistema elettorale per il Sindaco, con pieni poteri sulla formazione e scioglimento del governo, costituito da massimo 12  ministeri;

ii) l’assetto del Parlamento con un sistema bicamerale non perfetto, così articolato:

 – una Camera dei Deputati , costituita da 630 membri eletti su base regionale in  proporzione al peso degli abitanti, con funzione legislativa in tutte le materie, previo parere preventivo (obbligatorio , non vincolante ) del Senato sulle singole proposte di legge. Massimo due mandati con possibilità di un terzo previo parere favorevole del  Presidente della Repubblica e

 – un Senato , inteso come una  Camera Alta, con funzione consultiva e con opzione di veto su  provvedimenti adottati in materia di Giustizia, Istruzione e Sanità, composta da 310 membri, nominati per cooptazione per il 20% dal Presidente della Repubblica e per l’80% dalle Associazioni della società civile accreditate presso la Presidenza della Repubblica (… ), di elevato profilo culturale, con mandato senza emolumenti, di età non inferiore ai 40 anni, massimo un mandato con possibilità di un secondo previo parere favorevole del Presidente della Repubblica.

iii) un Federalismo articolato  in  Stato, Regioni, Città Metropolitane e Comuni con abolizione totale delle Provincie, costituzione  delle città Metropolitane (articolate in Municipalità), abolizione dei Comuni con  meno di 2000 abitanti (3642 Comuni, pari al 45% del totale dei Comuni). Risorse finanziarie distribuite alle Regioni per  3/4 in relazione al pil da queste prodotte e per 1/4 come fondo perequativo tra Nord e Sud.

iv) riconoscimento del  Diritto di voto  ai soli cittadini residenti (quindi non agli italiani residenti all’estero),  estensione del diritto di voto ai minorenni ( a 16 anni  con voto attivo per elezioni amministrative e politiche,  fino a 15 anni con delega ai genitori (o chi ne fa le veci) per solo elezioni amministrative.  Voto per i Referendum (abrogativi e propositivi) a 18 anni.

 v) Facilitazione ottenimento della cittadinanza italiana e riconoscimento cittadinanza a chi nasce in Italia (ius soli)

 vi)  Quote assunzione cittadini di origine straniera con cittadinanza italiana nelle forze di polizie statale e locali, nelle forze dell’ordine e nelle forze armate, in proporzione alla presenza delle varie nazionalità, etnie e comunità.

 ivi)  Istituzione servizio civile obbligatorio, legato al territorio,  di durata  3 mesi (da esercitarsi nell’arco di età 18 – 21 anni) per tutti i cittadini italiani residenti

2. Democrazia, Economia e lavoro

Occorre prendete atto che nell’era della globalizzazione dei mercati lo “scontro di classe”,  l’ossessione del padrone concepito come nemico di classe, non paga più perché aumenta la conflittualità interna nel Paese, già caratterizzato da una indebolita  economia, a fronte della crescente conflittualità  tra i mercati internazionali.  I tempi richiedono, al contrario, che sindacati maturi siedano nei consigli di amministrazione, o di sorveglianza, per prendere parte attiva e responsabile nel governo dell’economia: dalla concertazione alla cogestione perché il bene è comune.  Il rilancio dell’economia si attiva, prima ancora che con le risorse, con misure improntate all’equità e al rispetto dei diritti. Tra le misure preliminari:

i)  Lo Statuto dei lavoratori va esteso a tutte le imprese;

ii)  occorre attivare nelle imprese forme di Cogestione imprenditori-lavoratori con sindacati nei consigli di amministrazione,  o di sorveglianza, delle società;

iii) a fronte della tipica struttura imprenditoriale italiana fondata sulla piccola-media industria occorre promuovere e incentivare la costituzione di società e di cooperative;

iv)  facilitare l’iniziativa privata con abolizione  degli Ordini professionali e delle Licenze

 v)  instaurare un nuovo welfare state: un patto generazionale che sostituisca il  patto sociale mediante trasferimento di risorse alla fascia di popolazione in età giovanile.  Il ricavato dai tagli alle pensioni, per esempio, va utilizzato per migliorare la scuola, per finanziare la ricerca,  finanziare le start up e il proseguimento degli studi degli studenti meritevoli  che intendono conseguire titoli universitari o  titoli ad elevata specializzazione, anche non postuniversitari (artigianato)

 v) nella convinzione che la lotta all’evasione fiscale (come alla corruzione) debba essere concepita come una questione di difesa della Costituzione e dell’ordine pubblico, da trattarsi alla pari della lotta che lo Stato dichiara al terrorismo e alla criminalità organizzata o dichiarerebbe a qualsiasi altro aggressore che minacciasse l’esistenza stessa dello Stato.  I metodi investigativi e conseguentemente le pene per gli evasori fiscali devono essere intensificati e  oltre a quella  detentiva e amministrativa deve prevede una limitazione dei diritti (sospensione del diritto di voto, del rilascio del passaporto e della patente di guida,di ogni carica pubblica,…).

Tra le misure tecniche operative urgenti sono: instaurare la tracciabilità dei pagamenti con moneta elettronica, e consentire i pagamenti con moneta contante fino alla somma di 200 €.  Abolizione  delle banconote dei tagli da 200 € e 500 €.

Detrazione spese documentate con scontrino fiscale / fattura (come per i farmaci)

3. Democrazia, cultura e sviluppo 

abolizione  di ogni forma di finanziamento pubblico della scuola privata  ( la sussidiarietà non si applica ai beni strategici come l’istruzione, l’energia, l’acqua, internet,il suolo)

piena autonomia gestionale degli istituti scolastici (Fondazioni?)

riqualificazione della istruzione scientifica e tecnica (su base nazionale) e della formazione professionale (su base regionale),

formazione di base su  ITC obbligatoria (internet come bene comune)

 abolizione del valore legale dei titoli di laurea (no esami di stato)

(to be continued)




Monti datti una mossa, la terra trema!

Dunque una “placca africana” preme sulla pianura padana. Non male come segno premonitore sul destino del sud Europa, soprattutto se si ricorda la pressione demografica di eguale provenienza e direzione. Esoterismi e paranoie a parte, ce n’è abbastanza per comprendere quale potrebbe essere il ruolo dell’Italia in Europa e cosa il nostro paese deve fare al più presto per risollevare la propria economia. Quelli che vedono ovunque le “opportunità” (Expo, Olimpiadi) dovrebbero riflettere sulle catastrofi, non soltanto quelle finanziarie.

Dichiara la Ministra Elsa Fornero: “E’ naturale che la terra tremi ma non è naturale che crollino edifici. In altri paesi non succede”.  Molto bene Ministro, ora però ci spieghi  perché negli altri paesi non succede che crollino chiese, palazzine e capannoni (alti meno di dieci metri), in aree a rischio terremoto, e quindi il suo Governo ci indichi cosa si dovrà fare nei prossimi decenni,  nel nostro paese, per riparare agli innumerevoli danni causati dal dissesto idrogeologico e ambientale.

In questi giorni negli Stati Uniti si sono  festeggiati i 75 anni del Golden Gate Bridge di San Francisco, che le ricordo fu costruito in quattro anni e rappresentò la prima opera pubblica del New Deal di F.D.Roosevelt. Suggerisca dunque al suo collega Presidente del Consiglio Silvio Monti che forse i terremoti (ancora  in corso mentre scrivo) in Emilia Romagna potrebbero per lui rappresentare un buon alibi per rilanciare l’economia italiana (l’Emilia Romagna val bene  un Euro!)  con un programma di ingenti investimenti, senza per questo rischiare di passare per un Keynesiano.

Da ultimo, colga anche l’occasione  che una interessante notizia di cronaca tedesca (già l’ottusa e cinica Germania…) ci offre proprio oggi: un weekend da record, metà paese ha funzionato con il sole,  inserendo nel programma di investimenti anche l’obiettivo di una sempre maggiore autosufficienza energetica.  Immagine, you can.




L’Italia non è un paese per vecchi?

Abbiamo un nuovo primato italiano: la classe dirigente più vecchia d’Europa. Questo è uno dei risultati del primo rapporto su potere e anagrafe in Italia preparato dall’Università della Calabria per la Coldiretti,  presentato in un articolo apparso recentemente sul quotidiano La Repubblica. L’età media della classe dirigente italiana calcolata nei settori della politica, economia e pubblica amministrazione è 59 anni, con una età media minima  di 53 ed una massima di 67.Osserviamo qui che questi valori  riguardano le generazioni nate tra il 1945 ed il 1953 ovvero quelle che erano giovani tra il 1968 e il 1974, gli anni durante i quali si manifestò per la prima volta , sebbene mediato dalle ideologie, la rivolta culturale dei giovani contro l’establishment al potere.  Questo significa che l’establishment al potere di oggi è costituita dalle generazioni dei giovani che  quarant’anni fa lo avevano contestato. Destino comune a molte rivoluzioni quello per cui i soggetti rivoluzionari una volta conquistato il potere diventano conservatori. Forse non era del tutto sbagliato lo slogan di quei tempi: “non devi fidarti di nessuno che ha più di trent’anni”.

Tra i dati riportati dalla ricerca vi è poi la proporzione drammatica nel nostro paese tra giovani e anziani: per 100 abitanti di età tra 0 e 14 anni ve ne sono 144 di età superiore ai 65 anni. Tuttavia, il problema ancor più drammatico che emerge da questa situazione non è tanto il fatto che “in Italia ci sono sempre meno giovani, ma che quei pochi che abbiamo sono rappresentati male”. E dunque, che fare?

Abbiamo forse una generazione per la prima volta senza futuro. Il paradosso sta nel fatto che ad essere senza futuro sarebbe proprio la generazione che oggi, tra noi, lo rappresenta. Un tema cruciale oggi in Italia è la riforma del welfare state, ma come  nelle altre democrazie contemporanee (tranne l’Austria), sebbene fondate sul suffragio universale, anche in Italia i minorenni non hanno rappresentanza politica.  Siamo forse di fronte ad una carenza di democrazia?  Il prossimo 31 maggio si aprirà a Trento la settima edizione del Festival dell’economia dal titolo “Cicli di vita e rapporti tra generazioni”. Una buona occasione per lanciare il tema dell’estensione del diritto di voto ai minorenni.




Molto rigore per nulla.

Un antico proverbio orientale recita: contro chi rema con la pagaia non occorrono coccodrilli più intelligenti. Poiché l’economia, ovvero una tecnica, si mostra ancora incapace di spiegare le proprie degenerazioni e di porvi rimedio, proviamo ad affrontare il problema su un piano culturale più ampio ponendoci dal punto di vista della coscienza: quello che (non) ho. Ma per procedere occorre fare un passo indietro.

L’etica protestante e lo spirito del capitalismo è un saggio dell’economista, sociologo, filosofo e storico tedesco Max Weber (1864 – 1920) in cui si identifica nel lavoro come valore in sé l’essenza del capitalismo e riconduce all’etica della religione protestante, in particolare calvinista, lo spirito del capitalismo.  In realtà Weber non intende sostenere che un fenomeno economico possa essere causato direttamente da un fenomeno religioso. Mette invece in relazione due fenomeni omogenei: la mentalità religiosa calvinista e la mentalità capitalista, affermando che la prima fu una pre-condizione culturale insita nella popolazione europea assai utile al formarsi della seconda.  Ma Weber infatti, come chiarisce lo stesso titolo dell’opera, si riferisce allo “spirito” capitalistico, a quella disposizione socio-culturale che, correggendo la spontanea sete di guadagno, induce il calvinista a reinvestire i frutti della propria attività per generare nuove iniziative economiche.  Si chiedeva quindi: se il capitalismo genuino è caratterizzato essenzialmente dal profitto e dalla volontà di reinvestire incessantemente quanto guadagnato, questo atteggiamento ha una relazione con la mentalità calvinista?  Questo potrebbe spiegare il ritardato avvento del capitalismo nei paesi rimasti cattolici, rispetto a quelli in cui si diffuse la Riforma?

Sostiene Weber: “In tutte le società pre-capitalistiche l’economia è intesa come il modo per produrre risorse da impiegare per fini non economici (produttivi): consolidare il potere od ottenere maggiore influenza politica, coltivare la bellezza proteggendo letterati ed artisti (mecenatismo), soddisfare i propri bisogni (consumi) od ostentare tramite il lusso il proprio status sociale. Nello spirito capitalistico invece il conseguimento di questi fini legati a valori extra economici sono del tutto secondari e trascurabili: ciò che importa è che il profitto sia investito e sempre crescente. Il capitalista vero è colui che ottiene la massima soddisfazione dal conseguimento del profitto in sé, non dai piaceri che il guadagno può procurare. Ma per consolidare una tale mentalità, contraria alle tendenze “naturali”, è stata necessaria, osserva Weber, una grande rivoluzione socio-culturale: la Riforma protestante, la quale iniziò per finalità religiose ma che involontariamente favorì il diffondersi della secolarizzazione”.

La mediazione della Chiesa tra il fedele e Dio presente nel cattolicesimo, nel luteranesimo era cancellata. Ogni credente diveniva sacerdote di se stesso. Nessun uomo, sosteneva Lutero, con le sue corte braccia può pensare di arrivare fino a Dio. Con Calvino c’è una soluzione: il segno della grazia divina diventa visibile e sicuro: è la ricchezza, il benessere generato dal lavoro.  Di conseguenza il povero è colui che è fuori dalla grazia di Dio.  Chi sa quali colpe egli ha commesso per essere stato punito con la povertà.  Questa giustificazione della ricchezza serve ovviamente a lavare la coscienza.  Rimane che il valore dato al lavoro come merito individuale è la spinta per un nuovo ordine sociale. Questa concezione calvinista del valore del lavoro per il lavoro stesso trova riscontro per Max Weber in alcune caratteristiche che differenziano le due religioni: mentre il cattolico celebra la messa o prega per ottenere qualcosa, il protestante ringrazia Dio per quello che ha già ottenuto, la sua preghiera onora Dio, ha un valore in se stessa non serve per ottenere qualcosa. Si prega per chiedere, cattolico, o per ringraziare, protestante. Mentre il cattolico aspetta la manna dal cielo, che cosa fa lo stato per me?  Il protestante opera in primis per lo Stato. Mentre le chiese cattoliche manifestano nell’oro e nella ricchezza dei loro edifici e delle cerimonie la gloria di Dio, al contrario quelle calviniste hanno il senso di sé in se stesse, sono severi luoghi di culto costruiti soltanto per pregare. Ostentazione  versus  raccoglimento.  Infine come la fede nel protestantesimo vale per se stessa, è del tutto separata dalle opere così nello spirito capitalistico il lavoro e la produzione sono valori morali in sé separati da ogni risultato esterno: il profitto va reinvestito perché il beruf (professione, mestiere) ha un valore in se stesso e non per i godimenti che possa procurare.

Possiamo ora azzardare una  prima e parziale conclusione. Pare ovvio che siamo sempre di fronte ad una degenerazione, come anche accolta l’ideologia capitalista.  L’accumulo di denaro che non porta alcun beneficio, anzi danneggia pesantemente l’economia succhiando sempre più e in crescendo linfa all’impresa fa del turbo capitalismo neoliberista il figlio degenere della morale calvinista e anche dell’ideologia capitalista.  La necessità di accumulare ricchezza per produrre è incontestabile e tuttavia come affermato nella morale calvinista lo spirito capitalista “correggendo la spontanea sete di guadagno, induce il calvinista a reinvestire i frutti della propria attività per generare nuove iniziative economiche”.  La sete di guadagno ha diversamente messo in modo crescente il profitto fuori dal mercato della produzione. Questa il motivo della crisi. Ed ecco perché solo la cultura ci potrà salvare.

 




Lo spettacolo Beppe Grillo: cinque stelle di pubblico, una di critica

Capi popolo che raccolgono l’inverno del nostro scontento nascono ogni volta che si apre una crisi. Rabbia distruttiva proprio perché non trova sbocchi credibili sulla direttrice del cambiamento radicale. Beppe è un demagogo qualunquista dotato di una rabbia autentica in un cervello non privo di ingegno un po’ sopra le righe: tira calci. Ora ha la possibilità di dire basta ad alcune efferate anomalie di sistema che i partiti istituzionali non hanno saputo contrastare. Tutti  si sono assuefatti a scandali di ogni tipo e di ogni dimensione, non mancando in molte occasioni di parteciparvi. È l’Italia. Verso la cronicità dei mali sociali, mafia, corruzione, evasione fiscale, conflitto di interessi  e quant’altro, i politici si sono limitati a salotti televisivi o agguerrite quanto sterili denunce parlamentarti.

Nessuna azione  esemplare, e soprattutto nessun politico si è mosso per promuovere  cultura nella popolazione. La Cultura, quella che smuove la mentalità della gente per far crescere in civiltà un popolo, non ha mai sfiorato né il pensiero né il cuore a nessun politico, eppure far crescere in civiltà il popolo dovrebbe essere il principale obiettivo di ogni politica, l’impegno principe di ogni partito e di ogni forza sociale: il “ fare politica”. Di questo neppure un pensiero. In nessuno. “Chi non fa il proprio interesse è un coglione” ha dichiarato il Caimano e a sinistra neanche un commento. E già … la  questione morale…Essere anti politici o contro la politica in un paese in cui regna massimamente l’ignoranza,  può significare solo non interessarsi alla sorte di tutti e del paese.

Beppe Grillo non è tanto contro la politica quanto contro i politici per il loro modo di interessarsi alla politica, non avendo costoro in animo il  servizio allo Stato, ma unicamente la loro carriera,  i  loro intrallazzi e giochi di potere. Pensieri retorici e qualunquisti ma come non capirlo? Come non condividerli?  Tutti i politici?  C’è bisogno di rispondere?  Ma che dire di coloro che a difesa rispondono:”non bisogna fare di tutte le erbe un fascio”? Altri cliché, altro qualunquismo. Io vedo solo ignoranza che si oppone a ignoranza. Abissi. Non c’è confine al tormento. La ‘ misura’ gente, la  misura! Non res sed modus in rebus.

Ma anche con le dovute eccezioni,  la misura è colma, colma da un pezzo. Siamo tutti esasperati.  Basta, basta, basta è il grido della piazza neonata, ma è anche il nostro che con i grillini in piazza non siamo andati e che li guardiamo con sufficienza nell’immaturità del loro essere pensando a una nuova e travagliata stagione. Inutile chiedere al neonato che piange di risolvere il problema, inutile e stupido criticarlo. La critica di Grillo è demagogica e qualunquista, ma il suo grido assolutamente opportuno e sensato. Errore gravissimo emarginarlo, fu commesso già a suo tempo con la Lega, e quest’errore ci ha regalato un ventennio di amarezze. Beppe sporca ancora nei pannolini ma invece di criticarlo faremmo bene ad ascoltarlo e aiutarlo. Nel passato abbiamo buttato Bossi nelle mani del Caimano e ci siamo ritrovati in un altro ventennio, l’accostamento di Grillo alla Lega è tanto giusto quanto  inopportuno. Solo la cultura ci salverà.




La quadratura del cerchio magico nel paese malato.

Molti esperti sono accorsi al cappezzale  del paziente Italia per il consulto sulla diagnosi e cura: economisti, politici, costituzionalisti e magistrati, quest’ultimi con il ruolo di chirurghi.  Mancano però gli storici, gli antropologi, gli psicologi e i filosofi.
Un passo del recente libro “Il Contagio” scritto da due magistrati da tempo impegnati nelle indagini sulle varie mafie recita: “Non c’è alcun pezzo di società che possa dirsi impermeabile al contagio mafioso. Tutti sono esposti al virus criminale sia in Calabria che fuori dalla Calabria. Attenzione questo non  significa che tutta la società è contagiata, significa che è tutta esposta al rischio contagio”.

L’affermazione ‘la società è (…) tutta esposta al rischio contagio’ è terrificante: sembra solo questione di tempo e tutto il paese diventerà criminale!  Al di là della metafora epidemiologica, ciò che più allarma in  quel passo, come del resto in altre  analoghe analisi a partire da Gomorra di Roberto Saviano, non è lo stato presente delle cose, l’incidenza del contagio raggiunta dal virus, quanto il fatto che poco o nulla si dica ancora sulle cause della debolezza del sistema immunitario del paese, così predisposto al rischio di morbosità e quindi sulla possibilità di trovare un vaccino.

Se è ormai  riconosciuto da tutti che la lotta alla criminalità organizzata vada condotta a due livelli, il contrasto duro e diretto contro il crimine e l’azione preventiva sulle cause che lo permettono,  è però meno chiaro  quali siano le cause di questo male. Siamo storditi dalla ecatombe di suicidi che sono fino ad oggi accaduti a causa della crisi economica. La depressione economica ‘si sa’, come  intendono cinicamente gli esperti economisti, porta alla depressione psichica dell’individuo con l’esito probabile del suicidio. Proviamo  allora a  domandarci perché l’esposizione al crimine così tanto dilagato nel nostro paese non porti ad un analogo  disagio psichico nella popolazione.

Tra Nemesi storica e ricorsi storici in Italia la questione meridionale, posta in evidenza nel 1873 dal deputato radicale lombardo Antonio Billia,  non è ancora oggi risolta e già l’attenzione del dibattito politico si è spostata sulla questione settentrionale, peraltro anch’essa presente in alcuni pensatori dell’ottocento come Cesare Correnti.  Sulla  realtà della prima si è arenato il processo reale di unificazione economica e sociale del Paese, sulla consistenza della seconda si è fondato il successo del movimento politico Lega Nord (per la Padania), che per primo ne ha dato rappresentazione politica.

Il fatto è che quando i problemi e le relative argomentazioni a supporto si presentano con carattere di simmetria (non di complementarietà) v’è da dubitare di essere di fronte ad una verità. Ed anche in questo caso (a meno di non immaginare il tertium non datur  ‘questione centrale’)  c’è da supporre che la verità delle ‘questioni’ si ponga ad un livello superiore.  Così è infatti: esiste  la  questione italiana.

Già posta originariamente da Cavour ai Grandi di Europa nel 1856 (sindrome di Crimea),   la questione italiana ha assunto oggi, dopo la crisi economica e finanziaria, l’ingerenza Europea nella politica italiana, la crisi della politica-antipolitica e  dei partiti,  i connotati di un reale problema non più di crescita ma di consolidamento.  Non si tratta più come all’epoca di Cavour di farsi  riconoscere come un paese indipendente ed unito, ma di  farsi riconoscere come un paese politicamente affidabile ed economicamente sicuro.

I problemi che connotano oggi la questione italiana costituiscono un insieme di  punti che singolarmente presi si presentano come  economici, sociali e politici (frammentazione struttura industriale, analfabetismo di ritorno, burocrazia, crisi della politica, crisi della democrazia, antipolitica, disoccupazione giovanile, declino demografico, evasione fiscale, criminalità organizzata, corruzione, dissesto idrogeologico, formazione classe dirigente, mobilità sociale, precarietà nel lavoro, familismo, potere temporale della Chiesa,…), ma  nel loro insieme essi  denotano il livello di civilizzazione raggiunto nel nostro paese.

E’ proprio vero  che i miti sono cose che “non  avvennero mai, ma sono sempre”.  L’astuzia di Ulisse prevalse sulla forza di Aiace Telamonio  e così si aggiudicò l’armatura di Achille, ma in seguito Ulisse fu punito dagli dei  alla sua Odissea. Con buona pace di Omero e del triunvirato ABC, sarà dunque Beppe Grillo il nuovo eroe che si approprierà del tesoretto dei i voti della base leghista che non è disposta a rinunciare alla propria purezza per l’oltraggio subito dai suoi cortigiani del cerchio magico?

A giudicare dalla rapida ascesa del ‘movimento 5 stelle’  a valori superiori al 7% registrato dai recenti sondaggi sulle preferenze di voto e dall’aggiornamento delle parole d’ordine del suo leader nella campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative  sembrerebbe proprio che sia una considerevole parte dei voti leghisti a consentire al movimento di diventare il terzo partito italiano.  Bossi è vittima del sistema..se si pagasse il doppio delle tasse i politici ruberebbero il doppio … no al diritto di cittadinanza a chi nasce in Italia… non paghiamo i debiti che non abbiamo creato noi … fuori dall’euro… alla verve comica di Beppe Grippo si è aggiunto il ‘fiuto politico’ che un tempo fu attribuito all’animale politico Bossi, ma si tratta di un talento che altro non è che il millenario sistema del potere consistente nel blandire il popolo sollecitandone le più basse aspirazioni.

L’erede di Bossi ha però bisogno di un nuovo mito per far uscire il popolo dall’angustia della stanzialità territoriale (ridotta al cerchio magico) e passare ad una condizione più aperta, al futuro, al nomadismo nelle praterie della rete. L’originalità, il nuovo mito,  non  sta questa volta nel federalismo o nella secessione, ma  nella democrazia diretta, nell’autogestione dei cittadini,  nello Stato fai da te.  In Internet, luogo ove è possibile l’esercizio reale del potere del popolo,  sta la quadratura del cerchio.  Ho altrove cercato di mostrare il carattere fondamentalmente rivoluzionario della ICT, aderendovi, non senza avvertire però il pericolo  cui anch’essa  ricade  non appena vi si proietti la verità assoluta e la si concepisca in quanto mezzo di comunicazione come strumento di potere e di controllo.




Appartengo dunque sono.

Che la mentalità presente sia derivazione di una storia passata va da sé, non bisogna dimenticare che ogni individuo è figlio della propria cultura. Tuttavia, esiste sempre il pericolo  del giudizio formulato per appartenenza che implica oltretutto la generalizzazione.

“Appartenenza” e “generalizzazione” sono  bassi modi di pensare e di sentire che investono tuttavia la stragrande maggioranza della popolazione che nel pensiero e nell’anima oltre questi termini non è in grado di andare; di conseguenza manifestare un’opinione diviene estremamente pericoloso, potrebbe trovare immediato consenso. Tutto questo pone il problema del riconoscimento dell’ignoranza all’interno del popolo e, conseguentemente, della necessità della sua emancipazione: l’ innalzamento del livello di cultura, fino alla metamorfosi della mentalità in seno al popolo.

L’orgoglio di appartenenza, l’odio per il diverso e la generalizzazione si sono mostrati talmente nocivi dopo il nazismo e l’olocausto che “attribuire a un popolo” è divenuto un “tabù”, cosicché ciascuno cova in cuor suo le proprie opinioni senza mai dichiarale ma procurando ugualmente che le stesse abbiano pratica conseguenza.  Il “si sa come la pensa certa gente” non può mai essere certificato perché le opinioni non vengono mai dichiarate e quindi non vengono mai a confronto. Il tabù sulle caratteristiche dei popoli e delle civiltà posto dal relativismo ha bloccato qualsiasi discussione e di conseguenza qualsiasi analisi sociologica che fosse interessata a discernere, distinguere ancorché non a discriminare.

Orbene. Come da noi sempre dichiarato “I popoli non sono uguali”. Ogni fenomeno per essere capito e descritto deve essere conosciuto al di sopra di ogni pregiudizio, nel male così come nel bene: i ‘tedeschi’ sono in un modo, gli ‘italiani’ in un altro. Per certo non  per i cromosomi. Il nostro discrimine più che rifarsi alla fisiognomica si rifà alla mentalità come costitutiva del reale, come attuale testimonianza del grado di avanzamento della cultura di un popolo in ogni sua precipua emergenza.

Forniamo di seguito un buon esempio di come un pensiero ideologico in quanto fondato sull’appartenenza e la generalizzazione possa fare scempio della verità e condizionare negativamente le coscienze; si tratta di diffuse credenze sulla relazione presunta tra alcuni grandi pensatori e il nazismo.

Qui trattiamo quella che riguarda lo psicoanalista Carl Gustav Jung, che continuò, anche dopo la guerra, ad essere oggetto di polemiche e dibattiti. Sia nella sua autobiografia (“Ricordi, Sogni, Riflessioni”) che nella raccolta di testimonianze sulla sua vita Jung parla, appaiono numerosi spunti critici rispetto al fenomeno nazista, che in alcuni suoi scritti e passaggi Jung analizzò – con molta preoccupazione – da un punto di vista psicologico-analitico collettivo. Jung, comunque, consapevole com’era delle falsità di tale accuse, non diede mai troppo peso alla questione. Ma per avere un quadro più ampio è utile riferirsi allo stralcio di un’intervista del 1949:

“Chiunque abbia letto uno qualsiasi dei miei libri non può avere dubbi sul fatto che io non sono mai stato filonazista e tanto meno antisemita; non c’è citazione, traduzione o manipolazione tendenziosa di ciò che ho scritto che possa modificare la sostanza del mio punto di vista, che è lì stampato, per chiunque voglia conoscerlo. Quasi tutti questi brani sono stati in qualche misura manomessi, per malizia o per ignoranza. Prendiamo la falsificazione più importante, quella sul Saturday dell’11 giugno: “L’ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai. L’inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico”. Guarda caso, se lette nel loro contesto queste frasi acquistano un significato esattamente contrario a quello attribuito a esse da questi “ricercatori”. Sono state prese da un articolo intitolato “Situazione attuale della psicoterapia”. Perché si possa giudicare il senso di queste frasi controverse, le leggerò per intero il paragrafo in cui ricorrono: “In virtù della loro civiltà, più del doppio antica della nostra, essi presentano una consapevolezza molto maggiore rispetto alle debolezze umane e ai lati dell’Ombra, e perciò sono sotto questo aspetto molto meno vulnerabili. Grazie all’esperienza ereditata dalla loro antichissima civiltà essi sono capaci di vivere, con piena coscienza, in benevola, amichevole e tollerante prossimità dei loro difetti, mentre noi siamo ancora troppo giovani per non nutrire qualche “illusione” su noi stessi… L’ebreo, quale appartenente a una razza che dispone di una civiltà di circa tremila anni, possiede, come il cinese colto, un più ampio spettro di consapevolezza psichica rispetto a noi. L’ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai, poiché tutti gli istinti e i suoi talenti presuppongono, per potersi sviluppare, un popolo che li ospiti, dotato di un grado più o meno elevato di civiltà. La razza ebraica nel suo insieme possiede perciò – per l’esperienza che me ne sono fatta – un inconscio che si può paragonare solo con alcune riserve a quello ariano. Eccezion fatta per alcuni individui creativi, possiamo dire che l’ebreo medio è già molto più consapevole e raffinato per covare ancora in sé le tensioni di un futuro non nato. L’inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente distaccata dall’elemento barbaro”

Dice Jung “Prendiamo la falsificazione più importante, quella sul Saturday dell’11 giugno 1949: “L’ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai. L’inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico”.”

Le frasi sottolineate furono estrapolate ad hoc, come in ogni pratica di falsificazione ideologica, e potrebbero essere attribuite sia a filo nazisti che da detrattori “democratici” a dimostrazione che Jung abbia aderito o addirittura sia stato sostenitore di idee razziste. Il brano letto per intero manifesta tuttavia opinioni che pur lontane dall’essere filo alcunché, prendono in considerazione gli ebrei e gli ariani come appartenenti ad una “razza”, e  a razze diverse, motivando la loro diversità su base storica,  culturale biologica e archetipica inconscia: “i suoi istinti e talenti”. Dirà più oltre: “L’ebreo medio è già molto più consapevole e raffinato per covare in sé tensioni di un futuro non nato”. Il concetto di “razza” e di appartenenza viene dunque interamente conservato e Jung si pregia di attribuire alla razza sue precise e precipue caratteristiche.

Ingenuamente Jung parla di “eccezioni” e di un “ebreo medio”, non avendo in cuor suo un intendimento statistico, badando ai fenomeni nella qualità senza analizzare il modo.  La mancanza della misura è difetto di molti, direi anzi di tutti, nessuno sa quantificare i fenomeni nella loro distribuzione e tutta la vita abbiamo assistito a forzature che hanno storpiato ad hoc, secondo difesa della propria tesi, ogni realtà pensando di volta in volta a proprio piacimento qualsiasi “misura”. I giudizi di Jung non sono tuttavia giudizi di valore, Jung semplicemente rileva in pochissime righe quello che gli sembra di aver compreso di un popolo, una razza, gli ebrei, e di un’altra, gli ariani. Rilevandone pregi e difetti che appertengono alla cultura di un popolo non singolarmente agli individui.

Il grado di avanzamento culturale dovrebbe essere oggetto di studio e materia di indagine, per il raggiungimento dell’obbiettivo e lo scopo principale della politica, quello di un avanzamento in civiltà.  Gli incapaci, diversamente, in spregio alla cultura sanno solo prendere provvedimenti economici per vessare le genti, nella pretesa con questo di educare.

 




Il modello tedesco

Un adagio tedesco recita: “l’ordine è metà della vita, ma l’altra metà è più bella”. Fino a poche settimane fa era  all’ordine del giorno la critica  al rigore tedesco nella concezione del debito pubblico (conti in ordine in casa propria)  e ossessionati dall’incubo dello spread  ci si arrovellava sulle misure economiche e finanziarie più idonee.  Oggi, distolti dal rigore applicato dal nostro stesso governo, al quale si inizia a rivolgere le prime severe critiche,  abbiamo messo in evidenza con un’enfasi teutologica il confronto con il “modello tedesco”, sebbene limitato alla legislazione sul lavoro con riferimento in particolare al famigerato art.18. Amore e odio tra i nostri due popoli?

Il fatto è che il rapporto tra il popolo italiano e quelli di lingua tedesca ha un’origine bi-millenaria senza quasi soluzione di continuità  e dimentichiamo che  è stato spesso conflittuale, come lo sono inevitabilmente i rapporti con gli invasori. Prima i barbari per gli antichi Romani, poi gli Ostrogoti di Teodorico,  i Longobardi, Federico Barbarossa, Federico II, gli Austriaci ed infine l’occupazione del III° Reich.  Con le devastazioni di Roma, il dominio di intere  regioni, due guerre mondiali e la Resistenza c’è da supporre che qualche cosa sia rimasto nel  ‘comune sentire’  degli italiani. Nessuna nostalgia o giustificazione né alcuna benevolenza, ma consapevolezza del nostro passato sì.

Nei dibattiti televisivi sulla crisi economica e finanziaria ad alcuni commentatori è piaciuto osservare la coincidenza nella parola tedesca Schuld del duplice significato di debito e colpa, mostrando una meraviglia per altro mai sufficientemente spiegata.  Che in questa coincidenza linguistica si potesse riconoscere una profonda diversità culturale riconducibile  alla  etica protestante è una ipotesi che non sfiora le menti degli  ‘uomini del fare’.  Questi, siano essi appartenenti ad  aziende  o sindacati, posti di fronte alle differenze salariali tra gli operai della Fiat e quelli della VW, non  vedono le reali e profonde cause culturali che  spiegano tali risultati, tanto ne sono inconsapevoli vittime e portatori sani. Questa volta non vale il riconoscimento consolatorio del “così fan tutti”.

Ed eccoci di nuovo a considerare il “modello tedesco”, ma cosa veramente lo caratterizza?  Per alcuni la legislazione sul lavoro,   per altri la legge elettorale, il welfare state,  la qualità dei prodotti.  Si sostiene e ragione che un modello  non  possa essere esportato,copiato in un altro contesto, ma eventualmente innestato  con la  necessaria considerazione delle diversità dei fattori culturali in gioco. Ebbene, quali sono queste diversità culturali?  La cultura, senz’altro.  Non il lavoro, ma la cultura rende liberi:  die Kultur macht frei.




Anche Bossi tiene famiglia

Di fronte alla dissoluzione forse non della Lega ma sicuramente  della verginità dei  leghisti puri e duri, per anni osteggiata dal popolo padano di fronte agli scandali della ‘Romaladrona’, non vale più l’adagio ipocrita e consolatorio del così fan tutti. Si percepisce molta  acrimonia  negli articoli di questi giorni che riempiono i quotidiani e gli interventi nei socialnetwork: prima Berlusconi, poi Formigoni e adesso anche Bossi, il “terrone padano”!  Se ancora  qualcuno  volesse scandalizzarsi dovrebbe farlo non per gli eventi ma per la sorpresa e meraviglia che ancora si mostrano di fronte a simili eventi.  Sarebbe invece più utile e intelligente cogliere l’occasione (l’ennesima) per comprendere in quale ‘brodo di cultura’ stiamo annegando, che riguarda non soltanto i partiti e  i politici corrotti e corruttibili, ma ogni  aspetto della vita sociale e individuale.

Un velo caduto? Forse.  Temo tuttavia che ancora non ci siamo liberati dalla malattia del nicodemismo che tanto ha  influenzato i fondamenti stessi della politica,  dai  fasti rinascimentali ai nefasti inquisitori.  Diceva Torquato Accetto nella Dissimulazione onesta che “Il vero non si scompagna dal bene, ed avendo il suo proprio luogo nell’intelletto, corrisponde al bene ch’è riposto nelle cose; né può la mente dirizzarsi altrove per trovar il suo fine, e se ‘l vulgo si reputa felice in quello che appartiene al senso, ed i politici nella virtú o nell’onore, i contemplativi mettono il loro sommo bene in considerar l’Idee che son nel primo grado della verità, la qual in tutte le cose è la proprietà dell’essere a quelle stabilito, perché in tanto son vere in quanto son conformi al divino intelletto”.

Politici e opinionisti sono già pronti ad incantarsi su ciò che accadrà fuori dal ‘cerchio magico’: chi sarà l’Ulisse e chi l’Aiace Telamonio a disputarsi l’armatura di Achille (chiedo perdono ad Omero per l’oltraggioso paragone)? Cosa faranno, o meglio cosa diranno i partiti sopravvissuti per  accogliere tra le proprie fila le pecorelle smarrite?  Più federalismo, meno tasse, eccetera …

Siamo pronti per il prossimo scandalo?  La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buonanotte, e buona fortuna.




Newpro: i nuovi protestanti per una scelta etica nella destinazione dell’otto per mille

La divisione tra cattolici, laici e non credenti rappresentata  nel nostro Paese è una falsità ideologica: la divisione non sta nella fede, ma nell’etica. Siamo di fronte alla presenza di un tabu nazionale ancora infrangibile  che si manifesta come lapsus verbale: identificare  il concetto  di “cattolicesimo” con quello di “cristianesimo”.  Teologi, sacerdoti, intellettuali sembrano non avvertire  la necessità di distinguere tra ‘cattolico’ e ‘cristiano’ nelle loro argomentazioni, sebbene questi due termini rimandino a concezioni profondamente diverse, che oggi spiegano alcune nostre differenze culturali con altri paesi.  Come se cinque secoli fa nel continente europeo non fosse avvenuta quella Riforma Protestante che ha così fortemente contribuito a costituire una  svolta  selettiva culturale, inducendo una vera e propria mutazione  nell’evoluzione  del mondo occidentale. Dalla fede nell’autorità alla autorità della fede.

A 150 anni dall’Unità d’Italia il nostro Paese risulta ancora incompiuto.  Se  allora i Piemontesi  si imbatterono nella “questione meridionale” e  in un conflitto con lo Stato Vaticano, oggi lo Stato Italiano deve affrontare la criminalità organizzata, la corruzione e  contenere l’ingerenza della Chiesa cattolica nelle vicende politiche e istituzionali. Ma la storia non  ripropone le stesse occasioni e dunque non  possiamo avere il  rimpianto per la mancata riforma protestante in Italia, né tantomeno  vogliamo  una riedizione della presa di Porta Pia. Dobbiamo però prendere però che noi siamo cattolici (apostolici-romani) prima ancora di essere cristiani.

Quando trattiamo di una nostra disfunzione nazionale, e invero sono molte le occasioni per farlo, ci piace paragonarci  ad altri paesi europei o agli Stati Uniti  al fine assai poco nobile di trovare conforto quando possiamo riscontrare che “così fan tutti”.  Non ci rendiamo conto però che a parità dei valori di riferimento,  per esempio i valori della libertà e della democrazia, il  comportamento degli italiani  risulta ben diversamente fondato  da quello francese, piuttosto che  tedesco,  anglosassone ,  scandinavo o  americano.  Un esempio per tutti è  il rapporto del cittadino con lo Stato e la gestione della cosa pubblica, la cui differenza è così  profonda  da non sfuggire nemmeno all’attenzione di un distratto turista.  Si tratta della  mentalità, della cultura di un popolo o, per meglio dire, della cultura che fa degli uomini un popolo. E se è vero che il cristianesimo costituisce uno dei fondamenti della nostra cultura-identità occidentale è  però vero anche che il rapporto con l’autorità si presenta a noi italiani in modo perverso.

Consideriamo alcuni tratti  caratteristici della etica protestante: da una parte una cultura che pone l’ individuo in rapporto diretto con Dio (l’autorità della fede) e in rapporto con i propri simili attraverso l’identificazione e il riconoscimento nello Stato (il Diritto), dall’altra una cultura dove l’individuo si relaziona con Dio attraverso i Dogmi della Chiesa (la fede nell’autorità)  concependo una società come somma non d’individui ma di ‘famiglie’, monadi che vivono lo Stato come un’entità estranea ed ostile. Da una parte  persone in rapporto diretto con Dio e  tramite il diritto  con il proprio simile,  le quali,  avendo consapevolezza in quanto religiose di essere peccatori, sanno che si salveranno per sola grazia e quindi saranno condotte ad assumere un personale impegno nel mondo vissuto nella libertà e nella responsabilità.   Un impegno che si deve poter esprimere pienamente nella quotidianità della vita e nel lavoro, tanto per i religiosi che per i laici.

in occasione della denuncia dei redditi 2011 ci presentiamo come  nuovi protestanti (newpro) che intendono manifestare con un atto di protesta rivolto alla Chiesa di Roma la maturità raggiunta di persone consapevoli e responsabili, padroni della propria esistenza,  esprimendo al di qua delle nostre fedi religiose e convinzioni politiche la scelta dell‘ otto per mille a favore della Chiesa Valdese o della Chiesa Evangelica Luterana.

Ci rivolgiamo con il seguente appello alla buona volontà di tutti i cristiani, dei laici, dei non credenti, di tutti coloro che  vogliono essere e i loro figli  crescere come le persone che desiderano incontrare: sono un cittadino onesto e pago le tasse, scelgo di destinare l’otto per mille alla Chiesa Valdese o alla Chiesa Evangelica Luterana.